LA
NON DIVISIONE DEI POTERI
di
SABINO CASSESE
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- Il presidente del Consiglio dei ministri ha assunto ad interim la
carica di ministro dell’Economia e delle Finanze. Un incarico
interinale è quello che intercorre tra la cessazione del titolare di
una carica pubblica e la nomina del successivo; in questo periodo di
tempo, l’incarico viene provvisoriamente affidato a una persona che
non è il titolare ufficiale. E’ bene che l’incarico ad interim
sia il più breve possibile, per diversi motivi, riguardanti sia
la funzionalità del sistema politico, sia la correttezza della
condotta dei titolari delle cariche pubbliche. Innanzitutto, chi deve
dirigere la politica del governo non può trovare il tempo per guidare
la politica economica, specialmente se è a capo di un dicastero che
risulta dalla fusione di ben cinque precedenti ministeri. In secondo
luogo, tenere nella stessa mano per un tempo prolungato queste due
funzioni, che costituiscono insieme più della metà della funzione di
governo, comporta un accentramento di poteri degno di una monarchia
assoluta, non di una repubblica retta dalla divisione dei poteri. Non
uno Stato moderno, ma neppure una moderna impresa industriale può
sopportare un tale grado di concentrazione dei poteri.
Vi sono, poi, motivi specifici, per i quali l’attuale presidente del
Consiglio dei ministri non dovrebbe restare a lungo nell’incarico
interinale. Il ministro dell’Economia e delle Finanze, secondo una
legge del 1992, esercita i diritti dell’azionista nella Rai (nella
quale lo Stato possiede, ora indirettamente, e tra breve direttamente,
quasi la totalità delle azioni) e, in base a una legge del 1993, in
tale veste, collabora con il consiglio di amministrazione alla nomina
del suo direttore generale. Egli approva sia la convenzione, sia il
contratto di servizio tra Rai e ministero delle Comunicazioni, e,
quindi, ha l’ultima parola su tutta l’attività della Rai, dagli
impianti al servizio. In terzo luogo, il ministro dell’Economia e
delle Finanze svolge un ruolo fondamentale nell’attuazione della
legge Gasparri del maggio scorso, sull’assetto del sistema
radiotelevisivo e sulla Rai, tant’è vero che viene tirato in ballo
in sei diverse norme della legge.
Infine, il ministro dell’Economia e delle Finanze, se viene a
cessare il mandato dell’attuale consiglio di amministrazione della
Rai - evento possibile e persino probabile, considerato che manca il
presidente e che una delle forze di governo ha chiesto il rinnovo - è
l’ago della bilancia nel determinare il nuovo consiglio. Infatti,
nomina due dei nove membri. Dei due, solo uno (il presidente) richiede
il consenso della maggioranza parlamentare dei due terzi. Assumendo
che il sistema di nomina parlamentare dei restanti sette porti
all’assegnazione di quattro posti alla maggioranza e di tre alla
minoranza, il ministro dell’Economia e delle Finanze, in quanto
socio di maggioranza, è in grado di nominare liberamente, da solo, il
componente del consiglio di amministrazione che farà da ago della
bilancia.
La somma di tutti questi poteri non configura un nuovo conflitto di
interessi, ma accentua pesantemente quello esistente. E pone il
presidente del Consiglio dei ministri in una vistosa contraddizione
con se stesso. Egli aveva detto che si sarebbe allontanato dal
Consiglio dei ministri ogni volta che si sarebbero trattati problemi
televisivi. E ciò ha fatto - a quanto mi risulta - almeno una volta.
Non potrà, invece, spogliarsi della carica, quale titolare di un
organo monocratico.
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