la Repubblica |
DOMENICA, 14 NOVEMBRE 2004 |
Pagina 19 - Commenti |
Berlusconi, le tv e il "lodo Eltsin" |
CARLO ROGNONI |
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Caro direttore, la privatizzazione Rai, "alla
maniera di Gasparri", sta sollevando dubbi e interrogativi. L´idea
di vendere a privati pacchetti azionari del servizio pubblico
radiotelevisivo, mi è sempre sembrata un´idea avventurosa, strumentale
a interessi particolari, senza precedenti. Il che mi ha spinto a fare
una piccola ricerca in Europa, a Ovest come a Est. Le conclusioni sono
adesso a disposizione dei lettori di Repubblica. Ebbene "il progetto Gasparri" ha un precedente: "il progetto Eltsin". Nel 1995 l´allora zar della grande Russia decise l´apertura ai privati nel capitale di radio e tv di Stato. Dal vecchio ente monopolista Ostankino, nacquero diverse società. Di quella che controllava il primo canale Ort, la tv ammiraglia, come potrebbe essere da noi la Rete1, Boris Eltsin mantenne la maggioranza (51%) e cedette ai privati il 49%. Tra gli invitati figurarono nomi importanti, personaggi controversi, i nuovi oligarchi, tutti amici del presidente: c´era Chernomyrdin della Gazprom, Berezovski della Logovaz, Dmitry Zelenin, magnate dell´industria chimica e dell´alluminio, e via elencando. In particolare Berezovski, riuscì a prendere il controllo del primo canale, Ort, possedendone solo l´8 per cento. Per ripagare il presidente del favore ricevuto, nelle elezioni presidenziali del 1996, la Ort sostenne a spada tratta la rielezione di Eltsin, il quale finì addirittura per cooptare Berezovski nel governo. Dopo Eltsin, "il privilegio Ort" toccò a Putin, finché nell´agosto del 2000 i rapporti fra l´oligarca e il nuovo presidente si ruppero. I beni di Berezovski furono congelati su tutto il territorio russo. Il 13 agosto del 2001 Putin varò un decreto che rinazionalizzava tutti i canali ex pubblici privatizzati, e anche la Ort tornò sotto il controllo diretto del governo. Ci sono due altri casi in Europa di "privatizzazione alla Gasparri" e cioè di "apertura ai privati nel capitale del servizio pubblico". Ma uno è fallito sul nascere e l´altro deve ancora realizzarsi. Il primo: dopo la caduta del Muro, fu il governo di Varsavia a decidere di studiare la privatizzazione parziale della Tvp, la televisione pubblica polacca. Se ne interessò l´inglese Justin Dukes che aveva curato il lancio di Channel4 in Gran Bretagna. Il progetto non ebbe mai il via libera definitivo: si opposero tutti, dipendenti, parlamentari e telespettatori. Il secondo: è di questi giorni la notizia che il governo di centrodestra della Danimarca si prepara a mettere in vendita tra il 51 e il 66 per cento della Tv2, rete pubblica già commerciale. Da un primo sondaggio pubblicato dal quotidiano Borsen risulta che l´86 per cento dei danesi preferirebbe non far nulla: la paura - dicono - è che a comprare si presentino media barons come Berlusconi o Murdoch! Di ben altra dimensione e di ben altre caratteristiche è la storia in Europa delle "privatizzazioni attraverso la cessione di rami d´azienda". Insomma nessuno pensa che il servizio pubblico sia un tabù. Nella stragrande maggioranza dei paesi europei si è preferito mantenere un nucleo forte di servizio interamente pubblico e vendere semmai ai privati una o due reti, o meglio ancora cedere a un´altra società privata gli impianti di trasmissione. Nel primo caso, si privatizza una parte per liberalizzare il mercato, per consentire a nuovi soggetti imprenditoriali di affacciarsi al business della tv. Ha cominciato la Francia nel 1987 mettendo in vendita il primo canale della tv pubblica. Vinse una gara complessa il gruppo Bouygues, un outsider del settore dei media. Altri esempi di cessioni di reti e di canali ci sono in Bulgaria, in Croazia, in Ungheria, in Lussemburgo. Nel secondo caso ci sono gli esempi di Gran Bretagna e Finlandia che meritano una attenzione particolare, in quanto indicano una linea vincente in prospettiva, soprattutto in vista dell´ingresso delle tecnologie digitali. Nel febbraio 1997 la Bbc ha ceduto tutti i suoi impianti di trasmissione alla americana Crown Castle. In questa stessa direzione si è mossa la finlandese Yle che ha ceduto ai francesi della Tdf, società specializzata, il 90 per cento della Digita, la sua società di impianti di trasmissione. Sia l´esempio inglese che quello finlandese fanno venire in mente il tentativo fallito per colpa del ministro Gasparri (fu proprio uno dei suoi primissimi interventi) di vendere una parte di RaiWay alla Crown Castle. Questa operazione che affidava a una società terza la gestione degli impianti, prefigurava ciò che tutti oggi considerano una linea di tendenza lungo la quale non si potrà non andare e cioè la divisione fra "operatore di rete" e "fornitore di contenuti". Peccato che agli occhi del governo Berlusconi tutto ciò destabilizzava lo schema duopolistico simmetrico. La strada scelta dai servizi pubblici in Gran Bretagna, in Finlandia ma anche in Francia, dove c´è un operatore di rete unico, favorisce - secondo tutti gli esperti - il processo di transizione dall´analogico al digitale. Porta alla razionalizzazione dell´uso di tutte le frequenze, e dunque favorisce l´ottimizzazione e la massimizzazione della capacità trasmissiva. Un processo di transizione che sarebbe molto più complesso in presenza di operatori verticalmente integrati che, per loro natura, tendono a comperare e a usare in modo inefficiente risorse preziose come le frequenze. Vedasi Mediaset e Rai oggi. Insomma guardando all´Europa c´è molto da imparare e molto su cui riflettere. Anche a sinistra, quando si parla di privatizzazione della Rai si fa spesso confusione e sicuramente l´ha fatta il centro sinistra nella passata legislatura. La Rai non è una azienda pubblica qualunque. Ha una missione che certo prevede conti in ordine, niente sprechi, bilanci in attivo, ma non per remunerare il capitale investito da qualche privato azionista bensì per migliorare gli investimenti in qualità di prodotto, in tecnologie avanzate, e in nome del valore democratico del pluralismo. Si può pensare di venderne una parte. Ma evitiamo, finché è possibile, dopo averla lottizzata all´italiana, di svenderla alla russa! l´autore è deputato Ds e membro della Commissione trasporti e telecomunicazioni |