Tv,
Autorità garanti e silenzi del Parlamento
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INTERROGATIVI
SENZA RISPOSTA
di
SABINO CASSESE
Il
«Sistema integrato delle comunicazioni - Sic» è stato definito
argutamente «una torta troppo grande e con troppi ingredienti dentro».
Ma che cosa è questo aggregato nuovo, creato dal disegno di legge sul
nuovo assetto del sistema televisivo (legge Gasparri), e a che cosa
serve? Il Sic è la delimitazione normativa di un mercato. Comprende
radio, televisione, produzione e distribuzione di contenuti per radio e
televisione, giornali, settimanali, libri, editoria elettronica,
cinematografia, imprese fonografiche, imprese di pubblicità. Serve a
misurare il grado di concentrazione nei mezzi di diffusione del
pensiero.
Per fare il calcolo, vanno sommati i ricavi derivanti da pubblicità,
sponsorizzazioni, televendite, altri investimenti promozionali,
finanziamenti pubblici e privati, vendite di beni, servizi e
abbonamenti, che affluiscono al Sic. Poi, bisogna accertare quale
percentuale di tali ricavi abbia un operatore. Se i ricavi non superano
il 20 per cento delle risorse complessive, si assume che sia rispettato
il pluralismo nei mezzi di comunicazione di massa.
Il valore di questo mercato non è stato ancora definito con esattezza e
sarà arduo determinarlo in futuro (come dimostra l'istruttoria svolta
nel 2000 per individuare un mercato ben più ristretto). Secondo la
stima più alta, vi affluiscono risorse per 32 miliardi di euro. Ciò
consentirebbe al duopolista privato (Mediaset, Mondadori e Medusa) di
aumentare le proprie risorse dai 4 miliardi di euro di oggi a 6,4
miliardi.
In precedenza, secondo la legge Maccanico del 1997, la base di calcolo
era costituita dalle risorse del settore televisivo (ma la percentuale
era fissata al 30 per cento). Ora la base di calcolo è stata molto
ampliata (e la percentuale è stata portata al 20 per cento).
Gli interrogativi che questa definizione normativa di un aggregato di
mercati fa sorgere sono due. Il primo è quello della sua coerenza. Sia
le norme sulla concorrenza, sia quelle sul pluralismo, debbono essere
applicate partendo da un mercato rilevante. Secondo la Corte di
giustizia europea, questo deve comprendere prodotti sostituibili per le
loro caratteristiche tecnologiche e per la loro capacità di soddisfare
le esigenze dei consumatori. Ebbene, un libro, un programma televisivo,
un disco e un periodico sono sostituibili? Basta la vendita integrata di
prodotti multimediali a giustificare questo coacervo eterogeneo? Se è
vero che si può sparare sia con cannoni, sia con fucili, è difficile -
a me pare - che qualcuno vada a caccia con un cannone.
Il secondo interrogativo riguarda la conformità del Sic al diritto
comunitario. Questo, nel 2002 e nel 2003, con apposite direttive,
trasposte nel diritto italiano, ha regolato le comunicazioni
elettroniche ed ha stabilito i criteri di definizione dei mercati
rilevanti. Un'apposita «Raccomandazione» della Commissione europea ha
indicato, per la televisione, come mercato rilevante, quello dei «servizi
di diffusione radiotelevisiva per la trasmissione di contenuti agli
utenti finali».
A questi interrogativi, posti il 10 settembre scorso alle commissioni
parlamentari sia dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato,
sia dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il Parlamento
non ha dato una risposta. E' un silenzio strano. Le autorità
indipendenti sono «figlie» del Parlamento. Questo le ha istituite,
legandole a sé piuttosto che al governo, anche per avere consigli
autorevoli e indipendenti. E allora, perché non le ascolta?
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