Sul disegno di legge Gasparri sul sistema televisivo e contorni, così
come sul disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi (che vanno
ricordati assieme perché sono gemelli siamesi), la domanda ultima è
se violino la Costituzione. E la risposta dipende da che cosa si
intende per Costituzione.
Per
il positivismo e formalismo giuridico la Costituzione è la «forma» (la
forma giuridica) di qualsiasi Stato. Il che equivale a dire che «qualsiasi
forma» va bene, e che tutti gli Stati hanno, per definizione, una
Costituzione che li rende «costituzionali». Per esempio, anche la
Germania hitleriana, anche il regime staliniano. Inoltre, dalla concezione
positivistica si ricava che una legge può essere dichiarata
incostituzionale soltanto se contraddice la «lettera» del testo, la
lettera di una Costituzione. Il che esclude, o quantomeno indebolisce, il
richiamo allo «spirito» della Costituzione, e cioè, fuor di metafora,
alla Grundnorm , alla normativa fondante dei sistemi
costituzionali delle società libere.
Alla concezione positivistica si contrappone da sempre la concezione «garantista»
di Costituzione che ha trovato la sua classica formulazione nella
Dichiarazione francese dei diritti del 1789: «Una società nella quale la
garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei poteri non è
definitivamente determinata non ha Costituzione» (art. 16). Chiaro?
Direi di sì.
In quest’ottica, che è l’ottica storicamente corretta, è falso e
mistificante che per Costituzione si debba intendere «qualsiasi forma»
di Stato. No. Per il costituzionalismo che possiamo dire classico lo Stato
costituzionale è tale se, e soltanto se, imbriglia il potere arbitrario e
assicura un governo limitato e controllabile. S’intende che le tecniche
del garantismo costituzionale possono essere molto diverse; ma in ogni
caso l’intento e la ragion d’essere di una Costituzione sono di
assicurare che i cittadini siano protetti dagli abusi di potere.
La
teoria pura del diritto di Kelsen che ispira il positivismo giuridico è stata
una mirabile torre d’avorio che però funziona al suo meglio a diritto
«fermo», e cioè de iure condito . Non funziona più
de iure condendo , a diritto in movimento e in tempi
di movimentismo costituzionale.
Torniamo
alla Gasparri. Il giuspositivista vorrebbe trovare, nella nostra
Costituzione, un articolo che tutela il pluralismo televisivo. Ma non lo
trova, fra l’altro perché la Costituzione è del 1948 e la televisione
(in Italia) del 1954. E così tituba, vacilla, ghirigoreggia. La
Costituzione tutela il pluralismo dei partiti (art. 49) e la libertà di
pensiero, di stampa e di «ogni altro mezzo di diffusione» (art. 21).
Basta? Forse sì, forse no. Forse no perché la Gasparri non vieta la
libertà di pensiero. E allora? E allora è il giuspositivismo che rivela,
qui, la sua intrinseca inadeguatezza costituzionale. Il diritto diventa
amletico.
Per il costituzionalista classico, invece, non ci sono dubbi. Il suo
argomento è che la Costituzione, in democrazia, esiste per tutelare la
democrazia, e dunque che le sue norme vanno interpretate in «controluce
democratica» e cioè (in questo caso) in base alla Grundnorm
che vieta la concentrazione del potere, poteri che non sono limitati
da altri poteri, da contro-poteri.
Il
presidente Ciampi dichiara che «non esiste democrazia senza pluralismo e
imparzialità dell’informazione». Su che basi? È di tutta
evidenza che quella dichiarazione si richiama al costituzionalismo
garantista. E in questa ottica è altresì di tutta evidenza che la
Frattini, la Gasparri e anche la concentrazione dei poteri della riforma
costituzionale che piace a Berlusconi sono tutte normative manifestamente
incostituzionali.