L’INTERVENTO / Maccanico, ex ministro delle Comunicazioni del governo Prodi, e il professor Ghidini: giusti gli obiettivi del ddl, molte le incoerenze

«Questo digitale terrestre non rispetta il pluralismo»

«Riservando le frequenze agli attuali operatori in tecnica analogica perpetua il duopolio»

Il disegno di legge (n. 3184) presentato dal ministro delle Comunicazioni on. Maurizio Gasparri, attualmente in discussione alla Camera, presenta una indubbia, elevata organicità di impianto. Pienamente condivisibile, pure, il suo dichiarato principale obiettivo: favorire lo sviluppo della tecnologia digitale nel settore radiotelevisivo anche come strumento di crescita della concorrenza in detto settore.
Tuttavia, numerose ed autorevoli voci -
in primis quelle dei presidenti delle Autorità di garanzia delle Comunicazioni e della Concorrenza - hanno manifestato gravi perplessità circa la coerenza di taluni qualificanti lineamenti del progetto con indicazioni normative, sia interne sia comunitarie, tutte di rango costituzionale, volte alla tutela dei valori del pluralismo informativo e della concorrenza. Il Corriere se ne è occupato proprio ieri con l’editoriale di Sabino Cassese.
Il primo di tali punti riguarda il sistema di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale durante la fase («transitoria») di progressivo distacco dalla tecnica analogica. L'art. 23, comma 5 (letto in collegamento con il comma 1) riserva in sostanza le licenze di operatori di rete autorizzati ad operare in tecnica digitale agli attuali operatori in tecnica analogica. In tal modo, anziché incentivare la concorrenza, si rafforzerà il duopolio esistente.
Infatti, in un settore caratterizzato da forti barriere all'entrata, quella riserva discriminerà gravemente sia i nuovi entranti sia quelle imprese che, pur titolari di concessione, non abbiano ancora potuto esercitare l'attività. Questa soluzione è anche gravemente contraddittoria con il quadro normativo delineato dalle recenti Direttive comunitarie in materia. Queste esigono che allocazione e assegnazione di frequenze si fondino su criteri trasparenti, non discriminatori e proporzionati; e che, altresì, le specifiche procedure nazionali siano coerenti con «obbiettivi d'interesse generale conformemente alla normativa comunitaria» e in ogni caso si basino su «procedure pubbliche trasparenti e non discriminatorie (Direttiva 2002/20, art. 5.2)».
Il secondo punto, anch'esso del regime transitorio, che pure risulta gravemente lesivo del pluralismo, riguarda la fase di avvio della tecnica di trasmissione digitale terrestre (art. 25 ddl Gasparri). La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 466/2002, aveva indicato il 31 dicembre 2003 come termine finale di quel regime transitorio che, secondo la legge 249/1997, doveva consentire agli operatori dominanti di mantenere tre reti «terrestri» sino «all'effettivo e congruo sviluppo dei programmi radiotelevisivi via cavo o via satellite» (art.3, commi 6 e 7). Quel termine, disse la Corte, non era eludibile, salvo che «dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre» derivasse «un aumento delle risorse tecniche disponibili». Spunto raccolto al volo dal ddl Gasparri che promette (art. 25, comma 1) di rendere attive entro quella stessa data reti digitali terrestri con programmi in chiaro accessibili con decoder . Senonché, fra il promettere e il dare c'è di mezzo la realtà. Il digitale c'è ma non si vede - o meglio: lo vedono, e a lungo lo vedranno, in pochissimi.
Certo: sia Mediaset che Rai stanno sviluppando reti digitali con copertura del 50% della popolazione. Ma la rete (la copertura) non basta, occorre anche la ricezione, cioè i decoder . Ora, gli esperti prevedono che la diffusione dei decoder diventerà di massa, così realizzando una diffusa effettiva accessibilità al digitale, non prima di almeno sei o sette anni. Dunque, il ddl in discussione mette subito al riparo gli operatori dominanti dall'apertura alla concorrenza sulle reti analogiche (quelle che tutti noi attualmente, e per anni e anni ancora, «vedremo») e lo fa in nome di una abbondanza di risorse che sarà effettivamente tale (accessibile) solo in un lontano futuro. Si entra così in piena rotta di collisione con la ricordata indicazione della Corte costituzionale, come ha sottolineato lo stesso Cassese.
Infine, l'asse portante dell'assetto definitivo prefigurato dal ddl Gasparri: il Sic, ossia il «Sistema integrato delle comunicazioni» (art. 2, comma g, del ddl) che esprime il «mercato rilevante» rispetto al quale verificare il superamento del limite (20%) al possibile cumulo delle risorse complessive raccolte dagli operatori di comunicazione. Ora, la magmatica eterogeneità di mezzi e attività che compone il Sic (e che abbraccia gestione di reti e produzioni di contenuti, esercizio di sale cinematografiche ed imprese fonografiche, raccolta di pubblicità anche non al servizio di emittenza radiotelevisiva ecc. ecc.) consente di diluire grandemente il grado di «potere di informazione» e così di rendere praticamente irrealizzabile il superamento del limite di legge: anche da parte dei due gruppi televisivi dominanti, la cui complessiva audience share superava, a fine 2001, il 90% (e il 96% della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo). Inoltre, il «Sic» (che non trova alcun riscontro in altri Paesi industrialmente avanzati) abbraccia la produzione e distribuzione di contenuti (programmi), e riflette quindi una nozione di mercato rilevante in palese contrasto con la Direttiva comunitaria (cosiddetta «quadro») n. 21 del 2002, la quale, preoccupata di garantire la concorrenzialità della comunicazione audiovisiva, si concentra sulla disciplina delle reti e dei servizi.
* Deputato
della Margherita
**Ordinario
di Diritto Industriale

 



Politica

24 settembre 2003