BOZZE NON CORRETTE

 

Stenografico Aula in corso di seduta

Seduta n. 598 dell'8/3/2005

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Discussione della mozione Violante ed altri n. 1-00428 in materia radiotelevisiva (ore 12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle linee generali della mozione Violante ed altri n. 1-00428 in materia radiotelevisiva (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).

 

 

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Avverto che la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è in distribuzione e sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare l'onorevole Carra. Ne ha facoltà.

ENZO CARRA. Signor Presidente, in una comunità nazionale che ha assistito, proprio in queste ultime drammatiche ore, alla significativa riconciliazione tra un pezzo d'Italia ed i Servizi di informazione militare, si allarga, invece, il fronte delle polemiche e delle contestazioni con riferimento all'informazione del servizio pubblico: è di questo che stiamo parlando adesso.
Ne è prova la mozione che abbiamo presentato per chiedere il ritorno della legalità ai vertici della RAI: il consiglio di amministrazione attualmente in carica - si fa per dire - è un «4 senza», dove la parola «senza» sta a dire che non c'è più, da mesi e mesi, alcuna forma di garanzia. Arroccato nel palazzo di viale Mazzini, il consiglio resiste, resiste, resiste.
Al momento delle dimissioni di Lucia Annunziata (siamo più o meno al 4 maggio scorso), il consiglio di amministrazione avrebbe avuto l'obbligo, come prevedeva lo statuto allora in vigore, di invitare «senza indugio» i Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica a provvedere alla reintegrazione del consiglio stesso. Ma che fanno i quattro? Indugiano. Già, perché proprio il giorno successivo a quel fatale 4 maggio porterà con sé l'entrata in vigore della legge n. 112 del 2004 (nota come legge Gasparri): così, il consiglio di amministrazione, mutilo e monco, potrà rispondere che non lo si può revocare perché, ormai, chi l'ha nominato, cioè i Presidenti di Camera e Senato, non ha più il potere!
Si dibatte a lungo sul delicato argomento della revoca, quasi fosse la prima volta che si affronta la questione (ma sappiamo che non è così). Poi, messi alle strette, i consiglieri dichiarano in Parlamento di avere acquisito un parere legale che li metterebbe al sicuro e che, quindi, possono restarsene arroccati,

 

 

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ma non dicono mai, in nessun luogo, quale sia l'effettivo contenuto del parere né, soprattutto, a quali quesiti esso abbia dato risposte né, infine, rivelano in quale seduta del consiglio sia stata presa la relativa decisione ed in quali termini. È tutto misterioso in questo consiglio che, provvidenzialmente, diviene oggetto della sanatoria stabilita dal nuovo statuto della società approvato a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 112 del 2004!
Naturalmente, noi restiamo del nostro parere: il consiglio di amministrazione della RAI sopravvive a se stesso in condizione di illegittimità formale e sostanziale. La pensano, o almeno la pensavano come noi, i parlamentari della maggioranza, i colleghi dell'UDC i quali, nel luglio scorso, hanno presentato in Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi una risoluzione che è stata approvata anche dalle opposizioni, da tutte le opposizioni. La risoluzione invitava il consiglio di amministrazione «a completare la fusione tra RAI holding e RAI Spa e a rassegnare subito dopo, comunque non oltre il 30 settembre 2004, le proprie dimissioni».
La risoluzione ha avuto l'effetto di uno sparo nel buio, ottenendo il risultato che è sotto gli occhi di tutti: i quattro hanno stabilito che il Parlamento conta poco, pochissimo. «Non hanno il potere di licenziarci», ha chiarito un consigliere; un altro ha osservato che il nostro era un atto politico (per fortuna non ha detto che era un atto impuro!).
Insomma, non ci hanno sentiti né da un orecchio né dall'altro! E dire che anche il Presidente della Camera, ad un certo punto, ha fatto rilevare ai quattro che il consiglio non era più quello scelto da lui e dal Presidente del Senato.

 

 

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Infatti, non c'è più il presidente di garanzia Tuttavia, anche al Presidente della Camera, che aveva espresso parole di buonsenso (si era limitato a constatare l'accaduto), è stato riservato lo stesso trattamento che i consiglieri avevano riservato a noi: una scrollata di spalle.
Di fronte a tale esibizione di bicipiti televisivi, ci saremmo aspettati da questo consiglio di amministrazione ben altre prove di indipendenza dal potere politico, ben altra adesione allo spirito e alla lettera della legge, vecchia e nuova, e degli statuti, quello vecchio e quello nuovo.
È difficile immaginare un consiglio di amministrazione della RAI tanto forte da fare «marameo!» al Parlamento, con consiglieri che ripetono orgogliosamente di non essere adepti di alcun partito. Mistero. Mai tanta politica, tante immagini di politici, tante polemiche sull'informazione del servizio pubblico, sui panini, sul big mac, sulle trasmissioni di approfondimento!
Vede, Presidente, neanche l'altra sera, di fronte ad un TG1 andato in onda con le notizie della liberazione di Giuliana Sgrena, ma senza quelle delle morte di Calipari, con un effetto incredibilmente grave che ha messo in gravissima difficoltà anche le più alte cariche istituzionali, non abbiamo sentito una parola da questo consiglio di amministrazione. Non esiste la notizia - ha osservato un giornalista -, esiste soltanto il politico che la commenta. A questo siamo arrivati con il servizio pubblico della RAI.
Allora, i quattro membri del consiglio di amministrazione della RAI, silenziosi quando avvenivano gravi episodi di disinformazione o di cattiva informazione, sono stato molto loquaci quando si è trattato di difendere la dubbia legittimità della loro permanenza. È questo il punto.
Li accusiamo, quindi, di non aver saputo sfruttare l'eccezionalità della situazione, la loro indubbia ed illegittima forza in questo momento, in cui si trovano inspiegabilmente contro l'opinione pubblica e le critiche che muoviamo quotidianamente; si trovano in questa situazione da più di un anno. Perlomeno, potevano rendere un servizio all'informazione, non dovendo, se lo avessero voluto, chinare il capo verso qualcuno.

 

 

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Potevano lavorare in piena libertà al miglioramento del servizio pubblico. Hanno pensato soltanto a proteggersi.
Chiediamo al ministro dell'economia di prenderne atto e lo facciamo con questa mozione che chiede il dimissionamento di questo consiglio d'amministrazione, per ripristinare, su questo punto essenziale, in momenti così gravi per il nostro paese, la legittimità e la legalità alla RAI (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Romani ed altri n. 6-00102, il cui testo è in distribuzione (vedi l'allegato A - Risoluzione sezione 2).
È iscritto a parlare l'onorevole Rutelli. Ne ha facoltà.

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, è necessario portare in questo dibattito una posizione ferma ed essenziale.
Il consiglio di amministrazione che è stato insediato alla RAI è ormai abusivo. Non dispone della fiducia della Commissione parlamentare di vigilanza. Lo stesso Presidente di questa Assemblea ha richiamato da tempo l'anomalia di una situazione: si sceglie un presidente definito di garanzia, cui si affianca un consiglio di amministrazione formato da quattro personalità espressione dell'area della maggioranza. Il presidente di garanzia si è dovuto dimettere perché posto nell'impossibilità di esercitare la sua funzione.
Ora, si immagina di gestire la fase della campagna elettorale con un consiglio di amministrazione formato interamente da membri che si riferiscono alla maggioranza di Governo, nell'unico paese al mondo nel quale il Presidente del Consiglio resta proprietario delle altre televisioni private e gestore diretto dei proventi della pubblicità televisiva.
Si registra nel nostro paese, quindi, una situazione macroscopica di conflitto di interessi e di violazione dei diritti fondamentali al pluralismo ed alla libertà di espressione. Ebbene, in un tale contesto, signor Presidente, siamo nell'impasse anche per la nomina relativa alla fondamentale Autorità per le garanzia nelle comunicazioni. Domani, infatti, a mezzanotte, scade il termine del mandato dell'attuale presidente dell'Autorità, il professore Cheli; ebbene, ignoriamo quale possa essere una prospettiva di uscita dall'impasse in quanto,

 

 

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come è noto, la nomina deve essere definita di intesa con le opposizioni. La legge, infatti, prescrive che, così come, in base alla sciagurata legge Gasparri, il presidente della RAI dovrà essere espressione di una vasta maggioranza - i due terzi del Parlamento -, lo stesso debba avvenire per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ricordo, al riguardo, che tale istituzione dovrà svolgere una funzione di controllo sul rispetto delle pari condizioni durante la campagna elettorale appena iniziata. Dunque, si tratta di una situazione senza precedenti in un contesto democratico; un consiglio di amministrazione della RAI monocolore, una televisione privata gestita ad uso e consumo del Presidente del Consiglio, un'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni privata, tra breve, delle sue funzioni; privata con ogni probabilità, anche se non conosco il parere degli organi competenti circa la fattibilità di una proroga delle dette funzioni. Vi è, insomma, il rischio di non poter contare neppure su organismi di garanzia per lo svolgimento della campagna elettorale.
La presente discussione avviene, peraltro, in un momento in cui l'attenzione dell'opinione pubblica è concentrata sulla vicenda di Baghdad e sulle sue inquietanti implicazioni; una vicenda che considero una delle pagine più brutte e dolorose della vita repubblicana. Oggi, poi, certamente la giornata è poco propizia; l'8 marzo indurrebbe, infatti, ad una maggiore attenzione per altri temi, legati alla condizione femminile ed alla parità dei diritti. Ma è oggi che si discutono in Assemblea, in coincidenza con l'inizio della campagna elettorale, questi atti parlamentari riguardanti la RAI e l'indirizzo della Camera dei deputati su una materia decisiva per la nostra democrazia.
Mi auguro che dallo svolgimento del dibattito venga, anzitutto, una risposta chiara del Parlamento, che è chiamato, per legge, ad esercitare una specifica funzione attraverso l'apposita Commissione di vigilanza, ma che esercita anche la sua sovrana funzione di libertà e di tutela dei fondamenti dello Stato di diritto. Oggi, in Italia, però, ciò non avviene, signor Presidente; lo ribadisco, abbiamo un consiglio di amministrazione illegittimo ed abusivo. Invito tutti ad assistere alle trasmissioni di due, in particolare, delle tre reti di proprietà del Presidente del Consiglio; trasmissioni nelle quali lo spazio

 

 

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dedicato alle opposizioni non raggiunge il 10 per cento del tempo disponibile, anche durante la campagna elettorale.
Inoltre, come già ho accennato, verrà a mancare la funzione di controllo esercitata dall'Autorità; con ogni probabilità, infatti, il Governo preferirà non procedere ad una designazione, in quanto non è nelle condizioni di ottenere l'assenso delle opposizioni su un nome autorevole al di sopra delle parti.
Non è giunto, dunque, il momento di cambiare rotta? Per la maggioranza, certamente no; per l'opposizione, invece, sì. Noi, infatti, ci auguriamo tale cambiamento risulti già dal voto di oggi, anche alla luce di vicende recenti in base alle quali, da parte del principale telegiornale di questo paese, si è scelto di non dare la notizia dell'uccisione di Nicola Calipari per un tempo infinito rispetto ai tempi che dovrebbero caratterizzare l'immediatezza dell'informazione. Ciò mentre, paradossalmente, il TG5 aveva dato, in apertura, la notizia di questo tragico avvenimento, che di certo mutava di segno gli eventi comunicati da Baghdad.

 

 

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Allora, noi abbiamo di fronte un'informazione controllata: l'Italia, sotto questo punto di vista, è un caso internazionale!
Pertanto, seppure con brevi parole, e tratteggiando questi problemi fondamentali - vale a dire l'illegittimità del consiglio d'amministrazione della RAI e l'inconcepibilità della gestione diretta, da parte del Presidente del Consiglio, di tre televisioni di sua proprietà -, vorrei dire che non intenderemo assuefarci mai ad una dinamica di questo genere! Anche se sembra che siamo calati in una notte in cui tutte le vacche sono scure, non accetteremo mai che ciò accada nel nostro paese!
Si tratta di un'aspirazione fondamentale del centrosinistra. Infatti, non appena avremo riconquistato la maggioranza sia in Parlamento, sia nel paese, il nostro obiettivo sarà non punire le televisioni di proprietà del Presidente del Consiglio, ma riportare finalmente l'Italia nell'ambito di una dialettica degna di un paese civile. In tale prospettiva, sia le reti private, attraverso un maggiore pluralismo ed una maggiore concorrenza, sia la televisione di Stato, dovrebbero operare nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione, e ribaditi nell'unico messaggio che il Presidente della Repubblica ha rivolto al Parlamento nel corso del suo settennato.
Si tratta, infatti, dei principi intangibili su cui si fonda quella parola che oggi appare essere ciò che le democrazie occidentali vogliono esportare nel mondo: la libertà! Ebbene, noi dobbiamo dimostrare di saper amministrare la libertà in casa nostra, in ordine alla gestione della televisione pubblica e privata!
Vorrei ricordare che il sistema delineato dalla cosiddetta legge Gasparri era imperniato sul famoso SIC (sistema integrato delle comunicazioni), ma nessuno sa che fine esso abbia fatto, poiché l'autorità chiamata a definirlo sta «astrologando», da mesi, nella presumibile impossibilità di riuscire nell'intento. In Italia il sistema dell'informazione non è squilibrato: è viziato in profondità, e noi ci attenderemmo che le autorità di garanzia vengano poste nelle condizioni di operare adeguatamente, a maggior ragione nell'ambito di una delicatissima campagna elettorale.
Ciò che è avvenuto l'altra sera, al TG1, è l'indizio di un desiderio di controllare non l'informazione, ma la verità dei

 

 

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fatti, mandando in onda soltanto quei fatti che si reputa siano compatibili con strategie di comunicazione utili per il Governo. Si tratta di fatti pesanti, sono realtà nei confronti delle quali vorrei ribadire che l'opposizione non intende accettare la logica dell'assuefazione!
Signor Presidente, nel ringraziarla, mi avvio a concludere. Pur sapendo che ci siamo occupati di vicende che hanno toccato molto di più l'attenzione e l'emozione del popolo italiano, e che questa discussione rischierà probabilmente di scivolare nella routine parlamentare, auspico tuttavia che quest'oggi, nell'aula di Montecitorio, vengano fornite risposte ai quesiti che ho posto. Non si può andare avanti, infatti, con un consiglio di amministrazione «monocolore», perché non avviene in nessuna parte del mondo; non si può andare avanti con alcune reti televisive, di proprietà del Presidente del Consiglio, che ignorano le esigenze fondamentali del pluralismo!
Vedo l'onorevole Romani in aula, e gli dico che credo di essere tra le decine di esponenti politici dell'opposizione a essere mai stati intervistati da almeno un paio dei tre telegiornali di proprietà del Presidente del Consiglio. Non si tratta certamente di un danno né per il pubblico, né, probabilmente, per chi le parla, ma è la prova di una gestione familistica e scandalosa di mezzi che sono concessi dallo Stato.
Si tratta, infatti, di concessioni pubbliche, ed esiste un equivoco fondamentale tra un'impostazione di impresa che riguarda le televisioni del Presidente del Consiglio ed il fatto che esse esercitino il loro mandato sulla base di una concessione ricevuta dallo Stato, e per conto di tutti i cittadini! È un servizio pubblico anche quello che svolgono le emittenti e le radio locali dei nostri piccoli centri, figurarsi se non lo sono Italia1 e Retequattro nei loro notiziari!
Il terzo tema che intendo affrontare riguarda le autorità di garanzia. Signor Presidente, si può pensare che durante questa campagna elettorale non sia in esercizio l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni? Credo di no.

PRESIDENTE. Onorevole Rutelli, concluda!

FRANCESCO RUTELLI. Ed è per questo che l'opposizione si augura che la mozione, che abbiamo unitariamente presentato, sia approvata oggi dall'aula di Montecitorio, e che ciò

 

 

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ci consenta di iniziare a voltare pagina (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rognoni, che illustrerà anche la mozione Violante n. 1-00428, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

CARLO ROGNONI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, è da più di dieci mesi che la RAI è stata irresponsabilmente «abbandonata» nelle mani di un consiglio politicamente «decapitato» e delegittimato. È dal maggio 2004, ossia da quando Lucia Annunziata si è dimessa dalla carica di presidente di garanzia, che la stessa ragione d'essere di tale consiglio è venuta meno. Non dimentichiamoci, infatti, che è venuto meno il patto, non scritto, di cui erano promotori e garanti i Presidenti di Camera e Senato. Ad ognuno dei quattro partiti di maggioranza si garantiva un rappresentante nel Consiglio; alle opposizioni tutte si consentiva di essere rappresentate da un isolato presidente di garanzia. Lucia Annunziata si è dimessa, dopo quattordici mesi di presidenza, sia per denunciare i guasti che la legge Gasparri stava per riversare sul servizio pubblico, sia per mettere a nudo il fallimento della formula detta del «quattro più uno»: un presidente schiacciato tra quattro consiglieri maggioranza ed un «onnipotente» direttore generale, scelto dal Governo di centrodestra, aveva davvero ben poche possibilità di svolgere serenamente il proprio lavoro. E pure, in quei quattordici mesi, Lucia Annunziata, con la sua presenza battagliera, ha evitato che la RAI entrasse in una spirale perversa, in cui, invece, è precipitata negli ultimi dieci mesi: perdita di credibilità, tradimento della missione del servizio pubblico, mancanza di una chiara strategia di crescita nell'epoca della rivoluzione digitale. La RAI, rispetto al suo concorrente privato, al suo partner nel duopolio radiotelevisivo, gioca in difesa. Mediaset «aggredisce» le tecnologie digitali, si inventa la pay per view con il calcio, mentre la RAI sta a guardare: sembra un pugile «suonato». Per di più, essa è in grave ritardo rispetto agli obiettivi fissati dalla legge. Forse, non avrebbe dovuto aver coperto con il digitale terrestre il settanta per cento della popolazione italiana entro gennaio 2005? Non

 

 

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mi sembra proprio che ci siamo. E su quel quaranta per cento di canali digitali che la RAI deve affidare ad imprenditori privati, con quale criterio il servizio pubblico si sta muovendo? Sarebbe necessario anche capire come aprirà il mercato ai nuovi imprenditori.
La mozione che oggi discutiamo, che porta la firma di tutti i presidenti di gruppo del centrosinistra, di tutti i partiti dell'Unione, ha anche questo obiettivo: suonare l'allarme per i rischi che corre quella che tutti definiscono - e continuano a chiamare - la più grande azienda culturale italiana, e che sempre meno lo appare; denunziare all'opinione pubblica la scelta fatta da questo Governo di conservare il più a lungo possibile una situazione di precarietà gestionale, con il risultato, ben preciso ed evidente, di inasprire ancora di più i rapporti tra maggioranza ed opposizione, rendendo ancora più palese il conflitto di interessi del premier. Il Consiglio d'amministrazione della RAI, appena approvato il bilancio 2004, si dimetterà - così ha assicurato, in Commissione di vigilanza, il ministro Siniscalco -, ma capire i problemi aperti ed i guasti che lo stesso lascia in eredità al prossimo consiglio d'amministrazione è importante. Voglio ricordare il vuoto lasciato dalle dimissioni del presidente di garanzia, dovuto all'assenza di una rappresentanza delle opposizioni in RAI, ma anche alla mancanza di un elemento di equilibrio politico. Il modo migliore per ricordare ciò credo sia quello di offrire alle riflessioni di tutti alcuni flash su ciò che il presidente di garanzia ha fatto quando era presente: anzitutto, ha impedito uno spreco di denaro pubblico, nel dare «l'altolà» ad un progetto inquietante di acquisto di frequenze televisive, costringendo la direzione generale a muoversi con più trasparenza ed accortezza. Non 131 milioni di euro sono stati spesi - come aveva, invece, richiesto la direzione generale -, ma 21 milioni. Ciò è stato fatto rispettando anche i tempi, molto stretti, imposti dalla legge. È grazie alla presenza di un presidente di garanzia se si è ridimensionata l'improvvisa vocazione «immobiliarista» della RAI. La RAI si è messa a comprare ed a vendere terreni, immobili e palazzi. Un'altra battaglia condotta dalla presidenza è stata quella della riorganizzazione dell'azienda: una struttura piramidale, che fa

 

 

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capo ad un vertice, alla cui guida vi è l'«onnipotente» direttore generale. Tale visone si contrappone all'idea di mantenere reti e testate con una reale autonomia editoriale.

 

 

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Certo, ciò anche a costo di avere alcuni doppioni. Togliere o ridurre l'autonomia, in realtà, può essere venduto ad un osservatore distratto come misura per dare più efficienza e ridurre le spese; mentre vuol dire, molto più banalmente, controllare meglio servizi e programmi.
Lucia Annunziata è dovuta intervenire anche per impedire alcuni abusi di potere del premier, alcune sue invasioni di campo (ricorderete tutti la sera in cui telefonò, nel bel mezzo di una trasmissione di calcio, per dire la sua).
Non va, poi, dimenticata la parte più importante del lavoro che ella ha svolto nei 14 mesi: la denuncia di come la cosiddetta legge Gasparri non fosse all'altezza della riforma del sistema di cui il paese aveva bisogno. Questa legge penalizzava, in particolare, il servizio pubblico, e lo sta ancora penalizzando.
Per un verso, la RAI è costretta ad accollarsi pesanti investimenti proprio per mettere in onda due multiplex digitali, che consentano a Mediaset di restare nel campo dell'analogico in una posizione forte, così come accade oggi. Per un altro verso, signor ministro, essa deve fare i conti con una privatizzazione balorda e insensata. Nel caso della privatizzazione - a parte questo ministro, che mi sembra un novello Candide, poiché continua imperterrito a far finta di vivere nel migliore dei mondi possibili, sostenendo il suo modello di privatizzazione - lo stesso ministro dell'economia e delle finanze Siniscalco sembra prendere tempo, mentre all'interno della maggioranza alcuni parlamentari di buonsenso cominciano ad avvertire l'insensatezza di un progetto che in Europa ha solo un precedente: nella Russia di Boris Eltsin.
Si capisce bene come, all'indomani delle dimissioni del presidente di garanzia, alcuni ministri, uno in particolare, forse, abbiano brindato: cadeva l'ultimo ostacolo a fare della RAI un servizio totalmente asservito agli interessi di una parte. Se l'Annunziata ha commesso un errore, è stato quello di pensare che, senza un presidente di garanzia, l'intero consiglio di amministrazione sarebbe finito in pensione, come era giusto

 

 

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accadesse. Ha sopravvalutato la sensibilità istituzionale e il senso del rispetto delle regole di gran parte di questa maggioranza.
Ora, sono sotto gli occhi di tutti gli errori, i difetti, le paure dei quattro consiglieri rimasti al loro posto a dispetto di tutti. In questi ultimi dieci mesi, i casi di censura sono aumentati, ma soprattutto sono aumentate le violazioni del buonsenso. Anche l'ultimo grossolano errore in cui è caduto il TG1 di Mimun in occasione della liberazione di Giuliana Sgrena, quando è riuscito a non dare tempestivamente la notizia della tragica morte del funzionario del SISMI, è la prova di come sia giusto sospettare che in quel telegiornale le priorità non siano le notizie, ma il modo in cui vengono date. Insomma, la burocrazia e la politicizzazione prevalgono sui fatti di cui i telespettatori avrebbero il sacrosanto diritto di essere informati.
Pochi giorni fa, il Sole 24 Ore ha pubblicato una tabellina illuminante sui tempi che le TV dedicano alla politica. A me ha suscitato un certo effetto leggere che nel telegiornale de La7 vi è un equilibrio superiore a quello di molti telegiornali del duopolio e, dunque, anche del TG1 e del TG2 in particolare. Se fossi il direttore di uno di questi telegiornali del servizio pubblico proverei una gran vergogna.
L'idea di condurre una battaglia culturale per cercare di non abbassare il livello della programmazione non sembra neppure aver sfiorato questo consiglio dimezzato. I reality show, ormai, la fanno da padroni e servono a fare ascolti; ma si perde per strada lo spirito e la ragion d'essere del servizio pubblico. Per rendercene conto, vorrei citare quanto dichiarato, poche settimane fa, da Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente di Mediaset: «La RAI è diventata una TV commerciale a tutti gli effetti, in particolare, da quando ha raddoppiato le strisce di gioco preserali ed ha puntato sui reality. Basta dire che noi (Mediaset) quest'anno facciamo solo Grande Fratello e La Fattoria; la RAI trasmette L'Isola dei famosi, Il Ristorante, Ritorno al presente e Music farm. Penso che questo non sia un fatto positivo per il sistema radiotelevisivo». Parole di Berlusconi junior. Certo, lui ha i suoi interessi da difendere, ma è nell'interesse degli italiani lo scadimento della TV pubblica?
Infine, vi è un punto che mi fa dire che il comportamento dei quattro consiglieri rimasti è disdicevole: la privatizzazione alla Gasparri della RAI. Possibile che nessuno di loro abbia

 

 

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sentito il bisogno di mettere pubblicamente in dubbio il senso di un'operazione che non ha senso? Possibile che nessuno di loro abbia alzato la voce davanti a un direttore generale che, per alzare il valore dell'azienda, sta mettendo la RAI sotto stress? Egli vuole un margine operativo lordo alto, al punto da poter dire che la RAI vale almeno 5 miliardi di euro. Già, ma cosa succederà quando l'ubriacatura da quotazione in borsa passerà e quando non sarà più possibile mantenere la stessa attenzione di oggi?
Sono problemi che non toccano questi quattro consiglieri di maggioranza? O forse anche loro pensano ciò che in molti stanno pensando anche all'interno della maggioranza, ma non hanno il coraggio di dirlo esplicitamente, ossia che questa privatizzazione non si farà mai?
Ciò senza contare che una privatizzazione avviata da un consiglio delegittimato è decisamente poco invitante per qualsiasi azionista, anche per il più sprovveduto. Diciamo la verità: chi oggi volesse comprare azioni RAI, oltre che sprovveduto, dovrebbe anche essere un signore con la vocazione al mecenatismo. Bisogna avere dei soldi da buttare! Infatti, si comprano azioni di una azienda che per il 55 per cento deve il suo fatturato al canone, il quale viene fissato di anno in anno dal Governo. Se per ragioni demagogiche, come è ha fatto quest'anno il ministro Gasparri, il canone non aumenta, peggio per l'azionista!
Il restante 45 per cento viene dalla pubblicità. Già! Tuttavia, la RAI, essendo servizio pubblico e avendo il canone, non può contare sugli stessi affollamenti pubblicitari di Mediaset, che ha pure le telepromozioni, mentre alla RAI sono proibite.
Ciò vuol dire che chi diventa azionista della RAI sa già che entra nella proprietà di una azienda che ha un concorrente potentissimo, al quale non può fare concorrenza o, meglio, gliela può fare con le mani legate dietro la schiena.
C'è di peggio: i soldi dei nuovi azionisti non vanno ad alimentare l'aumento di capitale della RAI, che così potrebbe avere i fondi per gli investimenti. No, essi vanno al Tesoro, che in parte copre il debito pubblico e, in parte, finanzia gli incentivi per l'acquisto di decoder, aggeggi che servono sì alla RAI, ma anche molto ai suoi concorrenti.
Non è finita: per una valutazione sensata, prima di andare sul mercato bisognerà dire quale parte della RAI che fa

 

 

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servizio pubblico è finanziata dal canone e quale parte, quella commerciale, non dovrà usare le risorse del canone. Ma come viene tracciata la linea di divisione tra commerciale e servizio pubblico? Non è secondario per un azionista potenziale se con la parte commerciale, con la pubblicità - tanto per capirci - si coprono in parte anche le spese del servizio pubblico, così come non è indifferente sapere se per caso è il canone che, invece, va a remunerare il capitale investito da un azionista privato. Insomma, è un gran pasticcio!
Concludo: dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che ogni giorno in più in cui questo consiglio resta in carica è un giorno perso per il futuro della RAI. Oggi la RAI assomiglia ad un'azienda in declino, che non conosce neppure bene quali sono le sue strategie di crescita e di sviluppo, le risorse reali su cui può contare e che rischia di dimenticare la missione che ha e che il Governo dovrebbe ricordarle.
Persino sul digitale terrestre, il settore in cui è costretta ad investire molto dalla legge Gasparri e adesso anche dalle ultime disposizioni dell'Autorità garante delle comunicazioni, la RAI è riuscita a muoversi timidamente. Appare molto più grintosa e determinata Mediaset, non fosse altro che per l'invenzione della pay digitale terrestre per il calcio al consumo.
La RAI che fa? C'è solo da augurarsi che il prossimo consiglio di amministrazione e il prossimo presidente sentano l'orgoglio dell'autonomia editoriale della RAI, che abbiano conoscenza di cosa vuol dire avere la cultura del pluralismo e che abbiano l'ambizione di rilanciare l'azienda, ridefinendone la missione in un mondo in cui la presenza delle nuove tecnologie digitali sta cambiando i punti di riferimento e lo scenario in cui muoversi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.

GIORGIO PANATTONI. Condividendo totalmente le osservazioni che chi mi ha preceduto ha svolto in modo molto approfondito su questo tema, voglio portare all'attenzione dell'Assemblea alcuni aspetti specifici. Lo farò schematicamente, ma vorrei mettere in evidenza che cosa è cambiato da quando il consiglio di amministrazione della RAI è stato

 

 

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nominato dai Presidenti delle Camere. È stata compiuta una scelta che doveva servire prima all'azienda e poi al paese. Queste due condizioni sono oggi totalmente disattese. C'era un presidente di garanzia, mentre oggi non solo non c'è più un presidente, ma quello che più conta per il paese è che non c'è la garanzia.
Quel disegno che doveva garantire al presidente della RAI di condurre in modo equanime, democratico e pluralista la RAI e, quindi, assicurare un tipo di informazione utile al paese è saltato al momento delle dimissioni. È un fatto molto grave in assoluto, ma è ancora più grave per la situazione italiana, che è del tutto anomala rispetto alla media delle situazioni europee.

 

 

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Voglio qui ricordare che RAI e Mediaset sommate raccolgono molto più del 90 per cento dell'audience (si tratta del 95-96 per cento e vi sono punte ancora più elevate in corrispondenza di certi eventi particolari). In tali condizioni come si fa a rinunciare alla garanzia? Che senso ha portare avanti un ragionamento nel quale il paese si vede costretto ad una gestione del servizio pubblico radiotelevisivo che non garantisce più né pluralismo, né libertà, né democrazia dell'informazione?
Si sono visti subito i risultati di tali scelte. In RAI si è introdotta la censura in modo molto curioso e strisciante, qualche volta non palese, ma sicuramente di censura si tratta ed ognuno di noi ha avuto molte occasioni per verificarlo. Sono stati allontanati molti giornalisti e showmen di successo in modo totalmente incomprensibile, proprio in funzione di quell'assenza di garanzia di pluralismo che è il punto dolente di questa situazione particolare. Vi sono stati problemi di democrazia interna e si sono acutizzati problemi di rapporto fra le direzioni delle reti e dei telegiornali ed i dipendenti. Vi sono state deformazioni della realtà ed omissioni clamorose, ed anch'io cito l'ultimo caso della liberazione di Giuliana Sgrena e della morte di Calipari al Tg1. La situazione è disastrosa e dimostra come l'assenza di garanzia equivalga ad un'assenza di libertà del paese.
In secondo luogo, oggi c'è un consiglio di amministrazione tutto governativo: ciò è contro la legge. Vorrei far notare che siamo fuorilegge in Italia. La legge Gasparri, che noi abbiamo avversato ma che, comunque, ha definito un quadro di riferimento, impone il rinnovo del consiglio di amministrazione con regole molto diverse. Questo Governo e questa maggioranza hanno fatto un'azione contraria alla legge che loro stessi hanno approvato. Mi pare un fatto gravissimo per il paese.
In terzo luogo, questo consiglio di amministrazione è stato sfiduciato dal Parlamento: la Commissione di vigilanza RAI ha votato una risoluzione che sfiduciava il consiglio di amministrazione della RAI nella sua attuale composizione. Bene, non è successo nulla. La maggioranza ed il Governo hanno preso

 

 

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decisioni contrarie non solo alla legge, ma anche alle scelte del Parlamento. Si tratta di una questione di alta gravità e di estrema preoccupazione.
In quarto luogo, il consiglio di amministrazione si è autoprorogato: ha deciso che poteva restare in carica a dispetto della sfiducia del Parlamento e delle disposizioni di legge che il Parlamento ha approvato. Ciò è possibile a due condizioni: che vi sia un Governo molto amico e che vengano privilegiati gli interessi di parte che hanno consentito tale situazione estremamente sfavorevole per il paese.
Il ministro Siniscalco ci ha detto che il consiglio di amministrazione resterà in piedi fino all'approvazione del bilancio. Quando avverrà tale approvazione? Nel frattempo vi è una privatizzazione in corso e bisogna fare la separazione contabile tra servizio pubblico e televisione commerciale: si tratta di un'operazione delicatissima che ha già visto scontri sulle technicality. Inoltre, si tratta di un'operazione estremamente discutibile, come l'onorevole Rognoni ha accennato nel suo intervento, perché la distinzione è particolarmente delicata.
Il bilancio del 2004 presumo dovrà essere approvato già nella formulazione corretta, con questa separazione, perché altrimenti sarebbe una grande invenzione per tutti e nessuno capirebbe di cosa stiamo parlando. Mentre il processo di privatizzazione è in corso e va avanti, quanto dovremo ancora aspettare, gestendo una situazione così fuori dalle norme?
Infine, mi permetta Presidente, qualche considerazione su questa privatizzazione. Il ministro Siniscalco è venuto a dirci che molto probabilmente, malgrado quello che afferma, non sarà nel 2005. Egli infatti ci ha detto che occorre fare la separazione contabile, che occorre aspettare la semestrale e che poi c'è tutta la fase preparatoria. È ragionevole pensare che arriveremo al 2006; quindi con un nuovo consiglio di amministrazione finalmente conforme alle previsioni normative, che resterà in carica almeno sei o sette mesi. Ma allora perché non fermare questo processo di privatizzazione, al fine di gestirlo in forma coerente, proprio con quelle garanzie che oggi mancano in questo consiglio di amministrazione? Questa infatti sarebbe una scelta giusta, perché questa privatizzazione è profondamente sbagliata. Essa è sbagliata perché è fatta per la solita questione di far cassa. Inoltre essa non è interessata alla salvaguardia del servizio pubblico, tanto è vero che lascia

 

 

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tutto - sia il servizio pubblico sia la televisione commerciale - in una sola società, privatizzando tutto insieme. Dunque per far fare i soldi ai privati occorrerà sempre di più andare verso il mercato, cioè in senso esattamente opposto rispetto a quello che dovrebbe fare un giusto servizio pubblico nei confronti del paese.
Tante volte abbiamo detto: fermiamoci, proviamo a disegnare un modello che sia giustamente compatibile con le esigenze del paese. Proviamo ad uscire da questa anomalia italiana, che è clamorosa nel panorama delle televisioni mondiali. Proviamo a fare un'operazione che salvaguardi gli interessi reali, non quelli del Presidente del Consiglio, non quelli di Mediaset, non quelli del mercato della televisione commerciale. Torniamo indietro, fermiamoci in questa china pericolosissima di commercializzare la televisione, fino a farla diventare una copia delle televisioni private, perché questo è quello che remunererà il capitale privato che entrerà all'interno della RAI.
Allora per tutti questi motivi noi ci auguriamo davvero che questa mozione venga approvata dal Parlamento. Ce lo auguriamo perché questo paese non si merita una televisione pubblica così scalcinata. Non si merita di dover subire censure e limitazioni nella libertà dell'informazione. Non si merita di essere gestito senza garanzie. Non deve finire in mano ad un consiglio di amministrazione tutto filogovernativo, che non garantisce nulla. Non si merita di far diventare commerciale anche il servizio pubblico. Non si merita questa rincorsa all'audience, che rappresenta l'elemento di degrado complessivo del sistema. Si merita invece una televisione attenta ai valori più reali e si merita una grande valorizzazione della più grande industria culturale del paese. Questo può avvenire solo in un clima che privilegi i contenuti reali di un servizio pubblico, che è un bene del paese, al quale i cittadini non devono a nessun costo rinunciare.
Per questo motivo crediamo che questo dibattito sia di grandissima importanza per riportare l'attenzione di tutti su come si fa a salvare un pezzo del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.

 

 

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DAVIDE CAPARINI. È proprio vero che in questo Parlamento si riesce a dire tutto ed il contrario di tutto. Approfitterei invece dello spazio, che questa discussione apre, per ricordare la coerenza della Lega Nord, il motivo per il quale la Lega Nord è al Governo ed il motivo per cui la Lega Nord sta supportando questo passaggio epocale della concessionaria del sistema pubblico radiotelevisivo al digitale terrestre.

 

 

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Vi ricordo che, nel 1954, nella sede di Corso Sempione a Milano è stato realizzato l'85 per cento dei programmi trasmessi dalla RAI. Sin dalla sua nascita, nella maggior parte dei capoluoghi regionali, presero forma le varie sedi, a cui si aggiunsero, negli anni Sessanta, i centri di produzione.
Fu un direttore di Raitre, un direttore comunista, Angelo Guglielmi, a decretare la morte della culla della programmazione regionale, con la conseguente centralizzazione della Rete tre. Da allora, alle sedi regionali è stato attribuito un mero ruolo di esecutori di ordini impartiti da Roma. Le ristrutturazioni nell'epoca della RAI delle sinistre hanno confermato l'idiosincrasia nei confronti delle identità locali. Basti pensare a Demattè che, con l'alibi di risanare la grave situazione economica, dimezzò i 1.350 lavoratori della sede di Milano.
L'unificazione della testata giornalistica regionale e quella nazionale ha coronato il processo di annientamento dell'autonomia delle redazioni regionali da parte del centrosinistra.
La Lega Nord Padania lavora ad un progetto molto ambizioso: la diffusione e la valorizzazione delle diverse identità culturali e sociali esistenti nel nord, nel centro e nel sud, attraverso una specifica programmazione. Solo in questo modo siamo convinti che potremmo affrancarci dal giogo della cultura nazionalpopolare imposta a colpi di sceneggiati e fiction.
La Padania potrà, finalmente, vedere rappresentata la sua identità, i suoi attori e i suoi cantanti e rompere l'egemonia centralista della RAI, non a caso definita la mamma di tutti gli italiani, un'egemonia culturale che la RAI stessa ha contribuito a consolidare.
Con il nuovo centro di produzione di Milano, di cui si è finalmente chiusa la fase di prequalifica che, come sembra, è di grande successo (vi sono state a tale riguardo molte domande e pertanto vi saranno interessantissimi risvolti), potremmo assistere a programmi pensati, realizzati e trasmessi per il nord.
La storia, le tradizioni e l'immenso patrimonio culturale saranno raccontati senza mediazione o meglio la mediazione

 

 

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omologante di attori e registi che la disprezzano (cito l'emblematico caso della patetica fiction delle cinque giornate di Lizzani).
Finalmente, la nostra cultura, le nostre musiche, i nostri costumi, il nostro presente ed il nostro futuro torneranno sugli schermi della TV nazionale.
La rivitalizzazione dei centri di produzione di Milano e Torino, la rivalutazione delle sedi regionali di Venezia, Trieste, Trento, Genova e Bologna consentirà di inoculare nel circuito mediatico nuova linfa, nonché di raccontare il territorio e le sue genti.
Colleghi, la rete federale parte proprio da qui, dalla rinascita e dalla riqualificazione dei centri di produzione che daranno vita al nuovo polo televisivo del nord.
Noi ci batteremo, perché, finalmente, anche sulla RAI milioni di padani abbiano un voto ed una voce (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sgobio. Ne ha facoltà.

COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è trascorso ormai quasi un anno da quando il consiglio di amministrazione della RAI si è trovato privo del suo presidente. Da allora e nonostante i ripetuti appelli ed inviti, esso è rimasto in carica come se nulla fosse accaduto.
Il problema non è solo formale. Esiste un problema sostanziale di mancato rispetto delle regole. Il servizio pubblico deve avere un vertice che sia in grado di esprimere, in modo adeguato, il pluralismo dei soggetti operanti sulla scena politica e sociale e che operi per garantire il diritto dei cittadini ad un'informazione libera e plurale.
Capisco che forse, con queste affermazioni e con queste richieste, si chiede troppo, ma è nostro obbligo, è nostro dovere avanzarle.
La crisi che oggi emerge con forza nel mondo dell'informazione televisiva è una crisi non tanto di assenza di pluralismo politico, inteso come presenza o assenza di soggetti politici, ma una crisi ben più profonda, che riguarda la rappresentazione del nostro paese, delle sue contraddizioni, dei suoi problemi e delle sue virtù.

 

 

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In Italia occorre parlare di mafia e di criminalità organizzata, perché sono fenomeni che esistono e crescono; bisogna parlare di più e non di meno. Ed è compito del servizio pubblico informare i cittadini sulla recrudescenza criminale nel nostro paese, sulla crisi dell'apparato produttivo, sulle decine di migliaia di lavoratori che vedono le loro aziende entrare in crisi o delocalizzate. È compito di questo pluralismo informare i cittadini; questo è il pluralismo che vogliamo e che ci aspettiamo dal servizio pubblico! Più inchieste sugli immigrati, sulla loro vita dura e meno reality show, più informazioni di qualità e meno inseguimento della televisione commerciale, più approfondimenti sulle capacità del nostro paese e meno scimmiottamenti di modelli culturali ai quali siamo estranei.
Crediamo fortemente nel servizio pubblico, per questo motivo siamo contrari alla sua privatizzazione, o meglio, alla privatizzazione della RAI, perché in questo modo sarebbe proprio il servizio pubblico a soffrirne.
Certo, occorre un profondo cambiamento, serve un rispetto vero delle leggi, a partire da quelle che pure abbiamo duramente contrastato, come la legge Gasparri. Essa detta nuovi criteri per le nomine dei vertici; ebbene, che la si rispetti! Non ci piace, non l'abbiamo votata, l'abbiamo avversata, ma è legge dello Stato e, nel momento in cui si parla di deficit di legalità in questo nostro paese, è compito del Parlamento, delle istituzioni, fornire anche input in positivo.
Purtroppo, quando si parla di televisione, così come quando si parla di temi che riguardano gli interessi diretti del Presidente del Consiglio, diventa difficile svolgere una discussione seria ed approfondita.
In Italia non si può parlare di conflitto di interessi, eppure è una realtà nella quale siamo immersi ormai da quattro anni. Il Presidente della Repubblica, nel suo messaggio alle Camere sul pluralismo dell'informazione, faceva riferimento alla necessità di un pluralismo di soggetti, di un pluralismo oggettivo. Una tesi che vive ancora oggi.
Il nostro è un paese soffocato dalla presenza del premier-editore ed editore pigliatutto, dominus dell'emittenza privata e, da quando siede a Palazzo Chigi, in grado di influenzare anche gli attuali vertici dell'azienda dello Stato.

 

 

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Non è un caso che da un anno nel consiglio di amministrazione della RAI siedono solo ed unicamente rappresentanti della maggioranza.
Il centrosinistra deve far tesoro degli errori commessi in passato. Sin da adesso occorre pensare ad una proposta forte, non punitiva ma efficace sul conflitto di interessi perché quella adottata dalla maggioranza è una sorta di specchietto per le allodole che gira attorno al problema senza affrontarlo.
E per quanto riguarda l'informazione televisiva in particolare, occorre che essa sia libera e pluralista. Occorrono redazioni che non sentano sul collo le pressioni del potere politico e in questo quadro occorre un nuovo riformato servizio pubblico.
Per fare questo bisogna ripartire ancora da una volta da un punto chiave: la democrazia e il rispetto delle regole. Il futuro e la guida della RAI non sono un mero problema di gestione aziendale. Di per sé la gestione della RAI è un problema profondamente democratico.
Oggi l'informazione libera è l'architrave di una moderna democrazia e il nostro paese, invece, vacilla paurosamente sotto le continue spinte autoritarie presenti in questa maggioranza di centrodestra.
Bisogna ritornare quantomeno al rispetto delle regole e della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14,30 con la replica del rappresentante del Governo.

 

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Si riprende la discussione.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro delle comunicazioni, onorevole Gasparri, che esprimerà altresì il parere del Governo sulla mozione all'ordine del giorno e sulla risoluzione presentata.

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intendo cogliere l'occasione per riprendere alcuni dei temi richiamati nel corso della discussione. Si è parlato della trasformazione del sistema radiotelevisivo, anche alla luce della nuova disciplina legislativa della materia. Ritengo che in questi mesi si sia avuta la dimostrazione che la digitalizzazione del sistema televisivo sia una realtà. Gli utenti che dispongono di decoder per la ricezione digitale sono già oltre un milione e mezzo. La RAI ha avviato le trasmissioni con due canali nati appositamente

 

 

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per il digitale terrestre, dedicati a programmi di servizio e culturali. Altre emittenti hanno avviato anche attività di natura commerciale, che si sono in particolare poste in evidenza nel campo dello sport e del calcio, dimostrando come la scelta digitale sia reale e gradita dal pubblico.
L'Italia sta diventando un paese di riferimento per quanto riguarda la trasformazione del sistema televisivo in senso digitale. Nei giorni scorsi, una delegazione del Ministero delle comunicazioni, guidata dal sottosegretario Innocenzi e composta da numerosi tecnici, si è incontrata a Madrid, a Londra, a Parigi e a Berlino con i rappresentanti dei governi spagnolo, britannico, francese e tedesco, con i quali abbiamo già definito o stiamo definendo intese relative all'omogeneizzazione degli standard, agli scambi di esperienze e alla definizione dei tempi, che nei vari paesi europei sono sempre più stretti e pressanti, per il passaggio al digitale. L'Italia è, dunque, un paese di riferimento in questo campo. Mi rivolgo agli scettici: è un caso in cui non siamo noi a seguire gli altri, ma sono gli altri a guardare noi.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego, per cortesia... Un po' di silenzio...

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Altri aspetti evidenziati nel corso del dibattito confermano la validità dell'impostazione della legge. Abbiamo evitato un nanismo imprenditoriale che avrebbe determinato una strisciante colonizzazione del nostro sistema radiotelevisivo. Dobbiamo aprire il mercato a più soggetti, e il mercato televisivo italiano è aperto a numerosi soggetti (nel campo satellitare vi sono presenze internazionali importanti). Riteniamo che la disciplina del sistema integrato delle comunicazioni, anche per quanto concerne l'antitrust, sia la più adatta a garantire da un lato che non vi siano posizioni dominanti e dall'altro che le imprese abbiano dimensioni competitive che nel mercato, non soltanto interno ma anche internazionale, consentano una presenza e una capacità di proiezione del nostro sistema televisivo, anche per conquistare posizioni su altri mercati e in altri paesi.
In Spagna, vi è in questi giorni un dibattito molto acceso sulla legge in materia e sulla decisione di anticipare il

 

 

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passaggio al digitale: in quel paese, vi è la presenza di diversi operatori italiani nel campo televisivo. Nel nostro paese, con l'entrata in vigore della nuova legge alcuni gruppi editoriali italiani - cito il caso del gruppo La Repubblica-L'Espresso - incoraggiati dal nuovo assetto normativo hanno acquistato network televisivi. Ciò dimostra che la legge non è per nessuno, nel senso che è per tutti e non per qualcuno in particolare: numerosi soggetti stanno fruendo della modernizzazione del sistema.
Quanto alla privatizzazione della RAI, alla quale fanno riferimento i documenti di indirizzo presentati, in occasione della recente audizione presso la Commissione parlamentare di vigilanza il ministro dell'economia e delle finanze, a nome del Governo, ha indicato con precisione le relative scadenze. Ribadisco il carattere positivo di una scelta che salvaguarda la funzione del servizio pubblico. Ci si dimentica infatti che la legge affida esplicitamente alla RAI per dodici anni, e dunque fino 2016, la funzione di servizio pubblico, indipendentemente dal fatto che la proprietà dell'azienda sia totalmente, prevalentemente o parzialmente pubblica. La funzione di servizio pubblico non comporta, infatti, la totale proprietà pubblica, e il canone deve essere vincolato a una serie di prestazioni che determinano il contenuto del servizio pubblico.

 

 

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Abbiamo evinto dall'audizione del ministro Siniscalco che la Commissione parlamentare di vigilanza - e quindi, il Parlamento - hanno ricevuto puntuali informazioni sulle attività degli advisor e sull'andamento delle operazioni in corso, che, a mio avviso, possono contribuire a ridurre di molto l'influenza della politica sul servizio pubblico.
Ritengo, pertanto, che una apertura al mercato che salvaguardi le funzioni peculiari del servizio pubblico e la quotazione in borsa possa attenuare notevolmente (è un obiettivo che io auspico) tutte le interferenze che nella lunga storia del servizio pubblico sono provenute dal mondo della politica, non sempre in termini positivi e virtuosi.
Si citano spesso organi della stampa internazionale: proprio oggi abbiamo avuto notizie di articoli che (anche in sede internazionale, ad esempio sul Financial Times) elogiano l'attività della RAI con grande attenzione, rispetto e considerazione. Nel frattempo la BBC deve procedere alla riduzione dei livelli occupazionali ed a trasferimenti direi quasi forzosi, comunque non condivisi. Credo che da parte della stampa qualificata e internazionale sia percepita una situazione di grande attenzione nei confronti della RAI.
Si discute giustamente delle scadenze e del rinnovo del consiglio di amministrazione e dei vertici della RAI; voglio anche ricordare a coloro che, giustamente, denunciano i pericoli del conflitto di interessi, che l'azienda, negli ultimi anni, ha superato in termini di audience la concorrenza diretta. Lo dimostrano i dati complessivi relativi alle rilevazioni sull'intera giornata per il 2003 ed il 2004: questo non avveniva in tante altre gestioni. Ciò porterebbe a pensare che il vero conflitto di interessi forse era presente in altre gestioni, di diverso ambito e di diverso orientamento culturale, nel corso delle quali i risultati di ascolto vedevano la RAI soccombere nei confronti della concorrenza.
Proprio tale concorrenza, invece, è stata sconfitta in questi anni, non solo per quanto riguarda l'intrattenimento. Stamattina si è parlato dell'uso e dell'abuso dei reality show, tema sul quale giustamente vi sono molte critiche fondate, direi erga omnes. Ma dobbiamo pensare alla RAI anche nel campo dell'informazione e delle attività di servizio.

 

 

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In relazione alle polemiche affiorate stamani e riguardanti le recenti vicende ed il comportamento di alcune testate televisive, ritengo di poter sostenere che la RAI non censuri nessuna notizia. Pertanto, considero veramente ingenerose e ingiuste alcune accuse, soprattutto nei confronti della direzione del TG1, riferite alle notizie riguardanti l'uccisione del dottor Calipari. Il TG1, la RAI, svolgono una funzione delicata e, quindi, credo che alcune notizie, soprattutto così tragiche ed in mancanza, nell'immediatezza, dei nomi e dei dati esatti, non vadano rese note senza avere la certezza che i familiari abbiano ricevuto per vie dirette le dovute informazioni.
Credo che la RAI, nel corso di quel telegiornale, abbia fornito le notizie dopo le opportune verifiche, con il rigore dovuto da un servizio pubblico (ma non voglio impiegare del tempo per ricostruire quella edizione del TG1). Ricordo che si tratta di testate che svolgono una funzione paragonabile a quella svolta da un'agenzia ufficiale rispetto ad altre agenzie. Credo, quindi, che non siano state omesse delle notizie ma che queste siano state fornite dopo le opportune verifiche presso le sedi istituzionali (i fatti che venivano comunicati erano ancora in svolgimento), accertandosi, anche, che non fosse la televisione a darle ai familiari.
Quante volte si è criticata la televisione perché persone, familiari di vittime di sequestri o di attentati, sapendo che i congiunti erano impegnati in situazioni rischiose hanno appreso dai mezzi di comunicazione notizie che invece dovevano essere rese note non certo con queste modalità! Credo, quindi, vi siano stati sia rigore negli accertamenti e professionalità nei comportamenti, sia l'esclusione di qualsiasi omissione. Non vedo, poi, la ragione di ritardare una notizia così tragica, attorno alla quale il paese si è stretto commosso, e dalla quale hanno preso il via tante vicende di natura politica e istituzionale. Ritengo che su questo episodio siano state fatte delle affermazioni non condivisibili.
Inoltre, la RAI registra risultati positivi sia in termini di audience sia di bilancio. L'aspetto singolare è che si esaltano le gestioni del passato, che perdevano il confronto con la concorrenza commerciale e registravano bilanci in passivo. Negli ultimi anni la RAI ha presentato bilanci in attivo: il bilancio del 2004, alla cui approvazione sono legate anche le scadenze e le procedure di rinnovo, si annuncia molto positivo, con un attivo di circa 100 milioni di euro.

 

 

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Onorevole Rognoni, questo risultato ha consentito di non aumentare il canone. Avendo svolto a lungo un ruolo di opposizione, capisco che si debbano usare certi argomenti a seconda delle necessità. Ebbene, se avessimo aumentato il canone, si sarebbe gridato a tale aumento e alla vessazione: non avendolo l'aumentato, veniamo accusati di demagogia. Non è così. La virtuosa gestione e l'andamento dei bilanci hanno consentito di non chiedere ai cittadini altre risorse. Questa è la verità dei fatti. Almeno qualche volta vi dovrebbe essere l'onestà intellettuale di riconoscere i numeri e di leggerli.
Comunque, dato che il bilancio di quest'anno è molto atteso, sia perché sarà il migliore dei bilanci nella storia della RAI, sia perché dall'approvazione del bilancio scaturiranno gli adempimenti che tutti hanno annunciato e previsto, ritengo che debba essere sottolineato e valutato.
Per quanto riguarda gli aspetti del pluralismo e dell'equilibrio, ritengo che i dati, da quelli dell'Osservatorio di Pavia a molti altri, dimostrino che i profili di equilibrio sono stati rispettati, anche al di là di quella tripartizione dei tempi (un terzo al Governo, un terzo alla maggioranza, un terzo all'opposizione) che all'epoca di altre gestioni e di altri presidenti della RAI venne santificata, anche a livello di princìpi adottati anche in ambito internazionale, come una equilibrata scansione di tempi tra le istituzioni e le parti politiche.
Credo che sui dati che vengono periodicamente sfornati vi siano eccezioni che talvolta premiano, aldilà di quei dati fisiologici, le forze di opposizione, a seconda delle testate e dei vari organi di informazione. A tale proposito sono stati citati questa mattina alcuni esempi, ma se ne potrebbero citare altri che dimostrerebbero esattamente il contrario; ritengo che la somma dei dati indichi comunque una situazione di equilibrio.
Avviandomi rapidamente alla conclusione, faccio presente che il parere del Governo è favorevole alla risoluzione firmata dal collega Romani ed altri e contrario alla mozione Violante ed altri. In particolare, prendo atto e condivido ciò che la risoluzione presentata dai gruppi parlamentari di maggioranza afferma, in quanto la richiesta sostanziale di questo dibattito è che si proceda al rinnovo del consiglio di amministrazione, il quale è stato stamani, legittimamente dal loro punto di vista, criticato, e che io invece intendo apprezzare ed elogiare per i risultati di ascolto, di bilancio, di equilibrio e di qualità e

 

 

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anche sotto il profilo dei programmi culturali, dei successi di sceneggiati per la televisione, alcuni dei quali hanno toccato anche argomenti di grande rilevanza e che, in sintonia con le leggi varate dal Parlamento, hanno visto la RAI presente su grandi temi di interesse della cultura e della ricomposizione della memoria nazionale. Ritengo che anche questo sia un servizio pubblico che ha conseguito risultati rilevanti.
Ricordo, in sintonia con la giornata della memoria celebrata per la prima volta il 10 febbraio scorso, il film «Il cuore nel pozzo», che ha registrato punte di dodici milioni di ascoltatori: anche questo è servizio pubblico, è essere in sintonia con le scelte condivise che il Parlamento ha adottato pressoché all'unanimità, varando una legge che ha portato i mezzi di comunicazione a parlare e a celebrare eventi e pagine per troppo tempo cancellati ed omessi.
Anche questo credo sia un fatto che tutto il Parlamento debba apprezzare, così come altre pagine di storia, da quella di Cefalonia ad altre, saranno celebrate e ricordate dal servizio pubblico radiotelevisivo.
Il ministro Siniscalco, intervenendo presso la Commissione parlamentare di vigilanza, ha già da tempo annunciato che, entro il mese di aprile, si svolgerà l'assemblea per procedere all'approvazione del bilancio della RAI, come è normale che sia, visto che le nuove norme del diritto societario prevedono che il bilancio vada approvato entro i primi centottanta giorni dell'anno.
A tale proposito si è già espresso il Ministero, che svolge una funzione non di vigilante ma di azionista, per una convocazione entro aprile; mentre, come tutti avranno visto, anche il consiglio di amministrazione della RAI, dopo aver raccolto risultati positivi e lusinghieri, ha annunciato di dover procedere all'inizio o nel mese di aprile (non è questa la sede per scandire le date all'ora o al minuto) alla convocazione dell'assemblea, con gli adempimenti che, dopo l'approvazione del bilancio, apriranno poi la strada, come la legge prevede, all'applicazione delle nuove norme che, peraltro, garantiscono una ampia rappresentatività.
Ho visto in questi giorni esaltare su alcuni organi di informazione, anche di parte o di partito, quel meccanismo di elezione attraverso la commissione di vigilanza, sostenendo che veniva ritardata l'approvazione di un meccanismo di ampia garanzia democratica. Mi fa piacere che quella norma venga

 

 

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esaltata da chi l'aveva criticata e non condivisa: evidentemente, il tempo è galantuomo e fa invocare l'applicazione di una norma all'epoca criticata. Ciò è stato detto e scritto su organi di partiti che fanno riferimento ai gruppi parlamentari dell'opposizione: questo mi fa piacere proprio perché abbiamo voluto quella norma ai fini di un ampio coinvolgimento del necessario pluralismo delle idee, che il servizio pubblico deve registrare non solo nei contenuti ma anche nelle strutture di vertice. Subito dopo l'approvazione del bilancio, si potrà procedere sicuramente all'applicazione di quel nuovo metodo di elezione e anche a quelle misure di garanzia che il Governo e la maggioranza hanno voluto, proponendo questa legge e discutendone in Parlamento, con una presidenza designata con il parere vincolante dei due terzi - maggioranza di due terzi - che vale anche per altri organi, e che deve essere vissuta come strumento di garanzia per evitare le imposizioni delle maggioranze, come anche i ricatti delle minoranze, le quali devono contribuire responsabilmente alle decisioni che, se affidate ad una maggioranza qualificata dei due terzi, vedranno necessariamente prevalere il buon senso.

 

 

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Né imposizioni, quindi, né dinieghi aprioristici. Ritengo, infatti, che sia questo il senso, la ratio, di una maggioranza qualificata che è stata, da questa maggioranza parlamentare e da questo Governo, estesa anche al vertice della RAI.
Per tutte queste ragioni, e mi fermo qui anche se vi sarebbero tanti altri argomenti su cui soffermarsi come ad esempio i positivi risultati di bilancio e degli ascolti conseguiti e la qualità di alcune iniziative di servizio pubblico, ritengo che quella di questi anni sia stata una gestione positiva e rispettosa di tutte le ragioni del pluralismo.
L'approvazione del bilancio darà poi il via libera alle procedure di applicazione della nuova legge che io stesso attendo con ansia e curiosità avendo auspicato quel genere di soluzione. Confidiamo che il Parlamento, nell'approvare la risoluzione Romani ed altri n. 6-00102, dia conferma all'indirizzo già annunciato dai vertici della RAI e annunciato anche, a nome del Governo, dal ministro Siniscalco in Commissione parlamentare di vigilanza (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
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Si riprende la discussione.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazione di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, signor ministro, rivolgendosi a questo Parlamento il Presidente della Repubblica nel luglio del 2002 scriveva in un messaggio alle Camere: «La

 

 

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garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta. E, tuttavia, il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione non potranno essere conseguenza automatica del progresso tecnologico. Saranno necessarie nuove politiche pubbliche per guidare questo imponente processo di trasformazione». E ancora: «Il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza e dell'opposizione. Parametro di ogni riforma devono essere, infatti, i concetti di pluralismo e di imparzialità diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e consapevole in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza democratica». Il Presidente della Repubblica chiudeva poi con queste parole: «Non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazione».
Signor ministro, ho iniziato il mio intervento dalle parole espresse dal Presidente della Repubblica perché in questi due anni quelle parole sono state del tutto dimenticate e smentite dalla conduzione che voi avete tenuto in un campo così delicato e difficile per la vita di una nazione.
Potrei stare qui a fare un lungo elenco, ma i minuti che ho a disposizione sono pochi. Potrei citare un conflitto di interesse che voi non avete mai regolato in modo significativo e risolutivo, che incide innanzitutto esattamente sull'assetto del sistema televisivo e del sistema informativo italiano. Signor ministro, potrei ricordarle che sono stati estromessi, con provvedimenti basati sulla pura discriminazione culturale e politica, uomini della professionalità di Enzo Biagi, di Santoro, della Guzzanti, di Luttazzi, di Freccero. La satira, quella che non piaceva a chi governa questo paese, è stata estromessa dalla RAI; e con essa sono stati estromessi professionisti di provata e riconosciuta capacità, a dispetto di sentenze della magistratura che riconoscono la illegittimità di quei provvedimenti di allontanamento.
Potrei ricordarle l'informazione asservita dei telegiornali. Signor ministro, si faccia dare quotidianamente o settimanalmente i dati dell'Osservatorio di Pavia e guardi qual è lo spazio che viene riservato a chi governa, e alla maggioranza che lo

 

 

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sostiene, nella informazione televisiva e, in particolare, nei telegiornali, e veda poi se siamo in un sistema equilibrato e pluralista. L'episodio dell'altra sera, un episodio che soltanto lei, ministro Gasparri, può permettersi di difendere invocando la prudenza tenuto conto che tutti i telegiornali in quelle ore davano notizia vera, mentre il solo telegiornale di Mimun riteneva di dover ritardare l'informazione veritiera agli italiani, è soltanto l'ultimo di un telegiornale che è fatto così da anni e che, sempre da anni, è un telegiornale che si preoccupa di tutelare prima di tutto gli interessi di informazione della maggioranza di governo.
Poi, se ce n'è, qualche briciolo di informazione anche per l'opposizione, perché serve a rendere più veritiera, naturalmente, l'unilateralità dell'informazione a favore del Governo e della maggioranza che lo sostiene!
Potrei ricordare che tutto il mondo della cultura protesta ...

CARLA CASTELLANI. Cultura di sinistra!

PIERO FASSINO. ... contro un modo di fare televisione che sacrifica la produzione culturale e che un uomo certamente non di sinistra come Albertazzi ha espresso, nelle ultime settimane, giudizi particolarmente severi sulla programmazione televisiva, sulla compressione della dimensione culturale della produzione televisiva.
Insomma, la verità è che c'è una situazione intollerabile, una situazione scandalosa: siamo l'unico paese al mondo nel quale c'è un signore che, come imprenditore, del tutto legittimamente, è proprietario del 50 per cento del sistema televisivo e, come Primo ministro, ritiene di condizionare, ogni giorno, l'altro 50 per cento del sistema, per di più dicendo che lo controlliamo noi, il che mi sembra un paradosso piuttosto significativo!
La verità è che siamo in una situazione del tutto anomala, che questo consiglio di amministrazione della RAI ha reso più acuta. Il consiglio di amministrazione era stato costituito dai Presidenti delle Camere, nell'esercizio delle loro funzioni e prerogative, sulla base di un equilibrio che era tale in quanto il consiglio medesimo fosse mantenuto nella sua composizione originaria, con un presidente di garanzia che era un elemento

 

 

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di bilanciamento in un organo in cui erano nettamente prevalenti i consiglieri che facevano riferimento alla maggioranza di Governo.
Si è fatto di tutto per impedire al presidente della RAI di esercitare le sue funzioni, per spingerla alle dimissioni e per estrometterla e, il giorno dopo, si è proceduto a guidare l'azienda come se il fatto non fosse accaduto, alterando il criterio che aveva ispirato la formazione del collegio.
Vorrei ricordarle, ministro, che il Presidente della Camera, interpellato in proposito qualche settimana fa, ha ritenuto di dover dire che il consiglio di amministrazione della RAI in carica non era più quello che lui aveva nominato. Lo dice il Presidente della Camera, non lo diciamo noi dell'opposizione! Persino nelle parole di chi ha avuto la titolarità del potere di insediare questo consiglio di amministrazione c'è l'ammissione che è avvenuto qualcosa che ne ha intaccato l'autorevolezza, la legittimità e, quindi, la funzione.
Soltanto voi vi ostinate a non vedere tutto questo, per una ragione molto semplice: ritenete che la RAI, come le pubbliche amministrazioni e qualunque altro soggetto che dipenda dal potere pubblico, sia qualcosa di cui potete disporre secondo una concezione proprietaria e padronale. Voi avete messo in discussione, alla RAI come in tante pubbliche amministrazioni, un bene fondamentale: l'imparzialità, l'imparzialità che deve caratterizzare servizi che non possono essere asserviti a questa od a quella casa politica, a questo od a quel Governo, a questa od a quella maggioranza politica.
Questa è la ragione per cui rifiutate ostinatamente di fare quello che perfino la vostra legge dovrebbe indurvi a fare. La fusione tra RAI Radiotelevisione italiana Spa e RAI holding è stata già realizzata e, sulla base della legge che lei ha fatto approvare da questo Parlamento, ministro, il consiglio d'amministrazione che dovrà essere nominato sarà investito della titolarità di funzioni molto più rilevanti di quelle che normalmente spettano al consiglio di amministrazione di un'azienda. Proprio per questo si porrebbe la necessità di nominare un consiglio d'amministrazione da cui tutti fossero garantiti e che fosse garante dell'imparzialità di conduzione dell'azienda.

 

 

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Ciò non avviene. Invece, mantenete in carica, a tutti i costi, un consiglio d'amministrazione che è garante della faziosità, garante della vostra parzialità, garante soltanto per voi e non per gli altri! Questa è una cosa intollerabile ed inaccettabile! Avete una coda di paglia così lunga che, all'ultimo minuto, avete dovuto annunciare, oggi, che presentate una risoluzione nella quale anche voi, finalmente, dite che bisogna cambiare il consiglio di amministrazione (naturalmente entro il 30 aprile, perché è evidente che quello che vi preoccupa di più è ciò che succederà il 3 e 4 aprile). Potrete continuare così, ma badate che non vi basterà! In questi tre anni, avete esercitato il controllo sulla televisione in questo modo, ministro.

 

 

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Le ricordo che, in questi tre anni, tutte le volte che si è votato, le avete sonoramente prese e capiterà anche il 3 ed il 4 aprile (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Unione)! Non si faccia alcuna illusione, perché gli italiani non si fanno imbonire né dalla vostra propaganda né da questo uso distorto e fazioso del sistema televisivo (Commenti del deputato Ascierto)!
Non c'è alcuna ragione perché questo consiglio di amministrazione continui a rimanere lì; non ce n'è soprattutto una, che va al di là del carattere fazioso e parziale che quel consiglio di amministrazione garantisce a voi e non ai cittadini italiani nel sistema televisivo: quel consiglio di amministrazione sta comprimendo e sacrificando l'azienda e le sue possibilità, sta compromettendo un patrimonio di professionalità, di competenza, di capacità che la RAI ha rappresentato e tuttora rappresenta!

GIORGIO BORNACIN. Ma guarda chi parla!

PIERO FASSINO. La vostra RAI rischia di diventare più piccola e meno credibile agli occhi dei cittadini. È una RAI che fornisce un servizio qualitativamente discutibile ed opinabile. State compromettendo un patrimonio nazionale che non vi appartiene, perché appartiene all'intero paese!
State mettendo in discussione...

PRESIDENTE. Onorevole Fassino...

PIERO FASSINO. Sto per concludere, Presidente.
State mettendo in discussione la funzione pubblica del servizio televisivo, quando non c'è paese europeo (e in tutti i paesi europei il sistema è misto) in cui non si riconosca che dentro un sistema misto la funzione pubblica del servizio televisivo continua ad essere essenziale.
Allora, sono queste le ragioni per cui abbiamo presentato questa mozione. Esprimeremo un voto favorevole, ma, al di là della mozione, rinnoviamo in questa sede una proposta che, nelle scorse settimane, abbiamo più volte avanzato: siamo

 

 

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pronti a sederci ad un tavolo e a discutere seriamente sulla scelta di un vertice della RAI che sia caratterizzato da professionalità, imparzialità ed indipendenza. Se lo si facesse, ci impegneremmo a non sostituirlo, quand'anche vincessimo le elezioni e fossimo noi a governare questo paese!
Vi sfidiamo su questo terreno, perché abbiamo questa idea della RAI e dell'informazione, un'idea che privilegia innanzitutto i cittadini e il loro diritto ad un'informazione pluralista ed imparziale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Unione)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gentiloni Silveri. Ne ha facoltà.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Signor Presidente, se la televisione fosse quella che vede il ministro Gasparri, ossia una televisione corretta, equilibrata e bene informata, con i bilanci in ordine e che funziona, le ragioni di questo dibattito sarebbero abbastanza oscure. Invece, credo che il paese ed il Parlamento abbiano a che fare con una televisione che sempre meno gode della fiducia del suo pubblico, la cui qualità è sempre più messa in discussione e soprattutto nella quale siamo di fronte ad una vera e propria emergenza democratica.
Non era mai successo, negli ultimi trent'anni, che il governo della RAI, il vertice del servizio pubblico televisivo, vedesse rappresentate al suo interno soltanto le aree politico-culturali della maggioranza. Non è mai successo in trent'anni, colleghi e amici! Risale al maggio 1975 l'insediamento del primo consiglio di amministrazione dopo la riforma. Da allora, per trent'anni, il vertice RAI ha avuto al suo interno una pluralità di posizioni! Da dieci mesi nel vertice della RAI è rappresentata soltanto una parte del paese. Si dirà che, in fondo, è sempre stato così, che in RAI la politica ha sempre pesato e condizionato le scelte. Ed è vero, naturalmente, che la politica in RAI ha sempre contato: la lottizzazione, la polemica partigiana, anche la faziosità delle trasmissioni da una parte e dall'altra. Ma l'emergenza di questi mesi non ha precedenti, cari colleghi! Non ha nulla a che fare con la lottizzazione e l'influenza della politica degli ultimi trenta, quaranta, cinquant'anni, per due ragioni.

 

 

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La prima, più volte richiamata nel corso del nostro dibattito, è la presenza, a capo del Governo, del proprietario della televisione commerciale; l'aspetto più grave, cari colleghi, è che egli, ormai, tenda addirittura a negare l'esistenza del problema. Alcune settimane fa, forse con la scusante di una febbre alta, il Presidente del Consiglio, addirittura - lo ricordava poc'anzi il collega Piero Fassino -, si è lamentato del controllo della sinistra sulla televisione, lui che controlla, con la sua famiglia e la sua maggioranza, il 90 per cento della televisione italiana.
La seconda ragione è meno episodica - ci auguriamo, infatti, che la leadership di Berlusconi costituisca un fatto episodico -; connessa con il sistema maggioritario, essa, colleghi, dovrebbe interessarci tutti. In tale sistema, la RAI avrebbe avuto tutto l'interesse ad essere meno, e non più, dipendente dal Governo; in tal senso, sono stati compiuti alcuni tentativi. La legge del 1993, ad esempio, che ha affidato ai Presidenti delle Camere il potere di nominare i vertici della RAI, era frutto, appunto, del tentativo di evitare che, nel sistema maggioritario, vi fosse un eccesso di dipendenza del servizio pubblico dal Governo. I Presidenti delle Camere, a loro volta, hanno sperimentato diverse soluzioni, ultima quella del presidente di garanzia (da cui nasce la crisi di questi ultimi mesi).
Ma voi, colleghi della maggioranza, avete seguito una direzione opposta approvando una legge con la quale, formalmente, la RAI viene a dipendere dal Governo; non vi è più, tra il Governo e l'azienda, neanche l'intercapedine dell'IRI o di RAI Holding, tant'è che oggi ascoltiamo il ministro delle comunicazioni difendere - non so bene in base a quali poteri - il direttore del TG1, quasi fosse il suo controllore o l'azionista o comunque, in qualche modo, il proprietario.
La stessa soluzione, imposta con la cosiddetta legge Gasparri, voi, poi, non l'avete portata avanti. Si fa notare da parte di alcuni - e mi rivolgo in particolare ai colleghi dell'UDC - che ormai si è giunti alla scadenza dell'attuale consiglio di amministrazione; persino in una risoluzione presentata dalla maggioranza si nota come, ormai, atteso che tra un mese, un mese e mezzo, il Consiglio di amministrazione verrà rinnovato, si possa evitare di insistere. Ritengo, invece, onorevoli colleghi,

 

 

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come insistere sarebbe stato giusto, e tuttora lo sarebbe. Infatti, se la situazione attuale del vertice RAI è inaccettabile - se lo è, come voi stessi, colleghi dell'UDC, avete riconosciuto votando, il 14 luglio scorso, in Commissione di vigilanza, un atto con il quale si chiedevano le dimissioni del vertice stesso -, la situazione non diviene meno inaccettabile perché si protrarrà solo per un mese, un mese e mezzo. Infatti, si tratta del periodo, cari amici, collegato con la campagna elettorale; questo vertice RAI, nel quale non è rappresentata metà del paese e delle sue aree politico-culturali, gestirà la campagna elettorale delicatissima delle regionali in una situazione resa ancora più grave dal fatto che domani sera, a mezzanotte, come è noto, scade la vigenza dell'attuale Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Oggi stesso lo ha comunicato alle massime autorità dello Stato il presidente dell'authority, professore Cheli; domani a mezzanotte non potrà intervenire neanche l'autorità. Chi controllerà quello straccio di par condicio che rimane nel nostro servizio pubblico televisivo?
Perciò, anche oggi, a proposito della RAI, chiediamo che si vari un decreto per costruire le condizioni perché, almeno per la durata della campagna elettorale, sia prolungato il mandato dell'Autorita.
Non intendiamo seguire l'attuale maggioranza sulla china che interpreta il servizio pubblico come una parte del sistema delle spoglie di cui appropriarsi quando si vincono le elezioni; per tale motivo, chiediamo un gesto di responsabilità oggi con l'approvazione della mozione Violante ed altri n. 1-00428 e ponendo fine allo scandalo in atto nel servizio pubblico televisivo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.

 

 

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ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, dopo lo svolgimento di questi primi interventi, mi sia consentito di approfittare dell'occasione per ribadire la nostra stima ad un consiglio di amministrazione umile, silente, laborioso, poco sensibile ai richiami partitici e culturalmente lontano anni-luce dal vostro modello di gestione aziendale.
È la terza volta che tentate di cacciare il consiglio d'amministrazione della RAI, sostenendo tesi clamorose, a volte anche ardite, senza il benché minimo supporto giuridico e regolamentare, sintomo della vostra scarsa dimestichezza con le regole, delle quali invocate il rispetto solo se vi fanno comodo. Avete valutato attentamente il calendario politico per questo dibattito ad orologeria, godendo della complicità e della pressione esercitata da certa stampa quotidiana e dei pasdaran dell'informazione RAI, sempre ben disposti ad attaccare genericamente il centrodestra.
Ad inaugurare la stagione dei veleni e delle accuse ingiustificate alla RAI fu proprio Lucia Annunziata, che nessuno costrinse alla fuga: anzi. Voi ne state proseguendo l'azione, disconoscendo scientemente i meriti dell'azienda RAI nel suo complesso, anche quando questi appaiono imbarazzanti per la loro evidenza. Perseverando nella politica demonizzatrice del suo consiglio d'amministrazione, state danneggiando l'immagine dell'azienda culturale più importante del paese: si tratta di un attacco sconsiderato ed irresponsabile.
Ci costringete alla banalità, ma questa è la RAI che ha sanato i bilanci, riportandoli in attivo. Sono ben lontani gli scenari apocalittici, finanziariamente parlando, che disegnava l'ex presidente Zaccaria, ogni volta che si presentava alle audizioni parlamentari in sede di Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi: ricordo che era un frequente piagnisteo per la carenza di risorse!
Ebbene, da tempo la RAI - questa RAI - non si autocommisera più per difficoltà di bilancio, poiché la nuova strategia aziendale ha drasticamente tagliato l'inefficienza ed ha riposto massima attenzione nella gestione delle risorse e

 

 

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nella costante ricerca della qualità, che consente già oggi, colleghi della sinistra, alla RAI degli italiani di competere, a testa alta e senza complessi di inferiorità, nel mondo.
Ricordiamo i tempi in cui qualcuno voleva svendere rami d'azienda (mi riferisco a RAI Way), verificatisi successivamente determinanti nella svolta digitale, agli americani della Crown Castle. Oggi la RAI non è più terra di conquista da parte dello straniero, e ne siamo orgogliosi.
State facendo la guerra al vertice aziendale che ha riportato la RAI a vincere stabilmente la guerra degli ascolti con il competitore privato: non accadeva da lustri. Ricordo le dichiarazioni alla stampa, quando accusavate Cattaneo di essere funzionale alla vittoria di Mediaset, a scapito del servizio pubblico RAI. Complimenti: siete degli ottimi imprenditori e degli esperti di televisione! Che cosa dire delle profezie puntualmente sbagliate sull'appeal della RAI verso gli investitori pubblicitari? Vorrei evidenziare che oggi la SIPRA è ai massimi registrati negli ultimi anni!
Quello che intendete cacciare è il consiglio d'amministrazione che ha elaborato un piano industriale degno di tale nome. Si tratta di un piano strategico, che ci ha consentito il lusso di abbandonare «i quattro cenci sporchi» che, agli occhi del broadcasting europeo, ci caratterizzavano quale fanalino di coda tra i servizi pubblici del vecchio continente.
Che senso ha questo dibattito? Che senso ha l'astio nei confronti di seri professionisti, che hanno già anticipato la volontà di «togliere il disturbo» appena possibile? Che senso ha, quando il ministro Siniscalco ha ribadito che il consiglio d'amministrazione decadrà, come prevede la legge, dopo l'approvazione del bilancio 2005? Che senso ha tutto ciò, quando il direttore generale ha confermato l'intenzione di approvarlo quanto prima?
Riesco a capire che il tema della RAI e l'informazione rappresentino, per voi, l'unico collante politico, specie dopo i «mal di pancia» procurati dal congresso di Bertinotti. Ma non si può brandire un tema così delicato quasi fosse una clava politica ed elettorale, peraltro senza avanzare proposte attendibili e serie.
Questa volta, una cosa la pretendiamo noi: fateci sapere qual è la vostra strategia industriale sulla RAI e sul servizio

 

 

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pubblico. Raccontateci qualcosa che non abbia il sapore del solito slogan, perché state giocando con 11 mila dipendenti, sparsi in tutta Italia, che non mangiano pane e demagogia! State giocando con le loro famiglie, con il prestigio della RAI, con la sua credibilità internazionale, e quindi anche con l'immagine del paese!
Siete confusi ed ossessionati dalle posizioni dominanti che nemmeno la recente delibera dell'authority del settore ha citato, onorevole Fassino. Siete ossessionati dal mercato pubblicitario al punto tale che, se dipendesse da voi, obblighereste per legge la Barilla o la FIAT ad investire sui mezzi imposti dallo Stato, ad esempio sui giornali, pensando - e sbagliando - di risolvere così i problemi della carta stampata!
L'editoria è in crisi da tempo, nonostante gli introiti delle vendite in edicola, che ovviamente la tv non ha, nonostante i novantacinque milioni di euro previsti dalla legge finanziaria quale sostegno al settore e la «Bonaiuti» in arrivo. C'entra assai poco l'anomalia del duopolio televisivo, che voi avete creato e noi abbiamo ereditato e regolamentato. Avete parlato di molte questioni, senza indicare soluzioni plausibili, perché subite ancora quelle contraddizioni che vi hanno lacerato per cinque anni, impedendovi giungere ad una legge di sistema, ad una visione organica e globale del servizio pubblico e delle prospettive della carta stampata. La verità è che siete alla preistoria e non è certo con i Flintsones che potrete accreditarvi in questa delicata materia!
Da questa parte vi è un progetto serio, che può anche non essere condiviso, ma - appunto - è un progetto. Vi è una legge nella quale, per la prima volta, si parla di RAI, di privatizzazione (peraltro, fattibile e ben impostata, dice l'advisor della Rothschild). Vi sono già i primi risultati e, dunque, confrontiamoci sui fatti e sui progetti. A proposito di progetti, Prodi vorrebbe dividere in due la RAI; il servizio pubblico allo Stato e le reti commerciali al privato. A quale privato? Intende farlo con gara? E se, poi, paradossalmente, fosse Mediaste ad acquistare? Oppure pensate, nel massimo della vostra democrazia, di non fare nemmeno partecipare il competitore privato?
L'ipotesi di Prodi, dicono tecnici scevri da condizionamenti politici, condurrebbe all'aumento del canone e metterebbe a

 

 

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rischio il lavoro di migliaia di dipendenti della RAI. E, poi, quale delle otto reti RAI in digitale vorrebbe vendere Prodi? Delle altre sette cosa ne fareste? Avete capito che state parlando ancora di reti analogiche, mentre, tra un paio di anni - forse tre - si ragionerà in termini di digitale? Avete capito o no ciò che sta accadendo in Italia, dove, al 31 dicembre dello scorso anno, il settanta per cento della popolazione era già coperta dal segnale digitale?
Non è possibile confrontarci con una «Babele», in cui la Margherita parla la sua lingua, i DS ne parlano un'altra e, su tutto, vi è la confusione e ancor sopra di essa vi è Prodi, una «mammola», che oggi grida all'emergenza democratica; quello stesso Prodi che era l'IRI, quando lo stesso IRI era la RAI! Non è uno scioglilingua, onorevoli colleghi, ma la storia del paese, la storia che abbiamo ereditato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)! Il vostro modello di RAI affonda lì le sue radici, quando all'angolo di via Veneto si faceva il bello ed il brutto tempo e si divideva la RAI in tre, affinché una rete fosse controllata dalla Democrazia cristiana, un'altra fosse appaltata ai socialisti e la terza appaltata ai comunisti. Ma chi volete prendere in giro, con il moralismo «un tanto al chilo»?
Sono passati venticinque anni, in cui il centrosinistra a viale Mazzini ha comandato, imposto e deciso. La privatizzazione della RAI, ancorché parziale, vi terrorizza, perché da essa può veramente iniziare una decisa limatura dei poteri dei partiti all'interno di tale azienda. Prodi non gridi alla faziosità dell'informazione; si limiti ad accendere la televisione ed a constatare quanto sia forte ed aggressiva la presenza in video della sinistra, attraverso giornalisti militanti, sindacalisti, inviati di chiarissima provenienza politica: Badaloni, Marrazzo, Gruber, Santoro, Fava...

FRANCESCO GIORDANO. Per questo li avete cacciati!

ALESSIO BUTTI. Tutta gente che diventa famosa e popolare grazie al video del servizio pubblico, pagato dal canone dei cittadini e che, poi, partecipa alle feste di partito della sinistra, arrivando anche a candidarsi alle elezioni e pretendendo perfino di tornare al servizio pubblico - ovviamente, in video -, come se nulla fosse. Dov'è il codice etico e deontologico

 

 

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della RAI? Chi paga il canone, onorevoli colleghi, ha diritto di godersi il pluralismo anche su Raitre, o no?
L'onorevole Rutelli ha espresso il desiderio di cambiare la legge di sistema; lo ha fatto anche l'onorevole Gentiloni, poco fa.

PRESIDENTE. Onorevole Butti, concluda.

ALESSIO BUTTI. Concludo, signor Presidente. L'onorevole Rutelli non dimentichi che anzitutto occorrerebbe vincere e, poi, che c'è la legge del centrodestra, che ha consentito al gruppo l'Espresso di acquistare Rete A. Non dimentichi le oltre duecentoquaranta licenze per la sperimentazione in digitale, ma - soprattutto - non dimentichi di leggere il testo della legge, prima di esprimere desideri tanto impegnativi.
All'onorevole Fassino vorremmo ricordare che vi è già una legge che prevede che presidente della RAI debba godere della fiducia dei due terzi della Commissione di vigilanza. Ecco il Consiglio condiviso! È di una legge che abbiamo fatto noi, che ha fatto il centrodestra. Ciò significa agire moralmente e, quindi, con coerenza. Ciò significa gettare il seme buono, indipendentemente da chi ne raccoglierà i frutti.

 

 

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La vostra reazione è grottesca, è grottesco il vostro moralismo. Il vostro rimprovero moralista non è nemmeno accompagnato dal rimorso per quello che avete combinato in RAI. Non sapete chiedere scusa per il fallimento del vostro modello.
Orwell diceva che si può essere moralisti ad una condizione: essere innocenti. E questa non è, certamente, la vostra condizione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, nella vicenda RAI esistono certamente due registri interpretativi: il primo di carattere giuridico formale e il secondo evidentemente di carattere politico. Del piano giuridico formale è stato detto. Come è possibile immaginare che, dopo le dimissioni rese quasi un anno fa dal presidente di garanzia, il consiglio possa, nella sua formazione incompleta e parziale (circoscrivendo tra virgolette l'espressione «parziale»), continuare imperterrito a svolgere le sue funzioni, non solo rinnegando il principio del simul stabunt simul cadent, su cui era stata costruita la norma di garanzia, individuando nel collegio e non nei singoli il centro di imputazione della riforma, non solo disattendendo una risoluzione della Commissione di vigilanza, ma anche contraddicendo la lettera stessa della legge n. 112 del 2004, che all'articolo 21 dettava i termini della mission del consiglio di amministrazione, teso a completare la fusione tra RAI Holding e RAI Spa entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge, fusione, peraltro, compiuta oltre il termine fissato e, per ciò stesso, conclusiva del ciclo dell'attuale consiglio di amministrazione?
La condizione incongrua in cui si viene a trovare un consiglio di amministrazione sopravvivente a se stesso è, dunque, quella di un organo dotato di rappresentatività imperfetta, inidoneo, quindi, dal punto di vista del ruolo cui viene chiamato per lo svolgimento di un servizio pubblico di rilievo costituzionale, a svolgere la sua specialissima funzione garante del pluralismo culturale, funzione più volte e opportunamente

 

 

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richiamata dalle più alte magistrature dello Stato, a cominciare dal Presidente Ciampi e anche da lei, Presidente Casini.
Ma vi è un profilo politico, di rilievo immenso, che si connette proprio a quest'ultimo nodale aspetto legato al pluralismo dell'informazione e, ancora una volta, concerne lo specialissimo ruolo della TV nel sistema dell'informazione e nella politica. La psicologia sociale, a partire dagli studi americani, ci ha abituato da tempo a considerare la televisione come la più importante agenzia formativa della società. La TV produce cultura a tal punto che il livello stesso della alfabetizzazione di un paese viene condizionato dalla qualità della televisione. La TV produce comportamenti e orientamenti di consumo. I pubblicitari non spenderebbero certamente quelle enormi cifre per comprare brani del nostro tempo e, dunque, della nostra vita di telespettatori attraverso gli spot, se non avessero la certezza dell'efficacia di quegli spot.
La TV produce politica o, meglio, produce orientamenti politici. Secondo l'osservatorio del professor Ricolfi del Politecnico di Torino, nel 1994, in una stagione di totale sregolatezza, di deregulation dell'intervento politico in televisione, ben il 13 per cento dell'elettorato cambiò opinione di voto, attingendo suggestioni televisive specialmente dalle reti Mediaset. Si badi bene: non vi è stato un mutamento di scelta in ragione delle tribune elettorali, ma in forza delle inserzioni nei contenitori di informazione, spettacolo e cultura dei messaggi aventi contenuto politico. Per l'elettore vale la regola del massmediologo Marshall Mcluhan, quando dice che ciò che fa credibile il messaggio è l'emittente: se questa è attendibile, rende attendibile anche il messaggio.
Dunque, non con le tribune elettorali e la par condicio giudicate a priori dai telespettatori, ma con la programmazione complessiva dei contenitori non politici viene costruita una campagna di sensibilizzazione politica, che in una stagione come questa, totalmente affidata alle virtù dei media, vede nel mezzo televisivo lo strumento principale.
In mezzo a tutto questo c'è la RAI, con la sua particolarissima natura di risorsa pubblica che deve offrire elementi di garanzia per un confronto alla pari.

 

 

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Onorevoli colleghi, nelle corti europee del Settecento si aggirava un personaggio, un po' mago, un po' alchimista e un po' taumaturgo: si chiamava Messmer e sosteneva di essere in grado di salvare la gente dai suoi acciacchi utilizzando il magnetismo. Naturalmente una commissione di scienziati, composta da Beniamino Franklin e Lavoisier, si incaricò di smascherarlo.
Noi dell'UDEUR non vorremmo che altri signori Messmer si aggirassero per l'Italia di oggi adoperando, invece del magnetismo, il tubo catodico. Per questo voteremo e inviteremo a votare la mozione sottoscritta dal centrosinistra (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR e Misto-socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.

DAVIDE CAPARINI. «Onorevole Vespa, lei è stato sconfitto come l'onorevole Forlani. Se ne deve andare». Con queste parole Giorgio La Malfa, allora segretario del PRI, era chiamato a commentare la disfatta della DC alle elezioni politiche del 1992 che aveva aperto gli occhi al paese.
Il giorno dopo Vespa replicava: il mio editore di riferimento è la Democrazia cristiana. È il tramonto del consiglio di amministrazione composto con la regola dei 6 democristiani, 4 comunisti, 3 socialisti, un repubblicano, un socialdemocratico e un liberale. Tale schema si riflette anche nelle redazioni, con una fantasiosa variante: una fetta della torta spetta anche all'USIGRAI, il potente sindacato dell'azienda, perché - come disse l'ex sindacalista Gianni Scipioni Rossi (oggi ancora in RAI) - in RAI sono lottizzati anche i sanpietrini del cortile.
Questa è la RAI, un'azienda che in 48 anni di vita è costata agli italiani, fra aiuti e canone, 62 mila miliardi. In passato, per ogni buco in bilancio, per ogni spreco, c'è sempre stata una leggina pronta. Questa è la regola aurea che ha governato i rapporti tra RAI e Parlamento sino al 2002.
Nel 1968 Alberto Ronchey inventa la più italiana delle parole: lottizzazione. Egli la conia proprio in occasione della prima grande infornata rossa in viale Mazzini. In 14 anni Bernabei firma 6.089 contratti, raddoppiando gli organici, stipula 44 mila contratti a tempo determinato e prende 100 mila

 

 

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collaboratori. Siamo a metà degli anni Settanta. Vi sono 12 mila dipendenti, 1.500 giornalisti circa e un costo del lavoro che incide per il 38 per cento sul fatturato.
La RAI degli sprechi inizia qui ed inizia con l'apertura proprio al centrosinistra, che oggi tanto si lamenta. Per capire meglio le cifre, basti pensare che i dipendenti di Mediaset sono un terzo e i giornalisti sono 219, ossia 1 contro 8 della RAI, ma vi assicuro, onorevoli colleghi, che la differenza non si vede.
Il peso del costo del lavoro sul fatturato è del 15 per cento. Questa è l'eredità di Bernabei. Questa è l'eredità del compromesso storico che sino ad oggi nessuno è riuscito ad eliminare.

 

 

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Comincia poi l'era socialista delle presidenze RAI dal 1975 al 1993 e quella della Democrazia cristiana alle direzioni generali. Negli anni Ottanta è tutto più facile per la sinistra con Biagio Agnes direttore generale, vicino a Ciriaco De Mita direttore generale proprio con l'appoggio del PCI. Lui baratta la direzione generale con Telekabul regalando la nascente Raitre, quella che avrebbe dovuto essere la rete federale per eccellenza, a Guglielmi e Curzi. Non per niente in sette anni di mandato assume 3.858 persone, il 60 per cento delle quali con la tessera del PCI in tasca. Infatti, L' Unità era l'anticamera per l'assunzione in RAI. Per questo il PDS, 15 anni dopo, non ha perso tempo a lottizzare: lo aveva già fatto in precedenza (Commenti del deputato Cè). Loro sono sempre distratti quando si tratta di parlare delle loro malefatte.
Gli stipendi di quell'epoca sono, ovviamente, favolosi. Donatella Raffai per Chi l'ha visto? guadagna più di un miliardo l'anno, seguita da Enzo Biagi. Nino Frassica per farci ridere in siculo prende 884 milioni l'anno; Gianni Ippoliti filosofeggia per altri 580 milioni, Chiambretti si accontenta di 529 milioni e l'ex allenatore Aldo Agroppi regala pareri sul calcio a soli 216 milioni l'anno. I giornalisti RAI hanno un'indennità assurda: quella del video. Pensate, trattandosi di un'azienda televisiva dovrebbe essere normale che un giornalista vada in video. No, in RAI vi è l'indennità video. Come se un panettiere chiedesse l'indennità per panificare!
Vi era poi un altro privilegio veramente medievale: il diritto alla successione familiare assunto a prassi aziendale. Tra il 1993 ed il 1994 un'assunzione su quattro è regolata dallo scambio genitori-figli: il padre esce dall'azienda e subentra il figlio.
I conti, ovviamente, non tornano e proprio dieci anni fa Umberto Bossi comincia a parlare di privatizzazione - vi ricordo che fu il primo - ed a teorizzare il decentramento: spostiamo una rete a Milano ed una Palermo, disse dieci anni fa. Se togli da sopra la casa scopri i topi. Come aveva ragione! Li stiamo scoprendo in questi giorni!
Nel luglio 1996 - la stagione così cara a Fabio Fazio, Jovanotti e tutti i miracolati dell'Ulivo tanto cari a Walter Veltroni - alcuni di questi topi cominciano a ben disporsi

 

 

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nell'entrare nelle già folte fila della RAI. Durante la TV ulivista per guadagnare o perdere la poltrona di consigliere d'amministrazione era sufficiente un cenno di Walter Veltroni. L'attuale sindaco di Roma è riuscito nell'ineguagliata impresa di attraversare tutto il palinsesto della RAI in una sola settimana: Napoli capitale, Telecamere, Speciale Parlamento, Tempo reale, Mixer, Speciale Tg1, Linea tre. Inoltre, a Notte cultura ci ha elencato i suoi libri da comodino, a Storie ha raccontato il suo cinema di formazione e da Bruno Pizzul la sua passione per la Juventus: tutto in una settimana! Questa è la televisione pluralista dell'Ulivo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 15 30)

DAVIDE CAPARINI. Questo è l'inizio della RAI dell' Ulivo, l'antipasto che, purtroppo, ci ha condotto fino al 2002, ad un anno dalla sconfitta alle elezioni, con l'uscita di scena di Zaccaria che era ancora abbarbicato alla sua poltrona.
Nell'aprile del 1996 il carrozzone RAI, devastato da quarant'anni di lottizzazione e pieno di debiti, viene occupato militarmente dalla nuova tecnocrazia di centrosinistra. Gli eccessi sono da subito evidenti. A Carramba Raffaella Carrà incensa un giovane attore col suo ovviamente splendido spettacolo teatrale: Francesco Siciliano.
È solo un caso che sia il figlio del Presidente della RAI. Nella fiction Un posto al sole, firmata da Giovanni Minoli, i protagonisti si soffermano ad ogni piè sospinto sulle bellezze di Napoli, per poi vantare le virtù dell'allora sindaco Bassolino.
Continua l'esodo dall'Unità e così arrivano in RAI Rosanna Cancellieri, Antonello Caprarica, Guido Dell'Aquila. Nell'altro foglio di sinistra, Paese Sera, hanno invece militato Lamberto Sposini (che poi è andato a TG5), Neliana Tersigni, Anna Maria Pinnizzotto, i più fedelissimi Francesco Malloni, Bianca Berlinguer, Flavio Fusi, Massimo Locke e potrei continuare. In tale periodo, che è stato un vero e proprio periodo d'oro per il centrosinistra - che immagino tanto rimpiangete, ma che non vi è servito per vincere le elezioni (ciò peraltro sia di monito anche per il centrodestra) -, a dominare la scena è Roberto Morione, il coordinatore della campagna dell'Ulivo

 

 

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(pensata che in RAI lo chiamano Pol Pot!), il quale nel 1998 è diventato direttore di RAI International, per non parlare di RAI News, che è quella che ancora oggi purtroppo siamo costretti a sorbirci oppure dell'ideologicamente - quello sì corretto, secondo voi - Michele Santoro, il quale non ha fatto altro che seguire il solco tracciato dal suo predecessore Enrico Deaglio, ex direttore di Lotta Continua.
Sono sicuro che farei del torto a non citare alcuni recenti direttori del TG1, di comprovata fede ovviamente di sinistra: Lerner che è il writer di Prodi, Brancoli, capoufficio stampa di Prodi, Volcic, che è stato senatore per il centrosinistra, Fava, che è stato candidato per il centrosinistra, Longhi, La Volpe, Rizzonervo: questi sono alcuni dei vostri campioni di pluralismo, dei vostri campioni di imparzialità (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Onorevoli colleghi, privatizzazione e decentramento sono la ricetta per risolvere questo problema, che il paese si trascina ormai da troppi decenni. Questo è quello che stiamo faticosamente realizzando, passo dopo passo, mattone dopo mattone. Il vostro nervosismo, colleghi della sinistra, la vostra agitazione, il vostro accanimento, con il quale tentate invano di fermare la storia e questo inarrestabile processo, mi conforta e mi tranquillizza. Siamo veramente sulla strada giusta (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, signor ministro, siamo già da tempo in una campagna elettorale difficile e combattuta. D'altronde gli echi di questa campagna elettorale si sentono anche qui in Aula. Tuttavia, la coalizione che sostiene la compagine di Governo - vorrei che qualcuno mi confutasse ciò che sto per dire, perché sembra di stare a discutere di altro! - può disporre del controllo e della gestione della gran parte della TV privata e di tutta l'azienda pubblica radiotelevisiva. Tutta!
Tra due giorni, come ha ricordato l'onorevole Gentiloni, scade il mandato dell'authority per le comunicazioni. A fronte

 

 

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di un monopolio informativo non c'è nessuna garanzia di controllo? Chi garantirà la par condicio in campagna elettorale? Oppure avete deciso che questa legge, prima ancora che cancellarla formalmente in quest'aula, la volete cancellare nella pratica, in maniera tale che nessuno potrà controllare quello che accadrà in questa campagna elettorale? Facciamo un'operazione di buonsenso: facciamo vivere l'authority per le comunicazioni almeno fino alle elezioni!
Così siamo messi sul terreno informativo, ministro Gasparri! Non so di quale televisione lei stia parlando. La televisione di cui oggi dispone il nostro paese è questa. Questa è la cronaca, nessun commento. È questo il modello da esportare e che viene imitato all'estero, al quale lei prima si riferiva?

 

 

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Dal 4 maggio, ministro Gasparri, la dottoressa Annunziata non è più presidente della RAI.
Come tutti ricorderanno, era stata prevista la formula di una presidenza di garanzia per garantire gli orientamenti prevalenti di quest'aula parlamentare. È da un anno che vi è una sorta di monocolore nel consiglio di amministrazione della RAI, nonostante vi fosse nella Commissione di vigilanza una presa di posizione, per cui il consiglio di amministrazione avrebbe dovuto cessare di rimanere in carica non da aprile, ma dal 30 settembre scorso.
In Commissione di vigilanza era emerso, senza alcuna cogenza formale, questo orientamento politico preciso che non è stato votato solo dalle opposizioni, ma anche da una parte della maggioranza (forse, quindi, vi era una qualche ragione di merito e di metodo nel nostro agire). Vi siete, così, attrezzati - oggi ce lo ha spiegato il ministro Gasparri - al fine di privatizzare l'azienda pubblica.
A tale riguardo, vi vogliamo dire con grande tranquillità e semplicità il nostro pensiero: siamo contrari alla privatizzazione di questa azienda pubblica e cercherò di spiegarne le ragioni nel prosieguo del mio intervento.
Non mettiamo in discussione, come, purtroppo, emerge anche da questo dibattito, la vostra gestione unilaterale del pluralismo politico e partitico. Non stiamo chiedendo più spazi per questa o quell'altra formazione, ma per una pluralità di culture o di esperienze critiche (quelle pacifiste, quelle no global). Vogliamo che sia cancellata dall'azienda pubblica l'omologazione culturale, che vi sia un'inchiesta sulla società italiana, sul dolore sociale che esprime tanta parte della società italiana, nonché sul malessere di fondo che pervade tanta parte del lavoro dipendente in Italia.
Non vogliamo che si compia una sorta di geografia dei potenti, ma che vi sia finalmente uno spaccato reale, un'inchiesta vera sul nostro paese, sulle sue culture di fondo e sulle sue realtà critiche! Avete, ad esempio, provato a far vedere finalmente quella che è stata l'esperienza, a mio avviso, la più interessante e la più significativa, tra quelle dinamiche sociali che si sono registrate nel nostro paese e mi riferisco al movimento no global?

 

 

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Lo avete fatto con grande attenzione in una trasmissione in cui lei, signor ministro, ha partecipato, criminalizzandolo, in un processo ignobile e senza controparte. Sto parlando della trasmissione «Punto e a capo», nel corso della quale avete dato la piena immagine di ciò che è la vostra parzialità! Non mi riferisco al fatto che vi sia un po' di spazio in meno per questo o quell'altro partito, ma al fatto che avete interpretato unilateralmente, criminalizzandolo, un intero movimento, con una modalità, francamente, inaccettabile! Persino l'ufficio legale della RAI, come ha rilevato il direttore generale della RAI, era contrario alla sua messa in onda in quella trasmissione. In particolare, avete mandato in onda alcune intercettazioni telefoniche ed è stato fatto perché vi era la garanzia - mi dispiace dirlo, signor ministro - della sua presenza in trasmissione.
In questo modo, contravvenendo alle più elementari norme di professionalità, legalità e civiltà, avete sostenuto e difeso quella trasmissione. Non vi è stata alcuna trasmissione di riparazione.
Quando «Report» ha proposto un'indagine sulla mafia, avete preteso, in tempo reale, l'immediato risarcimento politico nei confronti di chi, secondo voi, veniva offeso in quella trasmissione, ma non vi era bisogno di alcuna riparazione, perché «Report» ha messo in luce i fatti. Pertanto, con riferimento alla trasmissione «Report», chiedete che si ripari a quanto avvenuto, mentre, per quanto riguarda «Punto e a capo», non vi passa per la testa di esprimere una critica, un giudizio negativo, nemmeno di chiedere una qualche forma di riparazione.
Dopo i repulisti di Santoro, di Biagi, di Paolo Rossi, della Guzzanti e di Oliviero Bea - ve lo diciamo noi che non siamo stati teneri neanche con la vecchia gestione della RAI -, ecco l'effetto della nuova RAI, quello di poter agire indisturbati.
Siete a tal punto desiderosi di identificarvi con una gestione privatistica, che dagli uffici della direzione generale arriva un fax nel quale si dice esplicitamente di sponsorizzare un'associazione che si chiama «Scienza e vita», che ha una precisa posizione politica nel referendum.
Per tale motivo, crediamo ad una RAI pubblica e plurale, in quanto la sua privatizzazione significherebbe nei fatti moltiplicare queste disparità e queste differenziazioni.

 

 

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Quando il ministro Siniscalco è venuto in Commissione di vigilanza, alla domanda se fosse vero che la privatizzazione della RAI avrebbe potuto produrre una riduzione del personale, ha risposto di non poterlo escludere. Si parlava di 3 mila dipendenti, quasi tutti concentrati nel Lazio.

MAURIZIO GASPARRI, Ministro delle comunicazioni. Non è vero!

FRANCESCO GIORDANO. Recito le parole del ministro Siniscalco in maniera assolutamente tranquilla e serena, ci sono gli atti della Commissione di vigilanza!
Vi chiediamo di rendere effettivamente pubblica questa azienda, perché un'azienda pubblica può determinare una redditività differita, può promuovere una cultura diffusa. La più grande azienda culturale del paese può segnare il grado di civiltà e di protagonismo anche dell'Italia negli assetti produttivi e nello sviluppo.
C'è una nuova legge, è la sua ministro Gasparri! Noi l'abbiamo contrastata, ma è legge dello Stato e voi siete i primi ad averla disattesa non nominando il nuovo consiglio di amministrazione della RAI; è un'operazione assai singolare!
Non penserete certo che producendo una stretta sul terreno informativo - una stretta che definisco autoritaria - riuscirete a colmare il deficit di consensi che avete accumulato nella società italiana? Quel deficit di consensi ve lo porterete fino alle elezioni e sarà maturato dalla volontà reale di tutti gli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Romani. Ne ha facoltà.

PAOLO ROMANI. Onorevoli colleghi, la materia della RAI e quindi dell'informazione è assai delicata ed importante, dunque non può essere trattata con la superficialità dimostrata dall'opposizione soprattutto stamattina in quest'aula.
Il problema dell'informazione non riguarda solamente la televisione, ma tutto il sistema della comunicazione nel suo complesso (giornali, radio, settimanali, internet, digitale, televisione satellitare). Dunque, se proprio dobbiamo valutare il

 

 

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peso politico dei programmi televisivi, non dobbiamo dimenticare il peso politico altrettanto importante dei diversi segmenti dell'informazione. E qui mi fermo, ma potrei sicuramente andare oltre.
A questo punto, pongo alcune domande. Dove erano i difensori del pluralismo e della libertà di informazione quando la RAI dell'Ulivo trasmetteva programmi militarizzati e militanti, che avevano quale unico scopo quello di conservare il consenso alle aree di maggioranza di allora? Chi ha inventato la teoria dei tre terzi - ovvero un terzo dei programmi dedicati all'opposizione, un terzo alla maggioranza e un terzo al Governo -, con il 66 per cento di tempo riservato a chi governa ed il 33 per cento l'opposizione? Mi pare che costui sieda ora in Parlamento e, se non erro, nei banchi dell'opposizione.
In questo Parlamento c'è ancora qualcuno che intende difendere programmi di presunta satira, che in realtà erano manifestazioni di pensiero unilaterali, dando al contempo giudizi sul nostro paese che non troveremmo nemmeno sui volantini che si distribuiscono in campagna elettorale.
Perché non parliamo delle lottizzazioni che, negli scorsi decenni, hanno consentito l'ingresso di persone di sicura fede politica, ma probabilmente di non altrettanta professionalità?

 

 

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Non sono forse quegli stessi partiti che, dopo aver cambiato nome, oggi si lamentano del servizio pubblico? Dove sono quegli esponenti di partito dell'attuale opposizione che oggi criticano il cauto processo di privatizzazione, ma che nell'era dell'Ulivo volevano fare «spezzatino» della RAI, vendendo o svendendo reti e telegiornali, probabilmente ai soliti noti, distruggendo quel patrimonio unitario di servizio pubblico che oggi la privatizzazione a piccoli passi, attuata da questo Consiglio di amministrazione, invece garantisce e preserva?
Stiamo parlando di un servizio pubblico che nell'era della RAI dell'Ulivo non ha saputo competere né sugli ascolti né sul mercato della pubblicità, impegnato come era a difendere una parte politica ed a garantire programmi di informazione che poco o nulla avevano a che fare con la difesa del pluralismo e con la libertà dell'informazione.
Come ben capite, se vogliamo abbassare il tono di questo dibattito parlamentare ad un livello becero di contrapposizione, siamo anche noi capaci di mettere in campo un numero incredibili di episodi che mal si conciliano con la qualità che un servizio pubblico dovrebbe garantire. Il tema trattato oggi è invece di tutt'altro genere, ovvero quello di definire un percorso - ammesso che questo sia il compito di una risoluzione, come secondo me non è - attivato dagli articoli 20 e 21 della legge Gasparri.
Detto per inciso, dovremmo parlare di questo problema con una certa cautela perché si tratta di un patrimonio del paese, anzi di una ricchezza e di una risorsa dell'Italia, sia in termini economici che culturali. Non possiamo non dare atto a questo Consiglio di amministrazione e al suo direttore generale di avere svolto un difficile compito, in un contesto reso ancora più complicato dalla presenza, voluta e condivisa dalla maggioranza, di un presidente cosiddetto «di garanzia», che poteva e doveva anticipare per certi aspetti lo schema introdotto dalla legge Gasparri. Si trattava di un presidente votato dai due terzi della Commissione di vigilanza e, quindi, per definizione «di garanzia».
Questa mattina ho sentito parlare di un consiglio di amministrazione monocolore. Ma che differenza può esserci con un consiglio di amministrazione di maggioranza con un

 

 

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presidente non di garanzia? Nessuno ha cacciato Lucia Anunziata; è lei stessa che si è dimessa volontariamente dal suo incarico improvvisamente ed improvvidamente.
L'attuale consiglio di amministrazione è riuscito nel difficile compito, anche dal punto di vista tecnico, di attivare il percorso di privatizzazione, secondo quanto previsto dalla legge Gasparri. Tale percorso è stato recentemente ricordato dal ministro Siniscalco in sede di Commissione di vigilanza.
La politica tende superficialmente a semplificare processi che semplici non sono e che hanno su di loro l'occhio attento ed implacabile dei mercati. Di questo dobbiamo parlare oggi e non di altro, anche se possiamo tranquillamente non sottrarci alla rissa perché abbiamo probabilmente molti più strumenti polemici da mettere in campo rispetto alle opposizioni.
Tornando al tema, come recentemente ricordato dal ministro Siniscalco nel corso dell'audizione presso la Commissione di vigilanza, l'advisor nominato dal ministro dell'economia ha ritenuto che la legge n. 112 del 2004 e le misure adottate da questo consiglio di amministrazione, soprattutto in vista della privatizzazione, siano da considerare importanti stimoli per raggiungere quegli elevati standard qualitativi e di redditività che sono componenti essenziali per una valida privatizzazione in grado di soddisfare le aspettative degli investitori.
In primo luogo, questo consiglio di amministrazione, a partire dalla seconda metà del 2003, ha avviato un percorso di ristrutturazione finalizzato al miglioramento delle performance operative che consente via via un allineamento dei parametri economici ed operativi della RAI alla media europea.
In secondo luogo, questo consiglio di amministrazione ha approvato le linee guida del piano industriale 2005-2007 ed è il budget 2005. Anche se tali azioni sono ambiziose e credibili, tuttavia sono indispensabili per presentare al mercato finanziario una società appetibile.
In terzo luogo, il consiglio di amministrazione, per quanto attiene alla separazione contabile, essenziale non solo per il servizio pubblico ma anche per quanto concerne la credibilità della società in borsa, ha predisposto alcune linee guida che lo scorso 10 febbraio sono state approvate dall'Autorità per le garanzie. L'attuale consiglio di amministrazione, attraverso la

 

 

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nascita della nuova RAI Radiotelevisione SPA, ha concluso la prima tappa del processo di privatizzazione, costituita dalla fusione per incorporazione della RAI SPA nella società RAI Holding. Tale fusione costituisce l'elemento cardine per l'avvio della privatizzazione RAI, fusione prevista dall'articolo 21 della legge n. 112.
Tale articolo, in riferimento alla generale disciplina sulle privatizzazioni e sulle procedure fino ad oggi seguite in altri casi di alienazioni di partecipazioni statali in società, richiama specificatamente la legge n. 474 del 1994 sulle privatizzazioni e la cosiddetta «legge Draghi», che, prevedendo un sistema di offerta pubblica di vendita e dunque di vendita di partecipazioni, sia dirette sia indirette, dello Stato, quando abbia ad oggetto il trasferimento del controllo delle società operanti nel settore dei servizi pubblici, detta anche speciali norme finalizzate a tutelare gli interessi collettivi degli utenti, gli interessi generali dello Stato nonché la promozione della concorrenza e la trasparenza della procedura di vendita.
Sono stati raggiunti buoni risultati per quanto attiene agli ascolti, e l'anno 2004 è stato certamente l'anno d'oro. Va ricordato che fra il 2000 e il 2003 vi era stata una perdita di ricavi per la RAI pari a 200 milioni di euro. Nello scorso mese di febbraio, la RAI ha raggiunto 10 milioni di euro di ricavi derivanti dai canali del digitale terrestre.
Pertanto si ritiene opportuno, anche al fine di garantire un servizio pubblico di informazione in vista delle prossime elezioni regionali, mantenere in carica l'attuale consiglio di amministrazione, fino all'approvazione, entro il 30 aprile prossimo, del bilancio per il 2004, per poi procedere alla nomina secondo le disposizioni di cui alla legge n. 112 del 2004, sottolineando tuttavia la necessità di rapportare tutto ciò con l'esigenza primaria di garantire che all'interno del consiglio di amministrazione vi sia una rappresentanza anche degli azionisti di minoranza.
Dichiaro pertanto il voto favorevole del gruppo di Forza Italia sulla risoluzione a mia prima firma n. 6-00102 (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.

 

 

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ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, il dibattito odierno risulta, per alcuni versi, paradossale. L'Assemblea si deve pronunciare su una mozione, presentata da tutte le opposizioni, che riguarda un tema delicatissimo, che è all'attenzione di tutta l'Europa. Siamo giunti nella situazione paradossale per cui la televisione pubblica svedese si fa carico di produrre uno spot in cui cita l'Italia come esempio di concentrazione antidemocratica della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa, e vi sono esponenti della maggioranza che fingono di non capire che il nostro paese è divenuto un caso emblematico a livello mondiale.
In queste condizioni abbiamo il servizio pubblico decapitato, con una presidente che si è dimessa da quasi un anno, e il residuo consiglio di amministrazione, rimasto in carica in modo assolutamente surrettizio, di fatto sfiduciato da una risoluzione approvata dalla Commissione parlamentare di vigilanza il 14 luglio 2004. Nel frattempo, forzando peraltro il dibattito parlamentare, avete voluto approvare una legge che prevede un diverso meccanismo di nomina del consiglio di amministrazione. Il Presidente della Repubblica ha inviato un messaggio, tra i pochi che ha ritenuto di indirizzare al Parlamento, per porre il tema della libertà di informazione, del pluralismo e dell'accesso ai mass media.
Di fronte a tutto ciò continuate a ipotizzare, in modo assolutamente irresponsabile, di andare avanti, violando ogni elementare regola europea sulla parità delle condizioni di accesso ai mass media e gestendo la RAI come una struttura sostanzialmente asservita a logiche di governo e di maggioranza. È evidente che non possiamo che chiedere non soltanto il voto favorevole sulla mozione in esame, ma anche attenzione: per la prima volta dopo anni vi è un dibattito in Assemblea su tale materia, purtroppo nelle condizioni penose in cui si discute nell'aula parlamentare, con persone che chiacchierano in astratto, ben sapendo che con la forza dei numeri eviteranno di discutere sulla sostanza del problema.
Siamo sbeffeggiati in tutta Europa e in tutto il mondo per la vicenda relativa a Berlusconi e al sistema radiotelevisivo.

 

 

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Siamo diventati la «barzelletta» d'Europa, veniamo svergognati sulle televisioni anche degli altri paesi ma voi, assolutamente indifferenti (come in un Parlamento non democratico che fa finta di discutere), continuate a violare ogni elementare regola nazionale e internazionale.
A ciò si aggiunga che sono in scadenza i vertici di alcune Authority e che circolano voci relative ad un vostro tentativo di blitz per la presidenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Dovremo, allora, essere molto attenti, anche perché il mandato del presidente Cheli scade stasera: non vorremmo che, mentre è in corso il dibattito sulla necessità di un maggior pluralismo e di una maggior attenzione e mentre si fa finta di dibattere in Parlamento, il Governo tenti un blitz anche sulla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, competente in materia di conflitto di interessi (questo grazie alla «leggina», per quanto precaria, che avete voluto proprio sul conflitto di interessi)...
Signor Presidente, quando si discute certi temi sarebbe opportuno maggior silenzio in aula: mi sembra si stia veramente esagerando.

PRESIDENTE. Purtroppo vale per tutti!
Invito i colleghi ed essere comprensivi con chi parla.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Inoltre, signor Presidente, non vedo il ministro Gasparri, che si è allontanato. Sarebbe opportuno che egli fosse presente.

PRESIDENTE. Il ministro è appena rientrato. Prosegua pure, onorevole.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Tra i segnali di allarme rivolti al Governo vi è quello teso ad evitare che, mentre il Parlamento dibatte sulla RAI, voi compiate un blitz sulla presidenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Poiché tale Authority svolge un ruolo strategico ed importante in quanto sovrintende anche al conflitto di interessi di Berlusconi, sarebbe opportuno che si prestasse la necessaria attenzione ad evitare un ulteriore imbarbarimento del dibattito

 

 

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e delle garanzie ed un ulteriore scadimento di quanto, purtroppo, già stiamo rappresentando a livello internazionale ed europeo.
Pertanto, annuncio il voto favorevole dei Verdi sulla mozione Violante n. 1-00428 e colgo, inoltre, l'occasione per segnalare un forte allarme affinché le scelte relative all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in particolare alla sua presidenza (che spetta a voi indicare) rappresentino il segno del rispetto del messaggio del Presidente Ciampi e delle regole democratiche di accesso ai mass media e non costituiscano, invece, un altro blitz, un altro attacco alla libertà di informazione nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e Misto-Popolari-UDEUR).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Laurentiis. Ne ha facoltà.

RODOLFO DE LAURENTIIS. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, intendo svolgere alcune brevi riflessioni sul tema oggi all'attenzione di questa Assemblea. Intervengo dopo avere ascoltato con grande attenzione il dibattito svoltosi in quest'aula e le considerazioni dei colleghi di maggioranza ed opposizione. Ma, soprattutto, intervengo consapevole che tutto il dibattito svoltosi oggi verte su un tema centrale, un tema di fondo: il mercato radiotelevisivo dovrà essere sempre più segnato da elementi di concorrenza regolamentata, intesa come garanzia dell'efficienza e del pluralismo nel sistema, cui ci auguriamo possa contribuire in modo efficace e determinante il nuovo quadro normativo che abbiamo introdotto in questo Parlamento.
È il tema di un doveroso rispetto del pluralismo, della qualità, dell'imparzialità dell'informazione: sono questi dei valori essenziali per la valorizzazione di una moderna e compiuta democrazia, che rappresentano, al tempo stesso, un valore appartenente al nostro patrimonio indisponibile.
Abbiamo lavorato in questi anni ed in questi mesi, come Unione dei democratici di centro, cercando di cogliere le sfide della modernità che i tempi nuovi ponevano davanti a noi, sforzandoci però di coniugarla con questi obiettivi e con questi valori, certi che la formazione di una opinione pubblica attiva e consapevole sia necessaria per esercitare i diritti di cittadinanza

 

 

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democratica, estendendola al maggior numero possibile di cittadini.
Abbiamo lavorato in questi mesi con attenzione, senza scivolare però nella facile polemica politica, che non serve e non aiuta soprattutto la RAI, che è alla vigilia di una fase estremamente delicata, una fase nella quale viene avviato un processo di privatizzazione, che deve essere gestito, come tutti i processi delicati e complicati, con grande cautela ed attenzione.
Ci auguriamo che, e questo è il nostro auspicio, questo processo di privatizzazione possa in realtà rappresentare un rafforzamento delle sue capacità gestionali, del suo ruolo di maggiore azienda culturale del nostro paese; ci auguriamo che essa possa divenire sempre più strumento di pluralismo e di confronto democratico: questo è il nostro auspicio all'interno di questo processo di privatizzazione.
In questo senso, la risoluzione del 14 luglio, approvata dalla Commissione bicamerale di vigilanza della RAI, partiva dalla constatazione che la presidenza della RAI, quella presidenza, era parte di un disegno politico-istituzionale fondato e diretto a garantire il pluralismo dell'informazione; venuti meno questi presupposti, venivano meno gli equilibri che si intendevano esprimere attraverso la composizione di quel consiglio d'amministrazione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 16,05)

RODOLFO DE LAURENTIIS. La risoluzione del 14 luglio scorso non entrava - e lo voglio sottolineare ancora una volta, ammesso che ve ne sia bisogno - nel merito dell'operato del consiglio di amministrazione stesso; non rappresentava un giudizio negativo sull'attività svolta dall'organo amministrativo dell'azienda, non aveva assolutamente questo obiettivo, ma voleva raffigurare la situazione così come noi l'abbiamo davanti oggi: la nostra preoccupazione era ed è la stessa del ministro Siniscalco, che nel corso di un'audizione sul tema della RAI ha sottolineato come la mancanza di una governance dell'azienda stabile, condivisa e, soprattutto, rappresentativa di tutte le culture del paese, rappresenti un ostacolo alla sua valorizzazione rispetto allo scenario che ci troviamo di fronte.

 

 

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La nostra preoccupazione è tutta qui e rimane all'interno di questo confine preciso, netto e chiaro: lo dico soprattutto ai colleghi dell'opposizione che in queste ore hanno voluto sottolineare il nostro atteggiamento.
La risoluzione che abbiamo sottoscritto pone invece un punto fermo, una data certa, quella del 30 aprile, per l'approvazione del bilancio dell'esercizio 2004 e quindi per il rinnovo del consiglio di amministrazione. In questo modo, si esclude una proroga prevista anche dal codice civile per le società per azioni, cioè quello dell'allungamento del termine per l'approvazione del bilancio fino al 30 giugno di ogni anno.
La risoluzione trova quindi la sua ratio nella opportunità che il consiglio di amministrazione, nella composizione che ha gestito l'ultimo esercizio finanziario, dia informazione ai soci e ai creditori dei risultati conseguiti nel periodo di attività, assumendosi la responsabilità del proprio operato dinanzi all'assemblea dei soci. Essa è coerente con tutto quello che abbiamo detto e fatto su questo tema; è coerente con la posizione dell'UDC sui temi del pluralismo che abbiamo espresso in ogni sede.
Tale risoluzione - dicevo - pone un punto fermo, mi auguro che possa porlo, che possa chiudere una lunga querelle che si è svolta e snodata intorno alla permanenza o meno del consiglio d'amministrazione della RAI e possa invece avviare una nuova pagina nella storia di questa azienda, affinché essa sia segnata da una sua rinnovata capacità di essere elemento fondamentale e prezioso per il pluralismo dell'informazione nel nostro paese.
Sono queste alcune delle considerazioni che mi portano ad esprimere una dichiarazione di voto favorevole alla risoluzione Romani, sottoscritta anche da me e dal collega Giuseppe Gianni (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villetti. Ne ha facoltà.

 

 

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ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, con la mozione Violante ed altri n. 1-00428 si è sollevata formalmente la questione del consiglio di amministrazione della RAI, chiedendone le dimissioni ove già i consiglieri non siano decaduti.
Ci si può chiedere perché le opposizioni diano una grande rilevanza a tale questione. Ho ascoltato attentamente il dibattito parlamentare svoltosi in questa materia ed ho anche ascoltato l'intervento svolto dall'onorevole Romani. Che cosa ha detto il presidente Romani rivolgendosi all'opposizione? Ha detto: voi, durante il periodo della scorsa legislatura, avete avuto un comportamento nei confronti della RAI che non è stato equilibrato e neutrale.
Onorevoli colleghi, e questo lo voglio dire ai colleghi della maggioranza, noi non ci troviamo di fronte a questo problema perché non c'è un uso strumentale della RAI da parte della maggioranza. Non è questo il problema fondamentale. Noi ci troviamo di fronte ad una situazione che presenta un'anomalia tanto unica quanto rara in tutte le democrazie liberali: il Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto proprietario, controlla Mediaset e, in quanto leader della maggioranza, controlla la RAI. Onorevole Romani, ci troviamo dunque di fronte ad un monopolio politico di fatto dell'informazione. E lei, presidente Romani, di fronte a questa situazione, non ci dà nessuna risposta dal punto di vista democratico e delle libertà proprie di questo paese! Questo è il punto di fondo che voi non potete ignorare!
Del resto, il monito autorevole rivolto dal Capo dello Stato riguardava proprio tale questione: il pluralismo, la libertà e la democrazia, non si assicurano soltanto attraverso regole ma, come ci insegna il pensiero liberale, attraverso la pluralità dei soggetti; e, nella società dominata dai mass media, la pluralità dei mezzi di informazione, e soprattutto dei mezzi di informazione televisiva, è fondamentale! Allora, le argomentazioni addotte dal ministro Gasparri non corrispondono alla situazione reale che si registra nel paese. È da questo che nasce l'allarme delle opposizioni. Non si tratta quindi della volontà di rendere caricaturale la situazione nella quale ci troviamo,

 

 

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di demonizzare il Presidente del Consiglio dei ministri, di descrivere una situazione con ombre più scure e torbide di quando la realtà ci presenta, ma si tratta di sollevare un problema che non è stato risolto né con la questione del conflitto di interessi né con gli interventi che sono stati fatti in materia legislativa.
Onorevoli colleghi, è in questo quadro che è, a mio avviso, grave la situazione del consiglio di amministrazione della RAI; perché, in un quadro caratterizzato da una situazione patologica, noi non abbiamo neppure quelle garanzie all'interno del consiglio di amministrazione che la stessa maggioranza ritiene che siano necessarie per rispettare un corretto rapporto con l'opposizione.
Onorevoli colleghi, è per questo motivo che voteremo a favore della mozione Violante ed altri n. 1-00428 sottoscritta, per il gruppo Misto-socialisti democratici italiani, dall'onorevole Intini. Il nostro invito, rivolto anche al Presidente della Camera nel suo ruolo istituzionale, è che su queste questioni di libertà le risposte che debbono essere date all'opposizione non possono essere soltanto formali e di maniera, ma debbono essere sostanziali e date con molta rapidità perché toccano principi e valori fondamentali della nostra convivenza civile e politica (Applausi dei deputati del gruppo Misto-socialisti democratici italiani).

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BOZZE NON CORRETTE

 

Stenografico Aula in corso di seduta

Seduta n. 598 dell'8/3/2005

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...

(Votazioni)

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di prendere posto poiché dovremo procederemo a diverse votazioni.
Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Violante ed altri n. 1-00428, non accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

 

 

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(Presenti 454
Votanti 453
Astenuti 1
Maggioranza 227
Hanno votato
212
Hanno votato
no 241).

Prendo atto che l'onorevole Orsini non è riuscito votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Romani ed altri n. 6-00102, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 454
Maggioranza 228
Hanno votato
243
Hanno votato
no 211).

Prendo atto che l'onorevole Motta ha erroneamente espresso un voto favorevole, mentre avrebbe voluto esprimerne uno contrario.

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