L’approvazione da parte
del senato in via definitiva della legge Gasparri sul sistema
radio televisivo è stata salutata con grande esultanza in casa Mediaset,
ove si ha certamente più di un motivo di soddisfazione. Accanto alla
notizia dell’approvazione della legge spiccavano giorni fa infatti
nelle pagine economiche dei maggiori quotidiani nazionali i significativi
risultati eccezionalmente positivi dei conti economici del gruppo.
Questa impennata dei profitti è tanto più degna di nota e di riflessione
in quanto si versa, come è risaputo, in un periodo di vacche assai
magre quasi per tutti gli altri protagonisti del sistema produttivo
nazionale. Che il gruppo mediatico del presidente del consiglio goda di
buona salute non è certo una notizia negativa. Ma è tuttavia motivo di
vivo stupore confrontare il tripudio casalingo di Mediaset con i
commenti di quasi tutti i grandi giornali considerati indipendenti sulla
legge Gasparri: commenti preoccupati, fortemente critici, allarmati.
Tutte le più autorevoli voci del giornalismo
italiano, i maggiori uomini di cultura sono concordi su una linea di
severa opposizione.
Anche chi si sforza di apparire oggettivo, non
pregiudizialmente schierato, alterna giudizi flebilmente positivi
su aspetti marginali della legge a valutazioni ben altrimenti pesanti
sui punti nodali del provvedimento e sulla condizione personale del
presidente del consiglio. Ne deriva un panorama desolante: da una parte
un trionfalismo sfacciato del gruppo dominante nel campo dei media, che
si sente ormai padrone del parlamento con l’uni ficazione in un
solo vertice personale degli interessi economici del gruppo e di quelli
politici del leader; dall’altra una società politica e civile, una
cultura che si vede minacciata e minata nei principi elementari di una
democrazia moderna, che nel pluralismo dell’informazione trova il suo
sostegno essenziale ed irrinunciabile.
La verità è che la legge Gasparri è il punto
di approdo di una vicenda pluriennale che ha visto da una parte il
sistema istituzionale, in particolare la Corte costituzionale, elaborare
tenacemente, pazientemente, con intelligenza e sensibilità una dottrina
assai limpida applicativa dell’articolo 21 della Costituzione sul
pluralismo dell’informazione adeguandola ai mutamenti profondi che
sono avvenuti nel campo dei mezzi di comunicazione di massa; le Autorità
indipendenti della concorrenza e delle garanzie nelle telecomunicazioni
svolgere le loro funzioni con fermezza; dall’altra una evoluzione
legislativa torpida tutta intesa ad eludere gli insegnamenti della
Corte, ad aggirare le indicazioni più stringenti e a salvaguardare e
consolidare ad ogni costo gli equilibri esistenti, e cioè il duopolio,
le posizioni dominanti senza scalfirle.
Anche le direttive comunitarie che si sono
susseguite a difesa della concorrenza e delle regole del mercato in
questo campo sono state ignorate totalmente.
Ne è derivato un assetto nel quale, per il
presente, finché sarà prevalente la tecnologia analogica e la
televisione generalista il duopolio diventato monopolio avrà vita
felice, non subirà lesioni; per il futuro, con l’avvento della
tecnologia digitale terrestre (quando sarà, forse non prima di un
decennio) sono state poste tutte le condizioni perché la posizione
dominante possa perpetuarsi senza contraccolpi.
Il sistema integrato delle comunicazioni dilatato
fino all’inverosimile definisce un mercato rilevante di
dimensioni planetarie nel quale naufragherà qualsiasi norma antitrust.
L’attribuzione delle frequenze in modo
tutt’altro che trasparente ed equo. I termini del periodo transitorio
prorogati verso un futuro indefinito, in contrasto con le sentenze
della Corte costituzionale.
La concentrazione delle risorse pubblicitarie
accentuata a danno della carta stampata; una falsa privatizzazione della
Rai che la lascia sempre più alla mercé del governo e della
maggioranza parlamentare.
Sono tutti i tasselli di questa costruzione edificata
al solo scopo di perpetuare l’esistente.
Agli esultanti di Mediaset è bene ricordare che
siamo comunque immersi in uno spazio giuridico europeo, che la Corte
costituzionale esiste ancora, che le maggioranze parlamentari non sono
onnipotenti.
Ed è bene ricordare altresì che la solidità
finanziaria ed economica, la prosperità di una impresa che sia
fondata solo su una posizione dominante o sul suo abuso è fragile e
precaria. Il vento salutare della concorrenza, del mercato e del
pluralismo che inevitabilmente soffierà sempre più forte irrobustirà
le piante che in tale contesto vivono e le rende competitive, eliminerà
quelle che prosperano solo al riparo di barriere e di protezioni.
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