Non
chiude la fase transitoria, ne apre un’altra
I NODI
COSTITUZIONALI DELLA LEGGE GASPARRI
di Sabino Cassese
Il
disegno di legge sul nuovo assetto del sistema televisivo, approvato dal Senato
ed ora all’esame della Camera (cosiddetta legge Gasparri), rispetta le
condizioni poste dalla Corte costituzionale con la sentenza del 20 novembre
2002, n. 466? Questa è una delle principali domande alle quali bisogna
rispondere, per valutare l'adeguatezza della proposta in discussione? Per
rispondere a questa domanda, bisogna esaminare che cosa ha prescritto la
Corte costituzionale e che cosa dispone la legge Gasparri. La Corte ha stabilito
che «la situazione di fatto non garantisce l'attuazione del pluralismo
informativo». Ha, però, ammesso la legittimità di un periodo transitorio,
purché con un termine finale «definitivo, certo e non prorogabile». Infine,
considerato che l'attuale regime vive di proroghe dal 1984, ha dato al
legislatore un anno di tempo, stabilendo che «la data del 31 dicembre 2003
offre margini temporali all'intervento del legislatore per determinare le
modalità della definitiva cessazione del regime transitorio».
Passiamo, ora, alla legge Gasparri. Questa, per non imporre una mutilazione
degli attuali duopolisti (Rai e Mediaset) ha puntato tutto sullo sviluppo della
tecnologia digitale, che consente di ampliare l'offerta di programmi. Ha
previsto l'accelerazione della introduzione di tale tecnologia. Ha concesso un
anno, a partire dal 31 dicembre 2003, perché l'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni accerti se sia stato realizzato il pluralismo televisivo. Richiede
che l'accertamento sia presentato al governo e alle commissioni parlamentari.
Infine, ha previsto che, se questa condizione si realizza, il ministero delle
Comunicazioni prolunghi il periodo di validità delle concessioni e delle
autorizzazioni per le trasmissioni analogiche.
La legge Gasparri risponde, dunque, al dettato della Corte costituzionale?
Questa aveva indicato nel 31 dicembre 2003 la fine di una fase transitoria,
mentre la legge Gasparri la utilizza come data di inizio di una fase
transitoria. Anche a voler aderire alla soluzione Gasparri, bisogna tener conto
che per la Corte costituzionale doveva esservi un «termine di chiusura», che
la legge non prevede. Se l'Autorità per le comunicazioni verifica che il
pluralismo non si è realizzato nell'anno, che cosa succede? Si può applicare
la norma della legge Maccanico del 1997, per cui l'Autorità per le
comunicazioni obbliga le imprese a dismettere le reti eccedenti? Oppure
concessioni ed autorizzazioni sono incluse nel meccanismo del «generale
assentimento»? Oppure governo e Parlamento debbono tornare a decidere? La
questione della costituzionalità della legge Gasparri è, in sostanza, nascosta
in questa oscurità normativa. Un legislatore amante della sincerità dovrebbe
disporre, portando al 2004 il termine per l'attuazione del pluralismo, che, se
nel dicembre 2004 questo non è attuato, gli attuali duopolisti debbono cedere
una rete. Il disegno di legge Gasparri opera su un caso interessante di
contraddizione tra una tecnologia (futura) che consente di moltiplicare i canali
e le offerte, producendo le condizioni per l'apertura del mercato e ponendo le
premesse per risolvere il problema del pluralismo, e una situazione (presente)
di forte concentrazione. Un innesto chiaro tra presente e futuro, con date certe
sulla fase di passaggio e conseguenze sicure ed automatiche in caso di
inadempimento, potrebbero evitare un ulteriore intervento della Corte
costituzionale.
Corriere della Sera, 23 settembre 2003