COMMISSIONI RIUNITE (VII E IX)
VII (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE) E IX (TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 1° febbraio 2007

 

 

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VII COMMISSIONE PIETRO FOLENA

La seduta comincia alle 15.05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

 

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

 

Audizione di rappresentanti della Rai.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul disegno di legge C. 1825, recante disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale, l'audizione di rappresentanti della Rai.
Do la parola al presidente della Rai, Claudio Petruccioli.

CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della Rai. La ringrazio, presidente. Rivolgo un saluto deferente a tutti gli onorevoli deputati e all'unica, mi sembra, onorevole deputata.
Il disegno di legge al vostro esame, su cui deve svolgersi questa audizione, si propone due obiettivi espliciti: dare impulso alla liberalizzazione nel sistema radiotelevisivo italiano e fissare un termine entro il quale si dovrà completare l'introduzione della tecnologia digitale. È impossibile non

 

 

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condividere questi obiettivi, che da tempo raccolgono l'attenzione e l'impegno del legislatore, oltre che degli operatori e dell'opinione pubblica competente in materia. È impossibile, inoltre, non constatare che questi obiettivi, pur da tempo in agenda e largamente riconosciuti come necessari, non sono stati raggiunti, almeno in una misura che possa apparire soddisfacente.
Fondati, dunque, e ben comprensibili appaiono a me e alla Rai i due assi sui quali il disegno di legge poggia: dare impulso alla liberalizzazione nel sistema televisivo italiano, agendo in modo distinto, ma combinato, su due leve - il limite alla raccolta pubblicitaria e il limite alla capacità trasmissiva - e, secondo asse, stabilire con verosimile certezza la data di cessazione delle trasmissioni in analogico, tenendo conto anche del panorama europeo, nonché fissare tappe intermedie, sia per rendere concreto e misurabile il percorso verso la generalizzazione del digitale, sia per ottenere la disponibilità di frequenze per altri potenziali operatori.
Consapevole dei limiti nei quali devo contenermi per non scivolare dall'esposizione di informazioni e valutazioni dovute a queste Commissioni parlamentari verso la declamazione di mie personali convinzioni e opinioni che non hanno luogo in questa sede, mi limiterò ad una rapida sintesi sullo stato attuale del settore e sulle evidenti tendenze per il prossimo futuro. Aggiungerò, poi, alcuni punti che, a partire dal disegno di legge, interessano e coinvolgono la Rai. Per il resto, cercherò di rispondere alle domande che vorrete pormi. Laddove, come è possibile, risultassi lacunoso, provvederò a farvi pervenire un'esauriente documentazione, contando sull'aiuto del dottor Malesani, qui accanto a me, responsabile delle relazioni istituzionali.

 

 

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Ho evitato di predisporre voluminosi dossier a priori: la mia trascorsa esperienza parlamentare mi ha insegnato che non sempre questi risultano utili in quanto, oltre che, appunto voluminosi, di solito sono anche troppo generici.
Per valutare la persistenza o meno del duopolio che caratterizza in Italia il settore televisivo, considero rilevanti due dati: gli ascolti e i ricavi. Nel 2006 le altre televisioni, vale a dire tutte quelle che non sono Rai e Mediaset, hanno raggiunto il 16 per cento di share medio nel day time (5 per cento in più rispetto al 2003), trainate fortemente dal satellitare che ha raggiunto il 6,8 per cento (4,4 per cento in più rispetto al 2003).
La dinamica nel prime time è analoga: le altre TV raggiungono il 14,4 per cento di share (più 4,0 per cento rispetto al 2003) e le satellitari toccano quota 6 per cento (più 3,7 per cento rispetto al 2003), con punte, però, che superano il 10 per cento nelle serate caratterizzate da eventi calcistici di particolare rilievo.
Vediamo ora i ricavi. Dagli ultimi dati disponibili (cioè i bilanci ufficiali 2005 per Rai e Mediaset e il bilancio 1o luglio 2005 - 30 giugno 2006 per Sky, secondo la fonte News Corporation) i ricavi complessivi di Rai, Mediaset e Sky hanno sfiorato gli 8 miliardi di euro, ammontando - per la precisione - a 7,9 miliardi. Essi risultano così ripartiti: 3 miliardi 91 milioni di euro per la Rai; 2 miliardi 748 milioni di euro per Mediaset; 2 miliardi 83 milioni di euro per Sky.
Fatto uguale a 100 il totale di queste cifre, all'ingrosso, la distribuzione percentuale vede la Rai al 37 per cento, Mediaset al 34 per cento e Sky al 29 per cento. Tutti gli analisti prevedono che la tendenza degli ascolti registrata negli ultimi anni, che vede un incremento dello share per le TV satellitari, continuerà nel prossimo futuro e, presumibilmente, anche i

 

 

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ricavi ne risulteranno influenzati. Comunque già oggi, per quanto riguarda i ricavi, non si può più parlare di duopolio.
Tale conclusione, ossia il progressivo avvicinamento ad una tripartizione sempre più equilibrata del mercato fra i tre principali operatori, risulta più evidente se si considera il sovradimensionamento della quota e della cifra attribuita alla Rai. Trattandosi di mercato televisivo, infatti, le risorse da canone imputabili alla radiofonia dovrebbero essere scorporate da quella cifra complessiva, al pari delle risorse pubbliche che finanziano un'attività quale la programmazione regionale.
Non mi sfuggono, onorevoli deputati, le differenze tra la TV generalista free e la TV a pagamento. Tuttavia, è noto a tutti che l'universalizzazione del digitale cancellerà ogni incomunicabilità fra le diverse piattaforme, e anche le specializzazioni nelle offerte da parte dei diversi operatori si faranno assai meno rigide di quanto siano oggi. Pertanto, non è affatto arbitrario un approccio che consideri il settore nella sua interezza e non limiti l'attenzione solo alla TV generalista free.
Vengo adesso ad alcuni aspetti del disegno di legge che investono in modo rilevante anche la Rai: in primo luogo, la liberazione di frequenze a partire da 12-18 mesi dall'entrata in vigore della nuova legge. Immagino, per comodità, che il disegno di legge al vostro esame possa giungere all'approvazione definitiva entro l'anno in corso. In questo caso, il passaggio al digitale di una parte delle trasmissioni dovrebbe avvenire tra la fine del 2008 e la metà del 2009. Il disegno di legge parla di una rete per chi ne ha più di due; una rete, cioè, dopo 12-18 mesi dovrà passare al digitale.
Rivolgo a voi una domanda che ho già posto direttamente al ministro, e comunque esprimo una riflessione ed un'esigenza: sarebbe possibile pensare non ad una rete, ma ad una quota della capacità trasmissiva complessiva, da liberare entro

 

 

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lo stesso tempo? Per la Rai questo sarebbe più agevole. Una volta acquisita per una rete la capacità tecnica di trasmettere e ricevere in digitale, non è infatti molto difficile convogliare l'intera produzione. D'altro canto, per questa via si renderebbero disponibili frequenze in quantità superiore rispetto allo spostamento di una sola rete. Non credo che i potenziali nuovi operatori sarebbero particolarmente penalizzati, potendo avviare la loro attività con una capacità trasmissiva che consente di raggiungere, comunque, una rilevante quota dell'utenza.
Insomma, dal punto di vista industriale ed editoriale - mi rendo conto che esistono anche motivi di altro tipo, che inducono alle formulazioni contenute nel disegno di legge proposto - sottolineo quanto sia più congeniale alle esigenze ambientali che lo switch off avvenga per aree territoriali, anziché per reti. Verifichiamo ciò anche nelle esperienze-pilota che stiamo conducendo in Sardegna e Valle d'Aosta.
In secondo luogo, è per me doveroso sottolineare in questa sede la complessità, sotto molteplici punti di vista, del processo di transizione che deve portare allo spegnimento definitivo e totale dell'analogico e alla sua integrale sostituzione con il digitale, vale a dire quella fase di transizione che viene denominata dai tecnici switch over. In altri paesi, che prima e più di noi si sono inoltrati in questo terreno, sono stati fissati i percorsi nel modo più preciso, ricorrendo anche a forme prescrittive e fornendo indicazioni certe, chiare e stabili riguardo ai tempi, alle tappe, alla disponibilità di risorse e così via.
Tanto meno si disporrà di riferimenti certi e precisi, tanto più lungo, oneroso e dispersivo diventerà lo switch over per gli operatori già esistenti. Nella stessa misura, crescerà la diffidenza e diminuirà l'interesse di ipotetici terzi entranti.

 

 

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In Italia, questa esigenza di chiarezza e certezza è resa assai acuta (molto più acuta, rispetto ad altri paesi europei) dallo stato - che sicuramente a voi è presente - di confusione e aleatorietà che si registra nel governo delle frequenze. A voi, naturalmente, sta valutare se questa esigenza debba trovare, in qualche misura, spazio anche nel testo legislativo, oppure debba essere affidata alla responsabilità dell'esecutivo o dell'amministrazione. Certo è che soddisfare o meno questa esigenza di chiarezza, di certezza e di trasparenza è per noi essenziale, come lo è per tutti gli operatori in atto, o potenziali.
Terzo punto. È obbligo vincolante per la Rai giungere al momento in cui cessano le trasmissioni in analogico con la più ampia copertura in digitale. Tuttavia, dal momento che i costi si impennano molto per la copertura dell'ultimo 10-15 per cento, con il solo digitale terrestre è molto difficile e oneroso raggiungere i livelli di diffusione obbligatori per il servizio pubblico. Con ogni probabilità, dunque, una quota dell'utenza dovrà essere coperta ricorrendo al digitale satellitare.
A questo fine, l'azienda deve predisporre uno specifico piano e lo sta facendo, ma è bene che di ciò tengano conto il legislatore e l'esecutivo - per eventuali agevolazioni - e che ne tengano conto anche i produttori di apparecchi riceventi (aspetto sul quale, spesso, non si concentra la dovuta attenzione).
Quarto punto. Con il digitale a regime, il disegno di legge prescrive che i «fornitori di contenuti in ambito nazionale non potranno utilizzare più del 20 per cento della capacità trasmissiva complessiva». Ciò equivale a dire: tre multiplex. Ragionevolmente, a mio avviso, si dovrà usare uno di questi tre multiplex per due reti generaliste ad alta definizione. L'alta

 

 

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definizione occupa, come è noto, il doppio dello spazio frequenziale rispetto ai canali a definizione simile a quella attuale.
In Italia oggi si parla poco o nulla di alta definizione, ma il salto a questa nuova tecnologia è ormai più che maturo. Si deve far coincidere l'alta definizione con il decollo del digitale, in quanto non si possono fare, anche per ragioni industriali e commerciali, due rivoluzioni in modo sfasato. Gli altri due multiplex saranno dedicati a canali tematici - otto all'incirca - che non è difficile immaginare: televideo, all news, ragazzi, cultura, regioni, sport. Non si tratta ancora di decisioni assunte in via ufficiale dall'azienda, ma non si tratta neppure di ipotesi infondate.
In ogni caso, la direzione generale e il consiglio di amministrazione si sono trovati d'accordo sulla necessità di predisporre e approvare, entro il semestre in corso, un piano industriale nel quale saranno considerati tutti gli aspetti del passaggio al digitale.
Come si vede, è inutile stare a discutere adesso di vendita di una rete, o di problemi simili. Si arriverà ad un assetto più semplice e lineare a causa delle innovazioni che dobbiamo realizzare, nonché ad un loro uso razionale. È evidente - lo sottolineo con soddisfazione - che il limite del 20 per cento della capacità trasmissiva previsto nel disegno di legge è del tutto compatibile con una razionalizzazione industriale ed editoriale della Rai in vista del digitale. È inoltre compatibile con una presenza del servizio pubblico che, pur restando rilevante e influente, sia essa stessa ridefinita dal superamento del duopolio, che è uno degli obiettivi del disegno di legge.
Quinto punto. Il ministro delle comunicazioni ha recentemente reso pubbliche le linee guida per un riassetto societario della Rai, dichiarando l'indicazione di trarne, dopo una non

 

 

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lunga ma approfondita discussione pubblica, una specifica iniziativa legislativa. Mi è chiaro che oggi non discutiamo di tali linee guida e che, di fronte a nuove iniziative legislative, ci saranno probabilmente ulteriori occasioni di ascolto dei vertici Rai da parte di queste Commissioni. Tuttavia, onorevoli, non me ne vorrete se esprimo, in modo molto rapido, qualche auspicio.
Le finalità che mi sembrano più importanti sono le seguenti: la precisa definizione dell'assetto proprietario della Rai; l'alleggerimento (quanto meno) dell'intervento del potere politico nella definizione del governo dell'azienda; la stabilità e la durata di questo stesso governo dell'azienda. Non entro nei dettagli, ma sottolineo che, al fine di raggiungere questi obiettivi, è preferibile che la proprietà costituisca effettivamente un'intercapedine fra la Rai e il potere politico e sia da quest'ultimo autonoma, nonché intervenga nella nomina degli organismi societari.
È preferibile che il potere politico intervenga in poche, pochissime nomine. L'ideale sarebbe che ci si limitasse a due: la compartecipazione alla scelta del responsabile della gestione; la designazione - alla quale procedere con maggioranza molto qualificata - di una figura di garanzia e tutela delle regole e degli interessi del servizio pubblico.
Insisto, poi, su un aspetto di solito ignorato: la stabilità e la durata del governo della Rai. Anche dalle poche osservazioni che ho espresso in questa sede risulta del tutto evidente, in questa fase - che non sarà breve - di grandi e profonde trasformazioni, la necessità di definire progetti e obiettivi che impegneranno un arco di tempo non breve, compreso per intenderci tra i 5 e i 10 anni, e di garantirne l'attuazione in

 

 

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modo coerente ed efficace. Ciò non è possibile se ogni 2 o 3 anni (questi sono stati i ritmi degli ultimi 15 anni, per la Rai) si cambia l'intero vertice dell'azienda.
Infine, una parola sull'argomento generalissimo del servizio pubblico. Più ancora che opportuno, mi sembra necessario che l'opinione pubblica nazionale e, per la responsabilità che riveste, la classe dirigente, ridefiniscano un orientamento preciso sul servizio pubblico radiotelevisivo. Oggi, infatti, si registrano troppe oscillazioni e incongruenze, nonché molti opportunismi. Ovviamente, tutto è possibile: anche, ad esempio, eliminare il servizio pubblico, o contenerlo in spazi, se non marginali, molto ridotti rispetto a quelli di oggi. Si tratta di pensarci bene, di discuterne ampiamente e di decidere.
Uno stato di perenne incertezza, insoddisfazione e di perdurante irrisolutezza è sicuramente dannoso. Qualora si ritenga che il servizio pubblico debba continuare ad esistere, con un'effettiva capacità di influenza sull'intero settore (il che significa, a nuovo regime del settore, una presenza che raccolga circa un terzo dell'ascolto, come dimostrano anche le situazioni dei nostri maggiori partner europei), allora si devono prendere decisioni coerenti sulle forme di finanziamento, che devono ovviamente essere adeguate all'obiettivo che ci si propone.
Il finanziamento misto erario-mercato presenta indubbiamente aspetti controversi ed opinabili, sotto molti punti di vista che certamente a voi non sfuggono. Anche qui, dopo un'attenta riflessione che, però, non può protrarsi all'infinito, si deve scegliere e trarne le dovute conseguenze.

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Petruccioli.
Do la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare osservazioni.

 

 

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DAVIDE CAPARINI. Formulerò tre domande, un'osservazione e un auspicio. Presidente Petruccioli, da senatore lei ha vissuto il travaglio dell'atto del Senato n. 1138 e ha vissuto una fase in cui la Rai ha proseguito, nella sua autonomia gestionale, una riorganizzazione indipendente dal dibattito politico e dalla produzione normativa, sulla traccia di ciò che era stato prefigurato dall'atto governativo. Voglio porle questa domanda: la proposta del direttore generale sul gestore unico della rete è un atto che avrà un seguito indipendentemente dalla sorte del disegno di legge che stiamo discutendo, oppure attenderete le decisioni del Parlamento in merito?
La seconda domanda è riferita alla decisione di spostare nell'area all digital della Sardegna la Rete 2, e conseguentemente il TG2, sul digitale terrestre. Vorrei capire da lei quali sono state le motivazioni di questo spostamento, in quanto balza agli occhi di tutti che, casualmente, si tratta di reti dell'opposizione. Desideriamo conoscere i motivi economici ed editoriali che vi hanno spinto a questa decisione.
Esiste una discrasia - è la mia terza questione - tra la relazione e gli atti di governo della Rai, in quanto è stato evidenziato da più parti che è sufficiente avere un decoder digitale terrestre a casa per verificare la povertà di contenuti e di offerta sul digitale da parte della Rai. Al di là degli auspici - dalla Rai siamo abituati ad avere tante promesse e tanti progetti che purtroppo spesso rimangono tali - e di tanti investimenti (ho sentito parlare di ben otto canali e di alta definizione), oggi quanto state investendo sul digitale terrestre? Quali diritti avete acquistato, quali contenuti sul digitale terrestre, per incentivarne la diffusione e soprattutto per fidelizzare i futuri telespettatori che, magari, sono abituati a sintonizzarsi su Mediaset, anziché sulla Rai, visto che su Mediaset hanno un'offerta decisamente migliore?

 

 

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Passo all'osservazione che annunciavo in apertura. Non so se il presidente Petruccioli era stato informato che qui si discuteva del disegno di legge «Gasparri primo», quello che già esiste e non quello che dovrà arrivare, se arriverà e se sarà scritto. Nelle audizioni sono stati trattati alcuni temi, in particolare dal presidente della Rai, non inerenti a tale disegno di legge, a conferma del fatto che questo argomento va affrontato nella sua totalità e non settorialmente, come purtroppo voi siete costretti a fare.
L'auspicio, visti i chiari di luna e gli appetiti della maggioranza riferiti al consiglio di amministrazione che lei presiede, è quello di un buon e lungo lavoro. Rimango in attesa della sua risposta sul satellite, considerato che sarò costretto - non per mancanza di rispetto - ad abbandonare l'aula.

ANGELO MARIA SANZA. Vorrei ringraziare il presidente per la chiarezza. Apprezzo lo sforzo di sintesi della sua relazione e in particolare il richiamo al servizio pubblico. Devo dire che la sua concisa relazione - si vede che ha dimestichezza con le aule parlamentari - mi mette nelle condizioni di essere molto efficace nelle richieste che per la parte che mi riguarda intendo avanzare.
Intanto, le chiedo di comunicarci qualcosa di più a proposito del ritardo negli investimenti a favore del digitale. È un discorso che è alle spalle, in quanto avevamo la legge Gasparri, ma a me pare che la Rai sia stata molto carente. Nelle sue parole si intravedeva una riflessione al riguardo; tuttavia, ipotizzando quello che l'attende e il piano industriale che le è davanti, vorrei conoscere le ragioni del ritardo e ricevere qualche ulteriore informazione proprio rispetto al piano industriale. Nel contesto di quest'ultimo, ho colto con molto interesse la sua indicazione tecnica secondo cui il passaggio verso il digitale deve avvenire per quota di capacità

 

 

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trasmissiva e lo switch off è preferibile che avvenga per aree, e non per reti. Si tratta di indicazioni davvero molto interessanti, presidente. Se, al fine di aiutare il nostro lavoro, potesse essere un po' più chiaro, gliene sarei davvero grato.
Per ultimo, lei ha toccato un nervo scoperto, una piaga del dibattito parlamentare. Lo ha fatto di sua spontanea volontà ed io ho rilevato con soddisfazione che lei non ha potuto trattenersi dall'esprimere un suo parere rispetto alle anticipazioni fatte dal ministro Gentiloni a proposito della riforma Rai. Ha anche avuto il coraggio di riportarci alcune sue riflessioni, che terremo in debito conto, sulla proprietà e sulla presenza della politica in quello che dovrebbe essere il nuovo riassetto istituzionale della Rai.
Su questo tema forzo un po' la domanda: vista la correlazione tra ciò che oggi la porta qui a discutere con noi della riforma del sistema e la riforma della Rai, non ritiene che sia il caso di avere i due testi all'attenzione del Parlamento, per un esame serio ed approfondito?
In conclusione, le rivolgo anch'io gli auguri per il suo lavoro.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Desidero ringraziare anch'io il presidente Petruccioli per la consueta chiarezza e schiettezza con cui esprime i propri concetti. Formulo due osservazioni ed una domanda.
La prima osservazione è che mi pare di aver capito, dalla sua esposizione, che la ridefinizione del servizio pubblico nell'epoca della transizione di sistema porta inevitabilmente a nuove relazioni tra chi gestisce e chi fa i contenuti. Da questo punto di vista condivido l'idea che ad un nuovo sistema tecnologico, a nuove opportunità tecnologiche debba corrispondere un'organizzazione differente dell'azienda e una suddivisione dei contenuti molto diversa rispetto al passato.

 

 

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Mi pare, insomma, che la scelta di maggiore flessibilità corrisponda esattamente all'epoca della convergenza multimediale. Da questo punto di vista, quindi, le sue osservazioni mi sono sembrate non solo interessanti, ma anche foriere di nuove sollecitazioni nella discussione della legge.
Le rivolgo una domanda, a tale riguardo. Se è vero che esiste una nuova impostazione, è anche vero che la nuova distribuzione dei contenuti e degli strumenti su cui viaggiano i contenuti (per non parlare del rapporto con la pubblicità) si dovrà porre in modo differente da quello attuale. Nella relazione lei accenna semplicemente ai limiti della pubblicità. Considerato il dibattito in corso e vista anche un'affermazione molto impegnativa contenuta nel disegno di legge, sono molto interessata a capire la ridefinizione del servizio pubblico, la transizione al digitale, i nuovi contenuti e gli assetti della pubblicità, proprio perché ritengo che non si debba verificare una penalizzazione del servizio pubblico. Tuttavia, il servizio pubblico non è estraneo, evidentemente, ad un ragionamento di mercato e di limiti del mercato pubblicitario stesso.

RODOLFO DE LAURENTIIS. Anch'io desidero ringraziare il presidente Petruccioli, perché sicuramente la relazione che ha voluto offrire alla nostra attenzione presenta una sufficiente chiarezza su alcuni aspetti importanti relativi ai temi che il nostro Parlamento sta affrontando, insieme ad alcuni suggerimenti che sono meritevoli, a mio avviso, di un approfondimento e di una considerazione adeguata, in particolare quelli a cui accennava poc'anzi l'onorevole Sanza.
Vorrei esprimere due considerazioni, con due domande. La prima parte da un'affermazione contenuta nella relazione del presidente Petruccioli: quando si parla di ricavi, viene ribadito che ormai si rileva un superamento di fatto nella struttura del duopolio, in quanto ci troviamo di fronte ad una tripartizione

 

 

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dei ricavi, con un ulteriore competitor che si è aggiunto a Rai e Mediaset. Il provvedimento Gentiloni ha una parte di grande criticità, ed è proprio quella che riguarda le norme antitrust. Partendo dalla sua affermazione e vedendo quanto è contenuto nel provvedimento Gentiloni, che prende in considerazione solo una componente dei ricavi, ovvero quella della pubblicità, non ritiene che le norme antitrust debbano valere per tutti? In questo caso la norma è impostata soltanto sulla pubblicità, per cui viene meno un elemento di erga omnes nei confronti di tutti i diversi competitor esistenti sul mercato. Vorrei, dunque, che lei chiarisse meglio la sua idea su questa parte centrale del provvedimento Gentiloni e se ritiene adeguata questa norma antitrust basata solo sui ricavi derivanti dalla pubblicità.
Passo alla seconda considerazione. Lei ha formulato un'altra osservazione (che, ovviamente, considero sacrosanta), secondo cui il settore va considerato nella sua interezza: convergenza, piattaforme, e quant'altro. Tuttavia, proprio perché il settore va considerato nella sua interezza, immagino che il suo sia un richiamo all'incompletezza dei provvedimenti che il Parlamento ha di fronte. Da una parte abbiamo il provvedimento Gentiloni sulla ridefinizione del mercato, con l'obiettivo della liberalizzazione del sistema televisivo, dall'altra vediamo soltanto annunciate alcune linee generali che riguardano la Rai.
Provo a trarre da tutto ciò una conclusione, che vorrei lei mi confermasse o meno. Lei mi sta dicendo indirettamente che sostanzialmente non si può effettuare una revisione organica e complessiva del settore se non si ha di fronte uno scenario legislativo su cui lavorare che sia complessivo, che veramente prenda in esame le due componenti di cui abbiamo parlato finora?

 

 

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In ultimo, le sollecito un giudizio generale. Vorrei capire se il provvedimento, così com'è strutturato, possa garantire effettivamente il raggiungimento di quell'obiettivo che lei ha indicato nelle prime due righe della sua relazione.

ANTONELLO FALOMI. Vorrei ringraziare anch'io il presidente Petruccioli per averci fornito una relazione molto puntuale ed un contributo volto ad integrare, correggere e modificare il testo al nostro esame.
Desidero concentrarmi su alcune questioni, sulle quali vorrei avere una risposta da parte del presidente Petruccioli. La prima è una questione di principio, introdotta nell'articolo 1 del disegno di legge, che riguarda la tendenziale e progressiva separazione della rete dai contenuti. Si tratta di un'indicazione di ordine generale. Poiché lei non ne ha fatto cenno nella sua relazione, le chiedo se, al di là dell'enunciazione di principio, la Rai stia realmente ragionando attorno a questo nodo, che è di carattere generale e riguarda un po' tutto il settore della comunicazione elettronica, non solo quella televisiva. Vorrei capire, insomma, se da parte della Rai si stia ragionando per attrezzarsi a rispettare un principio che viene, peraltro, dalle disposizioni europee e che è abbastanza importante, a mio avviso, nella riforma del sistema della comunicazione.
La seconda questione riguarda il tema della transizione al digitale. Dal disegno di legge emergono su questo tema due questioni rilevanti. La prima, ricordata dal presidente, concerne il passaggio, dopo quindici mesi dall'approvazione della legge, di una delle reti Rai sul digitale terrestre. La seconda è relativa alla necessità che le frequenze non coordinate e ridondanti per almeno il 98 per cento in un bacino siano restituite e rese disponibili per altre utilizzazioni.
Ebbene, lei si è riferito anche al fatto che il passaggio, soprattutto per le reti esistenti, è piuttosto complesso, oltre che

 

 

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oneroso. Vorrei capire se sia stata compiuta da parte della Rai una valutazione sugli oneri che la Rai stessa deve sopportare per poter andare nella direzione indicata dal disegno di legge.
Riferendomi poi ad un'ulteriore questione che lei ha introdotto, ovvero all'opportunità che più che di passaggio «di una rete» si parli di passaggio «di una quota della capacità trasmissiva», vorrei che si approfondisse questo aspetto, tenuto conto dell'attuale configurazione del sistema Rai su tre reti televisive, in modo da comprendere che cosa tutto ciò, in concreto,significhi. Chiedo un ulteriore approfondimento su questo punto.
Altra questione riguarda i ricavi, di cui lei ha parlato nella sua introduzione. Facendo riferimento ai ricavi complessivi di Rai, Mediaset e Sky, lei ha parlato di una sostanziale fine del duopolio. Qui si rilevano alcune differenze abbastanza importanti: non è un caso che, se parliamo in termini di share, la quota di Sky, sommata a quella di tutto il sistema della televisione privata, raggiunge soltanto il 16 per cento. Non credo che, a breve termine, questa tendenza possa particolarmente mutare. Certo, potrebbe registrarsi un leggero aumento, ma è evidente che un conto è parlare di televisioni free, altro conto è parlare di televisioni a pagamento. Inoltre, se si va a vedere il dato sulla pubblicità (non semplicemente sui ricavi), si rileva che, in realtà, su questo fronte gli squilibri del sistema e dell'assetto radiotelevisivo sono ancora fortemente presenti.
Non sono poi convinto che in termini di principio sia giusto mettere sullo stesso piano il servizio pubblico e il servizio privato: si parla di duopolio come se si trattasse di due soggetti privati che operano in un unico mercato.
Il soggetto pubblico certamente opera nel mercato per una parte, per la parte di quota pubblicitaria; non di meno si tratta

 

 

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di un soggetto che non ha finalità di profitto. Certo, i suoi conti devono essere in ordine e si deve cercare di avere una gestione corretta, ma le finalità del servizio pubblico sono diverse da quelle di un operatore privato. Non a caso la Corte costituzionale ha sempre censurato, per illegittimità, prima la Mammì, poi la Maccanico e probabilmente censurerà, se non interverranno alcune modifiche, anche la legge n. 112, in quanto non è garantito il pluralismo delle fonti nel settore privato. Quindi, in termini di principio, penso che sia sbagliato continuare a parlare di duopolio. Ribadisco che comunque lo squilibrio nei dati permane, al di là dell'avvicinamento dei ricavi.

MARIO BARBI. Vorrei anch'io ringraziare il presidente Petruccioli per la sua esposizione. Molte domande sono state già poste, quindi potrò contenermi.
Faccio una premessa. Dirà il presidente Petruccioli se è stato chiamato opportunamente a testimone di una richiesta che l'opposizione avanza in questa sede dall'inizio dell'esame del provvedimento, che è quella dell'incompiutezza del disegno di legge che stiamo esaminando e della necessità, od opportunità, che ad esso venga abbinato quello annunciato - per un tempo a venire - di riforma del servizio pubblico radiotelevisivo.
Mi concentrerei su due domande. Una è stata appena posta dall'onorevole Falomi, ma anch'io vorrei chiarimenti più specifici su rete e capacità trasmissiva. Fino a quando, a suo giudizio, la Rai manterrà le tre reti in diffusione analogica e in quale modo promuoverà la transizione al digitale, con un potenziamento della capacità trasmissiva? Questo passaggio, che mi pare centrale nella costruzione del suo ragionamento, non lo capisco né in termini tecnici, né dal punto di vista logico e legislativo. Mentre è chiaro il senso - nel caso si perda

 

 

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la possibilità di accedere ad una rete, quale che fosse delle tre che la Rai esercisce in analogico - di incentivare l'audience a munirsi di ricevitori digitali terrestri, diverso è il caso in cui venga mantenuta l'offerta analogica abituale, accanto ad un'offerta maggiore e più articolata nel campo digitale. Le chiedo di chiarire questo punto, perché francamente me ne sfugge il senso.
La seconda domanda riguarda in particolare il mercato pubblicitario. Il disegno di legge Gentiloni interviene, in modo limitato, su due segmenti rilevanti: il mercato pubblicitario televisivo e la risorsa frequenziale. Lo fa, credo, avendo adottato una scelta minimalista rispetto all'obiettivo generale di accelerare o, comunque, di governare e di favorire in modo credibile la transizione al digitale terrestre, portando al suo completamento in un arco di tempo determinato. Ma lo fa adottando una logica piuttosto moderna, anche nella concezione dell'antitrust, vale a dire individuando un mercato specifico, tra i tanti che possono essere individuati nel mercato delle comunicazioni. (Ricordo, ad esempio, i diciotto mercati delle reti di comunicazioni elettroniche che sono stati individuati dall'Unione europea e che vengono disciplinati ciascuno per proprio conto, individuando - mercato per mercato - la posizione dominante. Ai soggetti che hanno un significativo potere di mercato vengono comminati obblighi tali da ridurre tale posizione e favorire l'apertura e l'accesso di nuovi soggetti a questi mercati). Quindi, lo fa compiendo una scelta che mi pare moderna dal punto di vista della disciplina e della liberalizzazione dei mercati. Tutto ciò premesso, mi chiedo, per quanto riguarda il mercato pubblicitario, come la Rai colga questa proposta contenuta nel disegno di legge e quali effetti possa vederne, se mai venisse adottata.

 

 

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Non intervengo sugli aspetti del servizio pubblico, in quanto credo che avremo altre occasioni per farlo più approfonditamente.

GIORGIO LAINATI. Presidente Petruccioli, al contrario dell'onorevole Barbi che mi ha preceduto, avendo il collega Sanza rivolto a lei una serie di domande che riguardano la parte più generale e gli assetti tecnologici della proposta Gentiloni, desidero intervenire sulle sue importantissime affermazioni circa il futuro assetto del servizio pubblico, vale a dire della Rai.
Signor presidente, con la franchezza che ha contraddistinto i quattro anni di lavoro comune - compresi i memorabili scontri che abbiamo avuto in Commissione vigilanza - le dico che le sue affermazioni sono totalmente condivisibili. È infatti chiaro ed evidente che, quando il presidente del consiglio di amministrazione della Rai parla di una legislazione che dia una precisa definizione dell'assetto proprietario della concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo, quando parla di alleggerimento dell'intervento del potere politico nella definizione del governo della medesima, esprime ovviamente un auspicio che non può che essere condiviso.
Inoltre, signor presidente ed onorevoli colleghi, anche riguardo all'auspicio che il presidente Petruccioli ha espresso per la designazione di una figura garante che sappia tutelare le regole e gli interessi del servizio pubblico, mi sia permesso - con simpatia - di dire che questa persona c'è già, ed è proprio lei, presidente Petruccioli. Come tutti voi sapete, infatti, egli è stato designato alla presidenza del consiglio di amministrazione della Rai in base alle norme della legge n. 112, proprio perché si è ritenuto, nell'agosto 2005, che il presidente Petruccioli, in qualità di presidente della Commissione di vigilanza, per l'allora opposizione, potesse rappresentare

 

 

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appunto quelle caratteristiche di garanzia e di tutela (importantissime, onorevoli colleghi) dell'immagine del servizio pubblico. Tant'è che egli fu eletto dal voto unanime dei rappresentanti del centrodestra e del centrosinistra.
Signor presidente, avendo l'opportunità di avere lei qui e avendo lei fatto una tale osservazione, mi corre l'obbligo di sottolineare gli accadimenti politici che segnarono quel momento per dirle che è verissimo ed è giustissimo che i vertici della Rai, la governance della Rai abbiano la certezza temporale della propria azione. Ciò è assolutamente fondamentale proprio per le sfide, sia sul piano tecnologico, sia sul piano dei contenuti, riguardanti l'importanza e la delicatezza del servizio pubblico radiotelevisivo di uno dei più grandi paesi europei e del mondo.
Non evito, dunque, di sottolineare che sarebbe dovere dei rappresentanti del centrosinistra tenere conto di queste osservazioni di carattere politico e fare esattamente come fece il centrodestra nel 2001. Allora, proprio per non negare la necessità di assicurare la governance in qualsiasi periodo politico del servizio pubblico, si attese fino alla primavera del 2002 - come era ovvio - che terminasse il mandato del secondo consiglio di amministrazione, presieduto dall'attuale deputato dell'Ulivo, professor Zaccaria. Tanto volevo ricordare, a proposito di lontananza della politica dal servizio pubblico.
Colgo l'occasione, e concludo, per dire che il presidente Petruccioli ha perfettamente ragione: iniziamo proprio dal consentire, Presidente Folena, a questo consiglio di amministrazione di arrivare al termine del suo mandato istituzionale. Infatti esso ha bene operato, in quanto i dati di ascolto delle fiction prodotte nel 2006 sono clamorosi. Non c'è stato un solo esponente della sinistra che abbia sottolineato che la Rai ha vinto praticamente 99 a 1 contro Mediaset, su questo fronte.

 

 

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Ebbene, se non lo si può dire che Mediaset è stata costantemente sconfitta nel periodo del Governo Berlusconi, allora mi permetto di farlo io. Chiedo che sia consentito a questo consiglio di amministrazione di arrivare al termine del suo mandato.

PRESIDENTE. La sua richiesta non è rivolta al presidente Petruccioli e tanto meno al sottoscritto. È di carattere politico.

WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Ringrazio il presidente Folena e naturalmente il presidente della Rai, Claudio Petruccioli.
Desidero ricordare, ad apertura del mio intervento, un messaggio che l'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, inviò alle Camere nel luglio 2002. In esso egli ricordò che la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta.
Da questo punto di vista ci siamo già mossi, per ciò che riguarda la ripartizione collettiva dei diritti televisivi sul calcio. Siamo andati nella direzione indicata da Ciampi, e ritengo che il termine «pluralismo» non possa essere sinonimo di duopolio, e neanche di tripartizione.
Ho seguito con grande attenzione la sua introduzione, soprattutto quando lei ha parlato dello share, indicando come termine di paragone, oltre Rai e Mediaset, le altre televisioni tutte insieme. Ebbene, anche per ciò che riguarda i ricavi, indicando il terzo polo Sky con la percentuale del 29 per cento, mi chiedo quanto di questa percentuale derivi dalla pubblicità e quanto, invece, dal costo dell'abbonamento.
Oggi, in Italia, perdura una situazione di duopolio per ciò che riguarda la raccolta pubblicitaria. Publitalia ha oltre il 60 per cento, mentre Sipra oscilla tra il 28 e il 29 per cento, per

 

 

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un totale pari al 90 per cento. Solo il residuo 10 per cento è per tutto il resto delle televisioni. Qualche confronto con i «terzi poli» europei: ad esempio, in Francia il terzo polo raccoglie il 20 per cento della pubblicità; in Spagna il 27 per cento; in Germania l'8 per cento; in Inghilterra esiste addirittura il « quarto polo», che raccoglie l'8 per cento del mercato pubblicitario. La7, in Italia, raccoglie poco più del 2 per cento.
Credo che l'idea di stabilire un tetto per la pubblicità vada verso la giusta direzione; anzi, secondo il partito che qui rappresento, il tetto del 45 per cento è ancora troppo alto.
Inoltre, nel disegno di legge è interessante la frequenza degli spot: un aspetto molto importante, soprattutto per un servizio pubblico, come anche il conteggio delle telepromozioni fatte dagli stessi presentatori che stanno conducendo una trasmissione, le quali non sono comprese attualmente nel conteggio degli affollamenti pubblicitari.
La domanda, invece, che desidero porle è la seguente: vorrei conoscere che tipo di riflessioni avete formulato sul mantenimento - e a volte anche cambiamento - della Rai più come servizio pubblico e non come inseguitrice di un certo modo di fare televisione, tipico della televisione commerciale, la quale è ovviamente libera di fare le proprie scelte. Quest'ultima è libera, ad esempio, di escludere le persone che hanno più di sessantaquattro anni dalle rilevazioni Auditel, in quanto considerate un target non commerciale. La televisione di tipo pubblico, che ha nel proprio DNA la tutela dell'audience in tutte le sue variazioni, anche anagrafiche, non considera un ultrasessantaquattrenne come una persona commercialmente poco interessante.

CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della Rai. La ringrazio, poiché, a causa della mia età, mi coinvolge direttamente.

 

 

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WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Quando parlo di inseguire un sistema tipico della televisione commerciale, mi riferisco, ad esempio, alle tante occasioni in cui molte persone, anche cambiando canale, effettivamente non capiscono bene la differenza tra televisione pubblica e televisione privata. Parlo della concorrenza non sulla qualità, ma sul format: mettere in concorrenza due reality show, nella stessa giornata, e usarli proprio come i programmi più importanti sui quali misurare l'indice di ascolto.
Le domando anche quanto la Rai, servizio pubblico, tuteli la dignità della persona con la qualità dei suoi palinsesti. Si tratta, anche in questo caso, di un elemento molto importante. Le chiedo se il tipo di messaggio e di umiliazione, anche fisica, cui vengono sottoposte alcune persone per ottenere maggiore Auditel, faccia parte del principio di un servizio pubblico.
Mi chiedo anche, visto che da poco abbiamo recepito il trattato sulla diversità culturale, quanto la Rai recepisca, nella revisione della direttiva sulla televisione transfrontaliera, che la tutela della diversità culturale è parte integrante di uno strumento necessario per confrontarsi con i processi di globalizzazione. Affermo ciò soprattutto in considerazione della transizione che la Rai sta vivendo in questo periodo.
Per quanto riguarda, infine, la sua osservazione sull'opportunità di considerare il trasferimento non di una rete, ma di una quota della capacità trasmissiva - come è stato ricordato prima anche dal deputato Falomi - ritengo che questo punto debba essere oggetto non soltanto di maggiori spiegazioni, come le è stato già richiesto, bensì anche di una maggiore riflessione in questa sede.

NICOLA BONO. Desidero evidenziare che lei, presidente Petruccioli - con grande eleganza, da par suo -, ha svolto una relazione fortemente critica verso il disegno di legge in

 

 

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discussione e l'ha fatto toccando tutti i punti nodali con grande delicatezza, ma con altrettanto grande determinazione. Voglio richiamarne i punti essenziali alla memoria dei colleghi che mi sono parsi non cogliere questo aspetto, che invece ritengo peculiare.
In primo luogo, lei critica indirettamente il contenuto del disegno di legge quando afferma, con forza, che parlare ancora di duopolio sembra un fatto superato (quantomeno dell'analisi oggettiva dei ricavi, ma facendo anche capire che non è solo un problema di ricavi). Non sarebbe quindi sbagliato se lei volesse, in relazione al disegno di legge, fornire qualche ulteriore chiarimento su questo punto.
In secondo luogo, in alternativa all'ipotesi di cedere una rete, lei ha avanzato altre ipotesi, che potrebbero apparire più suggestive. Mi pare strano che, avendone parlato con il ministro, questo aspetto non sia stato valutato, colto e discusso. Sarebbe utile che lei chiarisse questo punto, poiché effettivamente appare interessante capire che cosa lei intenda per una quota della capacità trasmissiva complessiva, e soprattutto comprendere l'aspetto dello switch off per aree territoriali, piuttosto che per intere reti.
Il terzo aspetto, che emerge con evidenza di critica, è l'esigenza, ribadita nella parte centrale della sua relazione, di una maggiore trasparenza nel governo delle frequenze. È sostanzialmente un invito, una petizione, un auspicio che ciò avvenga per legge o altro atto amministrativo, considerato che si tratta di uno degli aspetti - su questo convengo - che possono costituire un deterrente all'entrata di nuovi operatori.
In ordine al tetto del 20 per cento della capacità trasmissiva complessiva, lei, rispetto agli attuali limiti della Gasparri, si dichiara soddisfatto.

 

 

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CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della Rai. Io della Gasparri non ho parlato.

NICOLA BONO. No, lo sto dicendo io. Dico quello che penso. Rispetto ai limiti previsti dalla legislazione vigente, lei ritiene soddisfacente il tetto del 20 per cento della capacità trasmissiva complessiva. Vorrei comprenderne la ragione. In una parte della sua relazione lei dice «con particolare soddisfazione»; quindi, se lei è particolarmente soddisfatto, vorrei capire se anche noi possiamo condividere questa soddisfazione, almeno nelle motivazioni.
Infine, in chiosa alla sua relazione, in ordine al progetto di legge, mi pare evidente la mancanza di un riferimento alla riforma della Rai. Ciò è stato già evidenziato dai colleghi Sanza, Caparini e Lainati, quindi non starò a ripetere il concetto. Le chiedo, però, un'osservazione generale, da tecnico e da presidente della Rai. Ritiene normale procedere ad una riforma dell'assetto radiotelevisivo nazionale e rinviare a tempi incerti la riforma della Rai? È normale che si possa procedere - noi non lo riteniamo normale - all'esame di una normativa che dovrebbe contenere inevitabilmente questa parte considerevole della riforma del sistema radiotelevisivo pubblico?
Le ricordo che in questa Commissione, al di là delle posizioni di rispettiva collocazione nella maggioranza o nell'opposizione, un minimo di ragionamento sul contenuto di ciò che discutiamo e di convergenza sui parametri minimi da valutare dovrebbe esserci. Poiché mi pare che finora, almeno su questo punto, tale convergenza non si sia registrata, forse una sua valutazione tecnica e terza potrebbe aiutarci a lavorare meglio.

 

 

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EMERENZIO BARBIERI. Mi limito a tre domande, che (le chiedo scusa, presidente Petruccioli) saranno secche, in modo da consentire a lei una replica più ampia.
Nella sua relazione, a pagina 4, è contenuta un'affermazione a mio giudizio importantissima, che spero e mi auguro abbiano ascoltato anche i due relatori i quali, non a caso, sono i presidenti delle due Commissioni. Quando lei parla dell'alta definizione, scrive che si deve far coincidere l'HD con il decollo del digitale, perché non si possono fare, anche per ragioni industriali e commerciali, due rivoluzioni in modo sfasato. Io la penso esattamente come lei e credo che, da questo punto di vista, sarebbe utile che venisse fornita un'indicazione concreta e operativa, in modo tale che abbia un senso il lavoro di discussione e, per quanto mi riguarda, di modifica del disegno di legge del Governo.
Dico ciò perché ho sentito dire che un partito autorevolissimo della maggioranza pensa di abbassare il tetto del 45 per cento. Faccio presente che questo è un disegno di legge del Governo, non del ministro Gentiloni. Immagino, quindi, che il ministro Ferrero si sarebbe potuto opporre, come ha fatto per l'Afghanistan, in sede di Consiglio dei ministri. Chiudo questa parentesi, che non interessa il presidente Petruccioli, al quale chiedo quindi indicazioni precise.
Seconda questione. Mi interesserebbe che lei fosse molto concreto su quello che, a suo giudizio, il disegno di legge del Governo dovrebbe contenere in più sulla questione della confusione e dell'aleatorietà che si registra nel governo delle frequenze, in modo tale che tutti possiamo comprendere che cosa lei intendesse dire.
Ultima domanda. Lei è il presidente della Rai. Il presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai ha detto, 48 ore or sono, che a suo giudizio è un errore

 

 

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formidabile quello di voler mandare avanti l'iter del disegno di legge Gentiloni in maniera disgiunta dall'ipotetico disegno di legge a cui lei, per la verità, nella sua relazione fa riferimento in modo molto simpatico. Anche lei, come tutti noi, afferma di aver letto sui giornali quello che intende fare Gentiloni, visto che non si è mai degnato di venire in Parlamento a spiegarcelo. Vorrei capire se lei condivida l'opinione del presidente Landolfi, secondo cui non ha senso mandare avanti il disegno di legge attuale senza che sia accompagnato contestualmente da un provvedimento di riforma della Rai.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi intervenuti. La materia è molto ampia, anche se molte domande possono essere sintetizzate; spetterà al presidente Petruccioli fornire le risposte.
Do quindi nuovamente la parola al presidente Petruccioli per la replica.

CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della Rai. Vi ringrazio molto, onorevoli deputati, per l'attenzione. Dico subito che mi avete un po' commosso, in quanto a più riprese avete tentato di farmi ritornare nella veste di parlamentare. A questi canti di sirene, però, non ho bisogno neanche di legarmi all'albero per resistere; infatti conosco benissimo le acque in cui voi navigate.
Non risponderò a tutta una serie di domande, assolutamente legittime, che ponete a voi stessi riguardo al giudizio sul disegno di legge. Ho detto qualcosa sull'assetto della Rai (ma mi è sembrato di farlo con assoluta prudenza), perché mi sarebbe sembrato ipocrita non affermare quanto ho ripetuto in tante circostanze, conoscendo (non dai giornali, onorevole Barbieri, bensì da Internet, poiché mi è stata inviata, come credo a tutti voi), la nota preliminare del ministro che è già

 

 

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oggetto di discussione pubblica e dalla quale egli si propone di trarre a breve, come ha detto in tante occasioni, un altro disegno di legge sulla governance della Rai.
Si tratta di osservazioni che, sia ben chiaro, riguardano la governance della Rai rispetto a quello che è oggi. Le cose che ho detto sulla governance della Rai, per quel che riguarda il rapporto con il potere politico, la durata, e quant'altro, si riferiscono all'esperienza che sto vivendo. Ho affermato che si tratta di qualche auspicio che vi consegno e, se sono stato imprudente, spero siate disposti a comprendermi.
Tuttavia, ciò non ha nulla a che vedere con il fatto che io possa o voglia intervenire, non solo sul contenuto della legislazione che è a voi affidata, ma addirittura sulla procedura dei vostri lavori. Ciò è quanto di più lontano dai miei attuali compiti e doveri. Veramente andrei fuori dal seminato, se mi permettessi di dire se è bene che voi facciate un disegno di legge strutturato in un certo modo.
L'onorevole Landolfi è un autorevolissimo parlamentare in carica che si occupa di queste cose; ci mancherebbe altro che non dicesse quel che pensa, ma, per quanto mi riguarda, quei tempi sono passati. Io vi riporto semplicemente esperienze, valutazioni e dati da cui trarrete le conseguenze. La mia relazione, fortunatamente, è scritta: l'uso che ciascuno di voi potrà farne è del tutto libero.
Venendo al merito delle domande, prima di tutto affronto la questione della pubblicità. Onorevoli parlamentari, sulla pubblicità non ho detto nulla. L'onorevole Luxuria sa bene che la pubblicità, per la Rai, è regolata specificamente, a prescindere da altri tetti. Essa ha una sua regolazione particolare, che non è minimamente alterata e/o influenzata dalle norme sulla pubblicità proposte dal disegno di legge in questione.

 

 

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Ho qualche cosa da dire sulla pubblicità - l'onorevole De Biasi è andata via - per quel che riguarda il rapporto con il finanziamento al servizio pubblico. Ho fatto un accenno, nella mia introduzione, al fatto se debba mantenersi il finanziamento doppio, o plurimo, tra raccolta commerciale e canone, oppure se, riflettendo sulla funzione del servizio pubblico, non si ritenga di adottare qualche altro meccanismo.
È uno dei punti che pone anche il ministro Gentiloni nella sua nota, confermando l'ipotesi di un finanziamento doppio e dicendo al contempo che, proprio se si vogliono accentuare i caratteri di servizio pubblico e non essere troppo influenzati da esigenze di carattere commerciale, bisognerà nel tempo incrementare la quota del canone e ridurre l'incidenza delle risorse raccolte sul mercato. È evidente, quindi, l'esistenza di questo rapporto.
La pubblicità, in definitiva, ci interessa solo sotto questo aspetto: i tetti non possono incidere minimamente sulla nostra gestione o sulle nostre raccolte.
La parte più significativa, sulla quale si sono concentrate molte delle domande, riguarda la questione dello switch over e la fase di transizione fino al 2012. Una norma specifica del disegno di legge prevede che, entro 12-18 mesi, chi ha più di due reti in analogico debba trasferirne una. Quando si propone di trasferire sul digitale la rete - parlo del disegno di legge - ciò significa che quella rete si chiude in analogico, non si ha cioè il cosiddetto simulcast. Stiamo, quindi, parlando di un modello per cui si va sul digitale e si chiude l'analogico.
Ho fatto presente, sulla base della mia esperienza (poi spetterà a voi trarre le conclusioni che riterrete più opportune), un dato aziendale: per noi sarebbe più facile, più comodo ed economico, sulla base dell'esperienza che stiamo conducendo, se, anziché una rete (mi rendo conto dei motivi

 

 

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che inducono il proponente a fare ciò, ma, se voi mi audite, devo anche dirvi queste cose), potessimo liberare una percentuale per aree territoriali, come è stato fatto in tanti paesi, a macchia di leopardo. Oltretutto, in un paese con la struttura orografica dell'Italia, il sistema a macchia di leopardo è fornito di una spinta oggettiva in più, rispetto a paesi come l'Olanda, tanto per fare un esempio, in quanto c'è bisogno di una diversa intensità di impianti, di trasmissioni, di investimenti e così via.
Questo è un dato che affido alla vostra attenzione. Prendiamo l'esperienza che stiamo facendo in Sardegna. L'esperienza della zona di Cagliari - e poi di Aosta - ci porterà a chiudere una rete, per sostituirla con il digitale. Questo è il primissimo passo. Per gli sviluppi successivi preferiremmo - esigenza condivisa dagli altri operatori -, anziché passare sul digitale la rete di tutta la Sardegna, cominciare ad allargare l'area territoriale di Cagliari, per poi magari prendere un'altra area territoriale, e così via per arrivare, alla fine, a coprire le zone non coperte dal digitale terrestre, con misure che consentano di accedere alle stesse trasmissioni attraverso il digitale satellitare. Si tratta di questioni di carattere tecnico, ma non irrilevanti.
Rispondo all'onorevole Caparini. Non abbiamo deciso noi il passaggio di Rai Due. A Cagliari volevamo portare sul digitale, subito, Rai Uno, proprio perché siamo interessati a concentrare il più possibile il passaggio di tutto, tant'è vero che speriamo che l'anticipo di una rete sia di breve durata e che segua immediatamente tutto il resto. Questo per noi è conveniente: abbiamo bisogno di procedere così.
Per timore del peso che ha nell'ascolto, quindi per timore di qualche reazione non soddisfatta dell'utenza, la scelta di Rai Due ci è stata suggerita dal presidente della regione Sardegna, regione con la quale sia noi, sia il consorzio che comprende

 

 

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anche gli altri, abbiamo una convenzione per il passaggio al digitale terrestre. Non è che vogliamo punire Rai Due: noi anzi volevamo buttare il grosso...
Onorevole Barbi, forse mi sono spiegato male; cerco adesso di essere il più chiaro possibile. Il passaggio al digitale non lo facciamo mettendo in campo un'ulteriore offerta rispetto alle reti esistenti: l'incentivo al passaggio al digitale lo abbiamo già verificato con le esperienze dei canali digitali che abbiamo aggiunto. La vera spinta per l'utenza a passare al digitale è quando esso serve per vedere Rai Uno, Rai Due, Rai Tre, oltre agli altri canali. Questo è lo schema, non altro. Del resto, questo è lo schema previsto anche nel disegno di legge.
A proposito di quest'ultimo, e della soddisfazione che ho espresso per il limite del 20 per cento alle capacità trasmissive, faccio presente che, a regime, in Italia ci saranno 15 multiplex. Questa sarà la capienza complessiva prevista per il digitale terrestre. Per la verità, avremmo dovuto averne 18, ma dopo la Conferenza di Ginevra di questa estate, in cui si sono pagate distrazioni pluridecennali, in quanto si trattava di iscrivere nel registro internazionale alcuni aspetti (cosa che l'Italia non ha fatto), siamo passati da 18 a 15.
Ebbene, il 20 per cento di 15 fa 3 multiplex e la mia soddisfazione è dovuta proprio al fatto che, secondo le nostre valutazioni, il servizio pubblico può continuare a svolgere una funzione rilevante nel sistema televisivo pur disponendo di un ridimensionamento, rispetto ad oggi, delle risorse di frequenza. Nonostante il ridimensionamento, possiamo dire tuttavia che riusciremo ugualmente a fare la nostra parte: questa è la nostra soddisfazione! Se avessi dovuto venire qui a dire che il limite sulla disponibilità di frequenze previsto nella legge ci obbliga a ridimensionare drasticamente il servizio pubblico,

 

 

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ciò avrebbe costituito tutt'altro elemento per le vostre valutazioni. Ecco spiegato il senso della nostra soddisfazione.
È vero: ho espresso un'osservazione, affidandola alla vostra sapienza e alla vostra responsabilità, nei confronti del quadro che il disegno di legge ci offre su quanto dobbiamo realizzare per il passaggio al digitale terrestre. Ho detto che, tenuto conto del vergognoso disordine nel campo delle frequenze esistente in Italia, dovuto ad un accumulo storico di situazioni, mancano le certezze. Sia noi operatori già attivi, sia quelli nuovi che volessero entrare, saremmo tutti molto agevolati, qualora esistessero maggiori certezze di tempi e di disponibilità di queste o quelle frequenze. Si tratta di un aspetto in cui non mi azzardo neppure ad entrare, dato il tasso tecnico molto alto. Tuttavia, il concetto delle maggiori certezze è importantissimo.
Ovviamente, per alcune questioni si sa già che è competente l'Autorità per le comunicazioni, mentre altre possono essere di competenza dell'amministrazione. Riferendomi all'esperienza di altri paesi, ho usato anche un'espressione impegnativa, per dire che queste certezze di tempi, di obiettivi e di vincoli possono essere, talvolta, rapidamente risolte. Negli altri paesi, infatti, si è arrivati anche a mettere in opera atti prescrittivi. Su questa possibilità, a un certo punto, si dovrà decidere.
Per concludere, vengo alla questione del duopolio. Ho fatto presente che, per quello che attiene ai ricavi, il mercato ha la struttura e presenta i dati ufficiali che ho citato. Ho anche ricordato che, per quanto riguarda gli ascolti, lo share evidenzia un'altra struttura. Ringrazio molto l'amico onorevole Falomi per la critica al termine «duopolio». Faccio notare che questa non è una mia espressione; piuttosto, io la subisco. In quanto rappresentante del servizio pubblico, mi sono permesso una volta, di fronte all'evidente esagerazione nell'uso di questa

 

 

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parola, di fare una battuta e di dire che si usa l'espressione «duopolio Rai-Mediaset» come potrebbe usarsi il termine «duopolio» nei confronti di due squadre di calcio che entrano in campo all'inizio della partita. In effetti, è vero che quelle due squadre, quando entrano in campo, occupano interamente quest'ultimo; dopodiché, esse giocano una partita e c'è chi vince e chi perde; a volte si pareggia, e così via.
Figuriamoci, quindi, onorevole Falomi, se non condivido la distinzione. Però, il problema di un mercato in cui i due soggetti della televisione generalista free coprono - parlo di ascolti - un'area così ampia, effettivamente esiste ed è un problema che il disegno di legge si propone di affrontare, introducendo alcune modifiche. Penso, allora, che un maggior tasso di liberalizzazione sia giusto, sia opportuno e sia da perseguire con gli strumenti che voi vedrete.
Non affermo ciò come singolo cittadino, bensì, come ho avuto modo di chiarire nel corso della mia introduzione, pensando che un servizio pubblico svolga il suo ruolo appieno e con piena possibilità di fronteggiare tutti i compiti ad esso assegnati (compreso quello di esercitare un'influenza, se ci riesce, positiva sull'insieme della produzione televisiva), anche se copre un ascolto pari ad un terzo e non pari al 44 per cento.
Per fare un esempio, la BBC ha quella dimensione, mentre la Rai è di gran lunga il servizio pubblico con il livello di ascolto il più alto d'Europa. Ciò è legato alla struttura del mercato televisivo italiano. D'altro canto, quando si è in due è chiaro che la competizione è tra chi arriva primo e chi arriva secondo: non ci sono altre possibilità. Che il servizio pubblico sia impegnato in questa battaglia, mi sembra ovvio.
Un'ultimissima questione, sperando di non aver dimenticato nulla...

 

 

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ANGELO MARIA SANZA. L'impegno della Rai per il digitale terrestre?

CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della RAI. Lei mi ha chiesto se esista un ritardo negli investimenti. È evidente che tale ritardo esiste.

ANGELO MARIA SANZA. Perché?

CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della RAI. Vuole che le dica i problemi interni o quelli esterni?

ANGELO MARIA SANZA. Non sto dicendo che è colpa sua...

CLAUDIO PETRUCCIOLI, Presidente della RAI. Innanzitutto, il quadro istituzionale esterno, nel quale il passaggio al digitale può avvenire, non è ancora ben definito. In secondo luogo, i problemi di carattere economico non costituiscono certo un mistero. In questi anni non abbiamo nuotato nell'oro, tanto che solo quest'anno abbiamo avuto il recupero parziale dell'inflazione nel canone, a incidere sul 2007, mentre negli anni precedenti ciò non era avvenuto.
In terzo luogo, il passaggio al digitale terrestre è effettivamente assai complesso e richiede interventi di carattere strutturale, fra cui - era il punto che rischiavo di tralasciare - anche l'ipotesi di dar vita, non ad un gestore unico, bensì unificato, cioè ad un impegno unico, che comporterebbe anche una separazione tra la rete di diffusione e i produttori di contenuto. Tutto ciò, proprio sulla base delle difficoltà e delle esperienze che stiamo affrontando, può rappresentare una chance in grado di smuovere, forse, realtà che fino a ieri erano piuttosto restie.

 

 

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Infine, si è rilevata anche una certa carenza, onorevole Sanza, nell'impegno pubblico, dello Stato. Lei sa che nel paese di gran lunga più avanti nel passaggio al digitale terrestre, vale a dire l'Inghilterra, i costi degli investimenti, per la modifica degli impianti necessari per il passaggio al digitale, sono stati coperti da stanziamenti ad hoc, ulteriori rispetto al canone.
Per quel che riguarda i contenuti, negli ultimi tempi è avvenuta una sperimentazione molto limitata di canali diffusi in digitale, Rai Utile, Rai Futura, e via elencando. Adesso, esattamente con la fine dell'anno, abbiamo deciso di entrare in una fase ulteriore, molto più impegnativa per quel che riguarda i canali: abbiamo deciso di non continuare su quei canali e di attribuire quelle (ed altre) risorse, per ora, a Raisat. Successivamente tali risorse saranno attribuite ad una struttura di direzione interna che abbia una maggiore solidità, accingendoci così ad un arricchimento - non sostitutivo - dell'offerta generalista, soprattutto attivando due canali nuovi: uno per i ragazzi, già abbastanza costituito, l'altro dato dal potenziamento del canale sportivo, Rai Sport, con una serie di ulteriori contenuti che stiamo acquisendo e che possono rappresentare un certo valore.
Se lei mi domanda se siamo soddisfatti di quello che abbiamo fatto con il digitale terrestre, le rispondo tranquillamente: no. Se mi domanda se ci accingiamo a fare di più, le rispondo indubbiamente: sì. Se mi chiede se la Rai, in vista di un agente unificato per la rete di trasmissione, sia disposta ad unire i propri sforzi e le proprie risorse a quelle di altri, le rispondo: certamente sì, ci crediamo e vogliamo farlo.
Riscontriamo negli ultimi mesi una disponibilità a questo progetto, da parte degli altri interlocutori interessati, di gran lunga maggiore di quanto fosse avvenuto in passato. Si rileva una vera apertura, anche perché esistono fortissimi interessi

 

 

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industriali e finanziari che vedono nell'unificazione e nel potenziamento della rete (anche per fornire ulteriori servizi di telecomunicazione) la possibilità di fare investimenti di una certa consistenza.
Ad ogni modo - mi spiace, onorevole Lainati, di fare riferimento ad un avvenimento passato, ma lo dico senza alcun intento polemico - se il progetto di mettere Rai Way sul mercato, tramite una joint venture con un soggetto industriale, fosse stato fatto cinque anni fa, quando quell'operazione era stata predisposta, oggi saremmo molto più avanti. Invece, in quell'occasione l'operazione è stata bloccata. Si tratta, per carità, di volontà e decisioni di carattere politico che non commento, ma questa è la realtà. Questa è una delle ragioni che, a mio avviso, hanno determinato i citati ritardi.
È ovvio, onorevole Luxuria, che quando si parla di pluralismo è come quando si alza la bandiera: scatto in piedi sull'attenti. Non ho affrontato questi temi - e me ne scuso - come però anche altri problemi di contenuti, perché oggi sono stato convocato dai presidenti, che ringrazio e con i quali mi scuso per essermi particolarmente dilungato, per essere audito su una questione specifica, cioè il disegno di legge n. 1825. A quello mi sono attenuto.
Naturalmente, al di là del rapporto istituzionale che intratteniamo con la Commissione di vigilanza, se queste Commissioni vorranno, in altre circostanze, convocarci nuovamente per affrontare altri problemi, saremo pronti e a disposizione.

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Petruccioli, per la chiarezza della sua esposizione e delle sue risposte. Non mancheranno occasioni, soprattutto quando affronteremo il tema della riforma della Rai, per tornare ad incontrarci.
Dichiaro conclusa l'audizione.

 

 

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Audizione di rappresentanti del Gruppo Telecom Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul disegno di legge C. 1825, recante disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale, l'audizione di rappresentanti del Gruppo Telecom Italia.
Do ora la parola, per la relazione, al dottor Antonio Campo Dall'Orto, direttore generale television - Telecom Italia Media.

ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, Direttore generale television - Telecom Italia Media. Onorevole presidente e onorevoli commissari, innanzitutto vi ringraziamo per l'opportunità che abbiamo di rappresentare le posizioni di Telecom Italia Media sul disegno di legge in oggetto.
Desidero sottolineare subito che condividiamo le linee generali del disegno di legge, che contiene alcune disposizioni che riteniamo utili ed efficaci per promuovere, in Italia, lo sviluppo della tecnologia digitale e i processi di convergenza che stanno avvenendo tra i media. Ci riferiamo, in particolare, alle misure mirate al consolidamento della tutela del pluralismo e della concorrenza, nonché ai principi di una più equa redistribuzione delle risorse economiche all'interno di questo settore.
Siamo ben consapevoli che il passaggio al digitale rappresenta una tappa fondamentale per aprire ad una sempre maggiore concorrenza il mercato televisivo italiano. Ma, allo stesso tempo, pensiamo che, se le regole del gioco non cambieranno già nel corso degli ultimi anni di trasmissione televisiva in tecnica analogica, quello che ci troveremo ad avere davanti sarà soltanto un semplice trasferimento delle posizioni consolidate dal mercato analogico a quello digitale. Ritengo che ciò non rappresenti l'auspicio di alcuno.

 

 

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Un parziale riequilibrio, a questo punto, dei rapporti di forza del mercato analogico rappresenta la condizione necessaria per non trasferire, anche nel mercato digitale, lo stesso duopolio che si è consolidato negli anni e che non è stato finora minimamente scalfito.
Il nostro auspicio è che questo cambiamento trovi concreta attuazione già nel corso del 2008, attraverso l'introduzione di regole semplici e immediatamente applicabili: due requisiti, a nostro avviso, fondamentali. Ci auguriamo che ciò avvenga diversamente da quanto è accaduto finora con gli interventi legislativi, che si sono limitati ad introdurre principi generali (a volte condivisibili, altre volte meno), la cui applicazione è stata demandata, in molti casi, all'autorità di settore, nonché frenata da ritardi e contenziosi.
Ritengo che venti anni di storia di Telemontecarlo - che penso tutti voi abbiate conosciuto - e cinque anni di storia di La7 siano gli esempi più lampanti dell'impossibilità di una concorrenza sostenibile nell'industria televisiva italiana.
Il mercato italiano della radiotelevisione è caratterizzato dalla presenza - caso unico nel panorama europeo - di un'impresa privata e di una pubblica, entrambe titolari di tre reti analogiche. In aggiunta la Rai, incaricata del servizio pubblico radiotelevisivo, ricava metà delle sue risorse dalla pubblicità. Complessivamente, Mediaset e Rai trasmettono oltre 5 mila ore di spot all'anno, alle quali vanno aggiunte alcune centinaia di ore di telepromozione.
È evidente, in questa situazione, la sostanziale carenza di livelli concorrenziali nel mercato di riferimento, nonché la difficoltà incontrata da buona parte dell'industria, noi compresi, nel competere con un sistema duopolistico consolidato e, al momento, inscalfibile.

 

 

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Si parla spesso - ne avete parlato anche qui - del concetto di «nuovi entranti». Dovrebbe, tuttavia, essere chiaro a tutti voi che, se i soggetti che sono già entrati non hanno un incentivo (abbiamo apprezzato che ci sia stato un chiaro riferimento a questo) a continuare ad investire, in quanto non riescono a farcela, il concetto di «nuovi entranti» diventa virtuale.
Penso quindi che l'attenzione ad un caso come il nostro sia molto rilevante, non per darci importanza, bensì perché se non riusciamo a farcela noi, vi assicuro che non ce la farà nessun altro dopo di noi. A tale riguardo, provo a citare alcuni dati concreti relativamente a ciò che abbiamo fatto negli ultimi anni.
La7 ha investito, negli ultimi cinque anni, 820 milioni di euro (sono numeri facilmente verificabili nei nostri bilanci, pubblicati anno dopo anno, visto che siamo una società quotata in borsa), a fronte di ricavi per 360 milioni di euro. Si tratta di uno sbilancio, quindi, che si aggira intorno ai 4-500 milioni di euro. Non ho inserito all'interno di questi calcoli i quasi 250 milioni di euro che abbiamo investito per l'acquisto di nuove frequenze. Questo è, in qualche modo, il prezzo che abbiamo pagato per passare dall'1,7 per cento di quando abbiamo ereditato la rete al 3,1 per cento, che è il nostro dato ultimo, riferito all'anno trascorso.
Allo stesso tempo, mediante il tipo di programmazione che abbiamo realizzato (penso che ad alcuni di voi siano familiari programmi come Otto e mezzo, L'infedele, Le invasioni barbariche, Markette), penso che siamo riusciti a contribuire non soltanto ad accrescere la quantità di canali presenti nell'etere terrestre italiano, ma anche alla diffusione di un concetto di cui si parla molto, ma spesso a sproposito, che è il concetto di pluralismo.

 

 

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Il pluralismo non consiste tanto nell'aumentare la quantità di offerte, bensì nel fatto di poter provare ad introdurre dinamiche, prospettive e punti di vista che siano originali e diversi da quelli che esistevano prima.
Crediamo di aver svolto questo lavoro in maniera apprezzabile, ma ciò, come avrete intuito, ci è costato molto dal punto di vista degli investimenti. Nonostante tutti i complimenti che riceviamo dal punto di vista della programmazione, rimane evidente che il criterio in questo caso non è di qualità della programmazione o di risposta del pubblico, bensì di struttura. Con l'attuale struttura del mercato televisivo italiano non sono possibili fenomeni, che invece sono assolutamente rilevati e rilevanti in altri paesi europei, per cui il terzo operatore riesce a raccogliere risorse sufficienti a permettergli di fare l'editore, cioè il proprio mestiere.
Senza entrare nei dettagli, Channel Four in Inghilterra, MCC in Francia, Antena 3 in Spagna e Sat 1 in Germania, sono tutti il terzo editore, e quello che raccoglie meno risorse di questi è MCC in Francia, che raccoglie intorno ai 600 milioni di euro, mentre noi ne raccogliamo appena 200. Senza considerare il caso di Sat 1 in Germania, che raccoglie quasi 2 miliardi di euro, essendo il terzo operatore su quel mercato.
Dal punto di vista degli ascolti la situazione non è diversa, in quanto la concentrazione presente nel mercato italiano fa sì che, tornando al confronto con i nostri colleghi di altri paesi, Sat 1 ha quasi il 20 per cento e Channel Four il 10 per cento, ma nessuno è costretto come noi (nonostante gli investimenti che facciamo) ad avere un riscontro d'ascolto che, sommando anche gli ascolti di MTV e La7, comunque non supera il 4 per cento.
Ciò vuol dire che questa struttura è assolutamente bloccata; resiste da venticinque anni, immutata. Lo share della Rai ha

 

 

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oscillato tra il 43 e il 48 per cento in questo periodo, mentre quello di Mediaset tra il 40 e il 44 per cento. L'unica cosa che è cambiata di recente, nonostante questo lento addormentarsi della televisione generalista e una crescita, anche se limitata, di La7 - come vi ho appena raccontato - è la crescita dei canali satellitari, che, come sapete, si muovono su un modello di business completamente diverso, in quanto vivono dei soldi, innanzitutto, delle famiglie italiane.
Ho fatto questa premessa perché di disegni di legge ne abbiamo visti tanti. A questo tavolo siedono persone che lavorano in televisione dall'inizio degli anni novanta, e c'è chi ha cominciato con la televisione all'inizio degli anni ottanta. Ne abbiamo viste tante di leggi, e questa, secondo noi, rappresenta l'ultima occasione che abbiamo per far sì che vi possa essere anche in Italia una sostenibilità della competizione nell'industria televisiva.
Essendo, dunque, favorevoli ai principi che ispirano il disegno di legge, vorremmo brevemente illustrare le nostre osservazioni e proposte sui tre principali temi di nostro interesse.
Il primo tema è il seguente: come promuovere lo sviluppo della concorrenza, a fronte della concentrazione pubblicitaria di Mediaset e Rai? Il secondo tema è: come evitare che le nuove regole siano alla fine inapplicabili o si verifichino ritardi nella loro implementazione? Il terzo tema è: come rendere celere ed ordinato il passaggio al digitale?
La prima distorsione è quella del servizio pubblico. Il servizio pubblico italiano finanzia soltanto per metà le sue reti e il suo 44 per cento di ascolto tramite il canone, mentre finanzia l'altra metà acquisendo risorse pubblicitarie, in concorrenza con il settore privato.

 

 

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Il disegno di legge affronta la questione che riguarda la concentrazione pubblicitaria in capo a Mediaset, che al momento raccoglie intorno al 60 per cento della pubblicità televisiva. La proposta legislativa vieta questa posizione e tenta di comprimerla, o di ricondurla ad un livello del 45 per cento, che tra l'altro è un livello simile a quello dei principali operatori televisivi degli altri paesi europei. Ciò comporterebbe la liberazione di circa 600 milioni di euro di ricavi, che porterebbero nuove risorse ai nuovi entranti, a noi, ai canali tematici, e via elencando.
È chiaro che questa è una prospettiva che può aiutare il settore e noi stessi. Quindi questo obiettivo è da noi fortemente condiviso e ritenuto fortemente rilevante: senza una tale premessa pensiamo che sia impossibile parlare di concorrenza.
Quello che, però, non condividiamo è come il disegno di legge prevede di arrivare a questo risultato. Infatti, la nostra proposta tende ad evitare che le nuove norme risultino inapplicabili o dispieghino i loro effetti troppo tardi. Secondo l'attuale formulazione del disegno di legge, l'operatore dominante può, infatti, scegliere se trasmettere solo due reti in analogico, oppure ridurre due punti percentuali sugli affollamenti. Le due misure sono alternative, ma è chiaro che se Mediaset, come è prevedibile, sceglie di non ridurre gli affollamenti e di anticipare il passaggio al digitale di una delle sue reti, a nostro avviso questa norma diventa assolutamente inefficace.
La riduzione di affollamenti, che sembra esclusa dallo stesso disegno di legge una volta che viene digitalizzata la rete, non comporterebbe nessun cambiamento strutturale. Rete 4 finirebbe in digitale, quando circa metà degli italiani avranno un ricevitore digitale terrestre o satellitare. Quindi, Mediaset rimarrebbe ampiamente sopra il 45 per cento (anzi, secondo

 

 

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i nostri calcoli, sopra il 55 per cento) dei ricavi pubblicitari. Tenete conto che Canale 5 e Italia 1 oggi, con un contesto attuale di sei reti più la nostra, raccolgono già il 48 per cento. È facile pensare che gli ascolti e i ricavi delle due reti digitalizzate si distribuirebbero seguendo gli ascolti che ci sono oggi sulle reti principali, favorendo molto Canale 5 e Italia 1.
Tra l'altro, non è chiaro, poi, cosa accadrebbe. A quel punto, infatti, non si ridurrebbero gli affollamenti e dovrebbe intervenire l'Autorità, ma non ci è chiaro per fare che cosa: un richiamo, una sanzione, oppure misure deconcentrative (ad esempio, l'obbligo di dismettere un'altra rete)? Non ci sembra un percorso credibile.
Sembra di essere tornati alla legge Maccanico, che minacciava pene inapplicabili per chiunque superasse, a quel tempo, il tetto del 30 per cento delle risorse complessive. Ci furono un primo e un secondo richiamo e stiamo ancora aspettando che il terzo richiamo porti a qualche sanzione. Sono trascorsi ormai quasi due lustri.
Per queste ragioni, l'emendamento che proponiamo prevede che ci sia non tanto una posizione vietata, bensì una soglia che faccia scattare la riduzione degli affollamenti, automatica e immediata. In altri termini, l'impresa che supera il tetto del 45 per cento dei ricavi pubblicitari riduce di due punti i suoi affollamenti, anche dopo che ha trasferito una rete in digitale.
Tenete conto che, anche riducendo gli affollamenti al 16 per cento, Mediaset rimarrebbe tranquillamente sopra il 45 per cento della pubblicità televisiva e avrebbe una quota, comunque, superiore a quella dei suoi peer europei, quale TF 1 o MTV.
Perché avanziamo questa proposta? Perché secondo noi è preferibile una misura più moderata, che non risolve probabilmente tutti i nostri problemi, ma che sia applicabile. Per il

 

 

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sistema nel suo complesso, da un lato, probabilmente è meglio una regola certa, piuttosto che sottoporre la prima impresa privata ad una perenne spada di Damocle, a nostro parere talmente punitiva da non poter essere mai usata davvero. Dall'altro lato, per quanto riguarda i tempi, la definizione di affollamenti che proponiamo è una misura asimmetrica temporanea, applicata solo per pochi anni, fino al novembre 2012. Infatti, quando trasferiremo tutti i nostri canali e avremo tutti gli editori in ambiente digitale, con una concorrenza a quel punto più robusta, l'operatore privato principale riacquisterà automaticamente la possibilità di aumentare gli affollamenti, senza bisogno di ulteriori passaggi legislativi.
Per evitare però, che le risorse liberate da Mediaset finiscano prevalentemente alla Rai, aumentando la già enorme dipendenza dalla pubblicità, è opportuno che anche il servizio pubblico riduca la propria parte pubblicitaria. Infatti, se il servizio pubblico riducesse di due punti la pubblicità, in maniera simmetrica rispetto a Mediaset, non si vedrebbe vanificato uno dei propositi della legge, che quindi libererà ulteriori risorse. Diversamente, ci sarebbe soltanto uno spostamento di risorse da Mediaset a Rai.
Questo è l'unico modo in cui l'intervento possa essere efficace e bilanciato già con l'approvazione del disegno di legge in discussione, e potrebbe essere ulteriormente precisato nel momento in cui si procederà alla riforma della Rai.
Altro punto importante è il tema relativo alle telepromozioni. Non abbiamo dubbi al riguardo, nel senso che viene prevista una misura condivisibile ed efficace. Quindi, non ci sentiamo di aggiungere altro, se non il fatto che, così come già indicato, l'applicazione della misura deve seguire immediatamente l'approvazione della legge. Allo stesso tempo, abbiamo riflettuto molto, in quanto pensiamo che questo provvedimento

 

 

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dovrebbe essere asimmetrico. Non c'è motivo per cui il provvedimento relativo all'inserimento della telepromozione e all'affollamento pubblicitario debba colpire anche La7 ed MTV, visto che, se esiste un problema di concentrazione, non riguarda certo noi. Non andrei a proporre alcuna modifica in questo senso, sia per agevolare i lavori, sia perché pensiamo che quello delle telepromozioni sia un tipo di comunicazione che stiamo usando, ma in maniera non diffusa. La7 e MTV hanno, infatti, profili territoriali, per cui non si tratta di una comunicazione essenziale per noi.
Vengo, per ultimo, al rinvio della scadenza prevista per il passaggio al digitale. Riteniamo, e penso che questo sia un concetto facilmente condivisibile, che soltanto lo switch off potrà far conoscere a questo settore una nuova stagione, con il rinnovamento dei formati, il lancio di nuovi canali, l'ingresso di nuovo editori e la convergenza con altre piattaforme digitali.
Non c'è dubbio che il digitale è la tecnologia che può rinnovare il consumo televisivo, affiancando ai canali generalisti i canali tematici gratuiti che abbassino la soglia d'ingresso nel mercato e arricchiscano così i consumi televisivi.
In questo senso, il disegno di legge tenta di incentivare in modo realistico questa transizione, peraltro decisa dall'Unione europea e perseguita con determinazione dai principali paesi. Infatti, il passaggio anticipato di alcune reti dall'analogico al digitale è una scelta condivisibile, soprattutto in Italia, paese caratterizzato dall'offerta analogica più abbondante per numero di canali di quella di qualsiasi altro paese europeo. Anche in questo caso, per evidenti motivi favorevoli alla concorrenza, è doveroso che l'anticipazione del cambio di tecnologia si applichi solo nei confronti degli operatori televisivi dominanti.

 

 

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In relazione a questa data così importante, ovvero allo spostamento a novembre 2012, non ci preoccupa la data in sé. Anche guardando gli altri paesi, non si tratta di una scadenza così distante, lo sembra soltanto. Il vero tema è: cosa accade nel frattempo?
Pensiamo che bisognerebbe procedere, come in altri paesi europei, ad uno switch off programmato. Ritengo di non affermare nulla di scandaloso, se vi dico che il nostro paese fa fatica a pianificare e che, quindi, necessita di regole ancora più strette di altri paesi, per riuscire a compiere una transizione che sia dignitosa. La transizione non avverrà, se contestualmente non si avvia una programmazione sia in termini di reti, sia in termini di area geografica. Occorre determinare quali reti e quali aree andranno per prime sul digitale.
Anche se sembra che manchi tanto tempo, è sufficiente fare alcuni calcoli. In Italia esistono 21 milioni di famiglie e, dall'ultimo riscontro, sembra che 4 milioni di famiglie possiedano il decoder, ragione per cui ne mancano 17 milioni. Ebbene, siamo all'inizio del 2007, dunque mancano sei anni: se dividiamo il numero delle famiglie per sei anni, capite facilmente che si tratta di vari milioni di famiglie che ogni anno dovranno compiere la transizione. Quindi, non è un fatto così distante nel tempo, bensì un passaggio che, se non ci organizziamo, non avverrà.
Altro tema è la capacità trasmissiva. Con il passaggio al digitale, una capacità trasmissiva che si renderà disponibile potrà essere riassegnata, con criteri previamente stabiliti dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alle imprese già operanti sul mercato e ai nuovi entranti.
Consideriamo evidente che la capacità trasmissiva è un problema dell'analogico, non del digitale. Esistono tre profili di criticità. Il primo riguarda l'ambiguità sull'utilizzo delle

 

 

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frequenze ridondanti. Queste, infatti, se mai venissero riassegnate ad imprese che le utilizzassero in analogico, costituirebbero una contraddizione rispetto a quello che vi ho appena detto, e cioè che se vogliamo operare una transizione verso il digitale, non possiamo dare le frequenze che si liberano a editori che facciano business analogico, in quanto frenerebbero automaticamente questo meccanismo.
Il secondo elemento di criticità è la previsione di recuperare frequenze non soltanto da Rai e Mediaset, che sono palesemente i soggetti dominanti, che occupano la maggior parte dello spettro di frequenza, ma anche da noi, che - udite bene - ne utilizziamo il 6 per cento. Provare a prendere frequenze a noi sarebbe un po' contraddittorio rispetto allo spirito di questo disegno di legge che, ripeto, condividiamo; anche perché Telecom Italia Media Broadcasting è l'unico significativo concorrente di Rai Way Elettronica Industriale, e quindi non si andrebbe nella direzione di una maggiore concorrenza tra operatori di questo settore.
L'ultimo profilo di criticità è rappresentato da quella che consideriamo una forte penalizzazione dell'offerta a pagamento in digitale terrestre. Questo provvedimento, che prevede il limite del 20 per cento ai programmi irradiati in tecnica digitale da ciascun soggetto, si applica anche all'offerta pay per view.
Premesso che noi pensiamo che il digitale terrestre sia innanzitutto una piattaforma che andrà a sviluppare l'offerta free, voi sapete che abbiamo comunque un servizio, ancora in fase di start-up, di vendita di partite, concerti e cinema, tramite la nostra piattaforma pay per view in digitale terrestre. Secondo il nuovo disegno di legge, questo servizio da noi non potrebbe essere più svolto nel modo attuale: con il conteggio che avviene, saremmo costretti a diminuirlo fortemente. Ciò

 

 

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avverrebbe, tra l'altro, nel settore della televisione a pagamento, in cui il 93 per cento è in mano ad un soggetto, Sky, che è in una posizione molto vicina a quella di un monopolista. Ci sembra un po' difficile accettare una norma che possa limitarci così tanto sull'offerta pay per view.
In conclusione, le nostre proposte di modifica al testo di disegno di legge mirano, innanzitutto, a riequilibrare il mercato, attraverso l'introduzione temporanea di misure asimmetriche a sostegno delle imprese che vogliono investire in questo settore.
Crediamo che siano proposti interventi correttivi, formulati con spirito costruttivo e coerenti con l'impianto generale del disegno di legge, senza i quali, purtroppo, la prospettata riforma, che come vi dicevo è per noi anche l'ultima occasione, risulterebbe inefficace ed inattuabile. Qualsiasi intervento che fosse più leggero non consentirebbe la sostenibilità della concorrenza; sarebbe un intervento, purtroppo, solamente di facciata. Secondo noi, interventi più incisivi - sulla carta - non risulterebbero credibili e soprattutto non risulterebbero poi applicabili, conoscendo quello che è successo in questo settore negli ultimi venticinque anni.
Le modifiche proposte derivano dalla nostra esperienza di unica impresa che, in questi anni, ha investito centinaia di milioni di euro per poter competere in un mercato ingessato dal duopolio. La nostra convinzione è che, in assenza di misure correttive, la riforma non raggiungerebbe il suo principale obiettivo, ossia rendere il mercato televisivo italiano altrettanto competitivo e garante del pluralismo e del confronto rispetto a quello dei principali paesi europei.
Un'ultimissima annotazione riguarda le persone che lavorano in questo settore. Molto spesso ragioniamo in termini di

 

 

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concorrenza e in termini di aziende, ed è giusto che sia così, lavorando sui numeri: 45 per cento, 93 per cento a Sky, e via elencando.
La verità è che un lavoro legato all'editoria, televisiva in questo caso, è legato inevitabilmente all'esperienza personale di tante persone che in quest'ambito lavorano. Ebbene, quando vi dico che questa è l'ultima occasione è perché, lavorando già da molto tempo nel settore, ritengo che l'esperienza che abbiamo messo insieme sia riuscita a coagulare in questi cinque anni molte delle risorse che, in qualche modo, credevano e credono ancora che in Italia si possa fare concorrenza e abbia senso parlare di pluralismo. Non è così semplice creare una aggregazione per questo tipo di «avventure», le quali, una volta perse, lo sono irrimediabilmente. Non è quindi sufficiente, ad esempio, che fra tre anni qualcuno si svegli e metta dei soldi, perché le cose cambino. Questo perché credo che il pluralismo nasca da una diversa sensibilità. Se avete avuto modo di vedere l'esperienza di La7 di questi anni, potete giudicarla bella o brutta, ma penso che sia difficilmente assimilabile agli altri sei canali.
Mi piacerebbe molto che ciascuno di voi, in Parlamento, sentisse la responsabilità di questa decisione. Visto che rappresentate il paese e avete la possibilità di decidere per noi, la responsabilità di difendere il pluralismo starà in tutti voi.

SERGIO FOGLI, Rappresentante responsabile per gli affari regolamentari di Telecom Italia. I temi più direttamente interessanti per Telecom Italia, rispetto al disegno di legge di cui si sta discutendo, sono quelli che mi appresto ad illustrarvi.
Dal nostro punto di vista, il disegno di legge dovrebbe prevedere che le frequenze rese disponibili, di cui si parlava poco fa, a seguito della restituzione delle frequenze ridondanti e della digitalizzazione delle reti analogiche, siano destinate,

 

 

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oltre che a canali televisivi, anche ad altri servizi di comunicazione elettronica. Al riguardo, le autorità competenti dovrebbero determinare la quota di spettro assegnabile a tali servizi.
Sul punto è in corso un ampio dibattito, anche a livello europeo, sulla destinazione del cosiddetto digital dividend. La Commissione dell'Unione europea raccomanda l'utilizzo di questo digital dividend per lo sviluppo di nuovi servizi e ha previsto, per il prossimo anno, l'emanazione di una raccomandazione che incentivi gli Stati membri a destinare parte dello spettro liberato dallo switch off a nuove applicazioni e servizi.
Inoltre, per quanto riguarda l'obbligo di garantire l'accesso alle proprie infrastrutture a banda larga, per la fornitura del servizio televisivo e la distribuzione di contenuti in modalità lineare ad altri concorrenti, va precisato che tale materia rientra, a nostro avviso, nell'esclusiva competenza dell'autorità indipendente di settore, così come stabilito dalle direttive europee recepite nell'ordinamento nazionale dal codice delle comunicazione elettroniche.
In base a tale quadro normativo, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sta per adottare la delibera concernente il Mercato 18 (servizi di diffusione radiotelevisiva) ed ha già adottato la delibera n. 643/06, che definisce l'offerta per gli operatori che Telecom Italia dovrà realizzare sul Mercato 12 (accesso a banda larga all'ingrosso). Al riguardo, sono state individuate anche quelle funzionalità specifiche che Telecom Italia dovrà mettere a disposizione degli altri operatori, ad esempio il cosiddetto multicast per consentire loro di utilizzare la rete broadband di Telecom Italia per l'offerta di propri contenuti.

 

 

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La norma del disegno di legge dovrebbe, quindi, essere abrogata - mi riferisco in particolare al comma 10 dell'articolo 3 - perché si sovrappone alla regolamentazione europea e nazionale di settore e perché rischia di limitare l'indipendenza e l'autonomia dell'Autorità, unica titolare sulle competenze in materia.
Il disegno di legge, infine, introduce il divieto per Telecom Italia di determinare situazioni di collegamento o controllo verso imprese in posizione dominante nel settore televisivo. Tale norma, che peraltro prevede la contestuale eliminazione del limite asimmetrico del 10 per cento del SIC, posto in capo al Gruppo Telecom Italia dalla legge Gasparri, presenta evidenti profili di illegittimità. In primo luogo, viola il principio di non discriminazione, in quanto introduce una ingiustificata asimmetria a detrimento della sola Telecom Italia, limitandone il diritto costituzionalmente garantito di libertà di iniziativa economica, mentre gli altri operatori televisivi nazionali potrebbero in teoria fondersi fra di loro o con qualsiasi altra impresa italiana o europea di qualsivoglia dimensione o tipologia.
La norma in questione appare in contrasto, inoltre, con la normativa vigente in materia di controllo delle operazioni di concentrazione societaria, la cui competenza - come è noto - è attribuita all'Autorità antitrust. La tutela della concorrenza non dovrebbe essere garantita con norme ex lege che impongono specifici divieti ex ante. Infatti, in nessun paese europeo esistono leggi che limitano l'attività degli operatori di telecomunicazione sul mercato televisivo in base alla loro dimensione nel mercato delle telecomunicazioni. Un'impresa che opera nel mercato liberalizzato e pienamente competitivo non può essere fatta oggetto di una discriminazione così palese.

 

 

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Per le motivazioni illustrate, la norma, a nostro avviso, dovrebbe essere abrogata, mantenendo, però, l'eliminazione del limite asimmetrico del 10 per cento al conseguimento dei ricavi complessivi del SIC, ancora oggi applicato solo a Telecom Italia.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONELLO FALOMI. Ringrazio gli intervenuti perché ci hanno fornito, comunque, alcuni spunti interessanti ai fini di una valutazione più attenta ed approfondita del disegno di legge al nostro esame.
Intendo esprimere solo alcune considerazioni sulle osservazioni formulate dai nostri ospiti e in base al materiale che ci è stato consegnato. Trovo abbastanza interessante la previsione che viene fatta a proposito dell'impatto del disegno di legge, così com'è, sugli ascolti e sui ricavi dell'assetto radiotelevisivo italiano.
Mi pare che sostanzialmente, sulla base di queste previsioni, voi stiate affermando che questo disegno di legge sia piuttosto moderato nel determinare un effettivo cambiamento dell'assetto radiotelevisivo. In termini di ascolto, il gruppo Mediaset perderebbe lo 0,3 per cento, mentre la Rai perderebbe in modo più consistente, circa l'1,4 per cento degli ascolti. Insomma, sembrerebbe più penalizzante per il servizio pubblico che non per il monopolista privato, che è l'oggetto di tutte le sentenze della Corte costituzionale, tese a ripristinare un pluralismo delle fonti all'interno del settore privato.
È interessante anche il dato dei ricavi, almeno quelli che ci offrite sulla base di questa simulazione: secondo le vostre analisi il gruppo Mediaset perderebbe, rispetto alle previsioni del 2008 a legislazione vigente, lo 0,1 per cento dei ricavi,

 

 

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passando dal 58,5 per cento al 58,4 per cento. Molto più consistente sarebbe la perdita, in termini di ricavi, del servizio pubblico radiotelevisivo, che passerebbe dal 29 per cento al 27,8 per cento.
Vorrei porre una domanda su queste simulazioni, per capire come sono state costruite. Voi ipotizzate che la rete Rai che va a finire sul digitale terrestre sia Rai Due. Normalmente, tuttavia, quando si è parlato di passaggio al digitale terrestre, si è sempre sentito parlare in giro di Rai Tre, ed è vero che si ipotizza che Rai Tre, nelle linee generali, diventerà rete di servizio pubblico senza pubblicità. Quindi, credo che il fatto che la rete che andrebbe sul digitale terrestre della Rai sarebbe Rai Due sia stato dedotto dalle linee generali prospettate dal ministro sulla riforma del servizio pubblico radiotelevisivo. Come prima questione, pertanto, vorrei un chiarimento su questo punto.
La seconda questione riguarda un punto del disegno di legge in esame. Parlo dell'articolo 1 e dei principi generali in esso richiamati, fra i quali ritroviamo la questione della tendenziale e progressiva separazione della rete dai contenuti. Qui c'è tutta un'interpretazione, per capire cosa si intende per separazione. Se si tratta, semplicemente, di fondare società distinte, magari in capo allo stesso azionista, è un conto. Altro concetto è, invece, quello di distinguere, o di introdurre nella separazione operatori diversi tra loro, che gestiscano rispettivamente la rete e i contenuti. Questo è un tema che forse vale la pena di approfondire.
Il problema è capire se e come il gruppo Telecom si stia attrezzando su questo terreno. Non so se l'esperienza - che mi pare si stia facendo in Sardegna nella zona di Cagliari e richiamata prima dal presidente della Rai - dell'istituzione di un consorzio tra Rai, Telecom e Mediaset, che permetta di

 

 

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gestire in modo unificato la rete, costituisca o meno l'idea di fondo che può essere estesa su scala nazionale, configurando la costruzione di un soggetto a cui partecipino questi tre operatori per la gestione della rete per le trasmissioni radiotelevisive e quindi costruendo su questo la separazione. Vorrei un chiarimento al riguardo.
L'ultima questione, che interessa in modo particolare il gruppo Telecom, che opera nel settore delle telecomunicazioni, è il tema della web TV. Esiste un'altra tecnologia possibile rispetto al digitale terrestre, cioè quella che utilizza la rete, la banda larga e così via. Ebbene, quanto il gruppo Telecom sta scommettendo su questa tecnologia, che potrebbe essere, a mio avviso, la vera rivoluzione del sistema radiotelevisivo? Vorrei capire quanto il gruppo Telecom stia effettivamente investendo nella banda larga e quali progetti siano portati avanti.
È chiaro che il decollo possibile della web TV può realizzarsi nella misura in cui la capacità trasmissiva, attraverso la rete Internet, diventi una capacità trasmissiva consistente. Le attuali esperienze di web TV sono, infatti, ancora molto limitate, con scarsa qualità televisiva e così via.
Vorrei sapere cosa il gruppo Telecom sta facendo, dal momento che si tratta di due tecnologie in qualche modo diverse, ed essendo il gruppo Telecom un gruppo che, da un lato, opera nel sistema radiotelevisivo tradizionale, ma che allo stesso tempo dispone di una rete di telecomunicazioni che potrebbe dare un grosso impulso al decollo della web TV.

ANTONIO ROTONDO. Per rimanere al tema del disegno di legge in esame, come voi sapete una delle sue finalità è di cercare di liberare le frequenze. Poco fa il presidente Petruccioli ha rilanciato la proposta di trasferire quote della capacità trasmissiva delle reti, anziché trasferire un'intera rete sul digitale, pensando probabilmente anche ad una differenziazione

 

 

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geografica del paese per quanto riguarda le quote stesse.
Vorrei capire come voi vi ponete di fronte ad una proposta del genere, che modificherebbe di fatto uno degli aspetti fondamentali del disegno di legge che stiamo esaminando.

ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, Direttore generale television - Telecom Italia Media. Quote di che cosa?

PRESIDENTE. Di capacità trasmissiva.

MARIO BARBI. Vorrei ringraziare i rappresentanti di Telecom Italia Media e di Telecom, per l'esposizione svolta e per i dati forniti, che richiederanno una lettura più attenta. Le tabelle, ancorché io abbia cercato di leggerle e decifrarle, non sono, infatti, di immediatissima e intuitiva comprensione, essendo costruite a partire da un ragionamento che va ben esaminato.
Mi preme rilevare, nell'intervento svolto oggi, due aspetti che ritengo per noi incoraggianti (almeno per la maggioranza e per l'Ulivo) nel corso dell'esame del disegno di legge Gentiloni. Il primo è che, al di là della valutazione a trama fine che proponete con le tabelle riferite al mercato pubblicitario, voi ritenete che effettivamente l'intervento apra il mercato, incida sulla struttura di quest'ultimo, attualmente rigida e pressoché monopolistica, e quindi favorisca la concorrenza e la possibilità di continuare ad operare per chi è il concorrente più immediato (ancorché in una posizione lontana e svantaggiata, sia per frequenze, sia per reti disponibili) di Mediaset e Rai.
Inoltre, voi esprimete una serie di osservazioni sull'eccessiva moderazione delle misure proposte e sul fatto di prevedere una disciplina di controllo antitrust del mercato pubblicitario anche nella fase del digitale. Questo mi pare un rilievo

 

 

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interessante, che merita di essere tenuto in considerazione e di essere approfondito nella fase successiva dell'esame del disegno di legge.
Mi chiedo inoltre, in modo specifico, come mai, prendendo la tabella relativa all'«Impatto accumulato dei due interventi previsti dal disegno di legge nel mercato TV», mi sembri basso - solo 30 milioni di euro - il maggiore ricavo pubblicitario che ne verrebbe a Telecom Italia Media da questa apertura del mercato. Non so se ho letto il dato esatto, ma questa è una cosa che mi interessa in modo particolare, visto che siete i soggetti direttamente interessati.
Concludo con un altro elemento che mi pare degno di nota e utile per il nostro lavoro, cioè l'invito in qualche modo implicito, contenuto nelle vostre esposizioni, a disciplinare specificamente anche altri mercati che compongono il mercato radiotelevisivo e delle comunicazioni, ad esempio quello della televisione a pagamento. In questo caso, esprimete osservazioni interessanti che mi pare vadano nel senso della filosofia del disegno di legge che, partendo dal mercato pubblicitario, si propone di disciplinare in modo specifico e puntuale mercati chiusi, rigidi, che andrebbero, invece, aperti per consentire uno sviluppo del sistema e delle attività degli operatori.

RODOLFO DE LAURENTIIS. Innanzitutto esprimo un ringraziamento, perché credo che il materiale che ci è stato fornito, molto interessante, meriti una lettura più attenta di quanto si possa fare adesso. Svolgo una considerazione: l'impatto degli interventi previsti dal disegno di legge Gentiloni non mi sembra che sia così stravolgente in termini di liberalizzazione del mercato televisivo, almeno da quello che leggiamo oggi.
Fatta questa premessa, formulo due domande. Mi sembra di capire che il problema che voi sollevate riguarda le norme

 

 

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antitrust al 30 per cento. Se ho capito bene, all'individuazione di questo tetto non corrisponde un automatismo nell'attuazione della sanzione. Vi domando se, a vostro giudizio, questo tipo di tetto antitrust che riguarda solo la pubblicità (e quindi tiene fuori le altre fonti di finanziamento del mercato quali il canone, gli abbonamenti, le convenzioni e quant'altro) possa essere veramente una norma antitrust valevole e valida per tutti i vari competitor sul mercato. In Germania, ad esempio, esiste una norma antitrust che inverte il concetto e riguarda l'audience. Vi chiedo di fornire possibilmente suggerimenti che siano più opportuni e più stringenti.
L'obiettivo che credo si sia prefisso meritevolmente il ministro Gentiloni è quello di procedere ad una liberalizzazione del sistema del mercato televisivo,, sulla quale concordiamo. In queste settimane di dibattito, anche in quest'aula, abbiamo sempre parlato di un convitato di pietra, cioè di un altro provvedimento che riguarda più la struttura di riorganizzazione della Rai, che non è oggi all'attenzione del Parlamento.
Allora, rispetto all'obiettivo importante e condivisibile della liberalizzazione del mercato televisivo, non pensate che non parlare anche di Rai, quindi di assetto di proprietà della Rai, di organizzazione, di governance della Rai, risulti limitativo, proprio rispetto al raggiungimento di questo obiettivo? In questo senso, avete suggerimenti da dare? Quanto può incidere, secondo voi, una riorganizzazione completa del settore?

PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, do nuovamente la parola ai nostri ospiti per la replica.

PIERO DE CHIARA, Dirigente di Telecom Italia. Molte domande sono state correttamente incentrate sull'analisi degli impatti e delle risorse. È vero che l'analisi degli impatti è stata

 

 

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svolta da un istituto specializzato, prendendo a riferimento il trasferimento sul digitale di Rai Due. È chiaro che se la scelta fosse stata Rai Tre, gli impatti sarebbero stati ancora minori. Quello che emerge dal complesso del disegno di legge Gentiloni è che gli impatti sono assai limitati e del tutto insufficienti a garantire la sostenibilità del concorrente già in campo, figuriamoci dei nuovi entranti. In qualche modo, si rimanda a un futuro per noi non credibile, cioè a futuri interventi di Agcom, che avrebbe come unico strumento misure strutturali. È un film che abbiamo già visto in altra epoca e al quale non vogliamo più assistere.
Per questo motivo, noi preferiamo un intervento che abbiamo giudicato più moderato, ma che sicuramente non può essere così moderato da riguardare solamente 170 milioni di risorse, che non risolvono né i problemi della stampa, né i problemi di chi vuole agire nel mercato televisivo. La nostra proposta è che scatti, invece, una riduzione degli affollamenti, sia per Mediaset, sia per la Rai. Diversamente si tratterebbe di un gioco di vasi comunicanti: la pubblicità che si toglie all'uno va all'altro. In questo senso, credo che parte dei problemi della Rai, quelli delle risorse, debbano essere affrontati in questo disegno di legge.
Riguardo alla questione, nel dibattito politico, se sia preferibile utilizzare il 45 per cento o il 30 per cento di risorse complessive e quant'altro, noi ci siamo attenuti alla traccia che il disegno di legge e il Governo ci hanno offerto, ovvero il riferimento al 45 per cento. Abbiamo aggiunto però che bisogna considerare anche le risorse Rai, altrimenti si tratta di una misura squilibrata.
È chiaro che si può scegliere qualsiasi riferimento, purché questo non sia un modo per iniziare un dibattito al termine del quale non succede niente. Non c'è differenza: se voi

 

 

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stabilite il 30 per cento delle risorse complessive e c'è una riduzione di due punti di affollamento, significa ugualmente che Rai e Mediaset riducono due punti di affollamento. Ai nostri fini e ai fini del sistema, il risultato è lo stesso. Se volete indicare non il 45 per cento, ma il 40, o il 50 per cento, ancora non cambia niente, poiché Mediaset sta al 60 per cento e perché comunque la riduzione di Mediaset deve essere simmetrica anche per la Rai, altrimenti è un puro gioco di vasi comunicanti.
Sulla domanda relativa all'operatore di rete, al momento siamo in attesa di un incontro con Rai, che ha annunciato questa proposta, ma che non ci ha fatto nessuna richiesta di incontro.
Come è evidente, Telecom Italia Media ha una vocazione editoriale. Il possesso della rete, per ora, è un elemento di difesa indispensabile, altrimenti non verremmo veicolati dagli altri. Peraltro, la nostra rete è l'unica che veicola davvero editori terzi. Abbiamo alcuni ospiti che pagano per l'affitto della nostra rete e vengono veicolati: il caso Sit Com è tipico. Se Rai ci presenterà un progetto che riduce i nostri costi e ugualmente tutela la possibilità di diffondere, semmai anche meglio, i nostri programmi, staremo a sentire. Se vi sarà convenienza lo si potrà attuare, ma non per obbligo di legge, bensì su una base di convenienza da parte dell'impresa.
Sull'IPTV i colleghi potranno essere più specifici. Vorrei dare solo due warning. Il primo: non spostiamo sempre il tavolo. Arriverà la televisione via cavo, ma per un'intera epoca storica noi abbiamo ancora la televisione via etere. Pensare che, siccome arriverà la televisione via cavo, non si deve mettere mano agli equilibri della televisione via etere è un modo per spostare il problema, mentre quest'ultimo esiste già oggi. Il secondo: non è vero che sia la capienza delle reti a

 

 

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determinare il successo della televisione via Internet, web TV, IPTV e quant'altro. In questo momento le reti, che pure abbiamo attrezzato e continuiamo ad attrezzare con investimenti molto massicci, sono sostanzialmente scariche. C'è un problema di acquisizione dei diritti, di utilizzo delle reti da parte dei detentori dei diritti che, ancora, preferiscono stare su vecchie piattaforme e, a nostro avviso, talvolta sono fin troppo timidi nell'utilizzare le nuove piattaforme.
Quanto alla proposta di Petruccioli, non ero presente all'audizione e quindi ci ripromettiamo di leggere il testo delle dichiarazioni. In linea generale, riteniamo che lo spostamento di reti dall'analogico al digitale sia utile. Certo, qualora esistesse il citato piano di spegnimento per aree, anche l'anticipo delle reti che vanno per prime potrebbe essere coordinato con lo spegnimento per aree. Però, mi pare che le due cose vadano coordinate e che non siano alternative tra loro.
Sul pay, non credo che si possa fare tutto insieme. Avviso che, comunque, esiste un problema anche del mercato a pagamento che, prima o poi, andrà affrontato. Sicuramente quella del mercato a pagamento è una realtà enorme, ma i due mercati mi sembrano separati, nel senso che l'impossibilità di sopravvivenza per qualsiasi competitor nel mercato della televisione in chiaro, finanziata dalla pubblicità, non è determinata dall'esistenza del pay, ma dagli assetti nel mercato della pubblicità in chiaro.

ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, Direttore generale television - Telecom Italia Media. Mi sembra che il dottor De Chiara abbia risposto in maniera molto esaustiva a tutte le questioni poste. Aggiungo solo un elemento. Probabilmente molti di voi, leggendo questo documento, l'hanno trovato (forse esagero un po') sorprendente e disorientante dal punto di vista del

 

 

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riproporzionamento di ascolti e ricavi pubblicitari. La verità è che, anche se sembra contro - intuitivo ad una prima lettura, la premessa che abbiamo fatto è che metà del paese abbia il digitale terrestre. Quindi, Retequattro e Rai Tre si portano con sé una parte minima degli ascolti, mentre la parte rilevante - superiore al 50 per cento - degli ascolti che perdono si riproporziona ragionevolmente tra le quote degli operatori che sono presenti e rimangono, Rai e Mediaset, cioè quelli dominanti.
Combinando quindi un argomento contro - intuitivo a facili azioni sui prezzi, si capisce subito che in realtà accade molto poco. Perciò è importante che si facciano anche gli altri interventi, altrimenti, secondo me, lo spegnimento delle reti può essere giocato come fattore strumentale molto appariscente, a fronte di una sostanza che cambia, in verità, assai poco.

PRESIDENTE. Ringrazio molto il dottor Campo Dall'Orto, il dottor De Chiara, l'ingegner Fogli e gli altri rappresentanti del Gruppo Telecom Italia, anche a nome del presidente Meta.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,40.