Nonostante l’irrituale decisione assunta
dalle commissioni riunite in via preventiva, è sicuramente legittimo
dal punto di vista puramente formale che l’Assemblea decida di
limitare la discussione di un disegno di legge rinviato dal presidente
della repubblica alle parti che formano oggetto del messaggio. Ciò,
nella generalità dei casi, è non solo ammissibile, ma anche utile, in
particolare quando si tratta di provvedimenti largamente condivisi.
Ma può la camera fermarsi a questa considerazione, a fronte di un
progetto di legge organico, come la Gasparri, che riguarda l’intero
sistema televisivo e il principio costituzionale del pluralismo
dell’informazione e dei mezzi di comunicazione di massa, in attuazione
dell’articolo 21 della Costituzione sul quale vi è stato un duro
scontro parlamentare? È politicamente accettabile che venga imboccata
questa strada, se il progetto di legge in esame è stato preceduto da un
messaggio del presidente della repubblica che ha fatto il punto sulle
imponenti carenze ordinamentali in questo campo ed ha indicato, con
dovizia d’argomenti, le linee di politica istituzionale indispensabili
per garantire il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione,
defi- nite, nel messaggio stesso, strumento essenziale per la
realizzazione di una democrazia compiuta? Quale significato
politico ha il procedere in questo modo, se il progetto di legge
approvato dal parlamento, dopo il messaggio presidenziale, è stato dal
presidente della repubblica rinviato alle camere con pesanti rilievi,
che investono il sistema normativo predisposto il quale, anziché
correggere i gravi squilibri gravi indicati, li aggrava e li perpetua
nel tempo? Come valutare la cocciuta e testarda indisponibilità della
maggioranza a riconsiderare un assetto normativo vitale per la nostra
democrazia e destinato a regolare per anni l'intero sistema delle
comunicazioni, della stampa, quotidiana e periodica, delle
radiodiffusioni, al di fuori dall’angusta e cieca determinazione a
difendere le posizioni dominanti esistenti, ingigantendo quel
conflitto di interesse che è divenuto un dato permanente di
minorità della nostra democrazia? Si tratta di un grande tema di natura
istituzionale che, ancora una volta, anziché essere terreno di
convergenza e di accordo, rimane fattore lacerante nel tessuto dei
rapporti politici.
Veniamo al merito della questione. Come detto, il messaggio
presidenziale di rinvio colpisce al cuore il progetto di legge; infatti,
i rilievi hanno di mira soprattutto le norme sul periodo transitorio,
dall'analogico al digitale, quelle sul Sistema integrato di
comunicazione, quelle riguardanti la ripartizione delle risorse
pubblicitarie, che costituiscono l’architrave sul quale è retta
l’architettura del sistema e che sono fortemente interconnesse tra
loro. Non si può ragionevolmente pensare che il decreto legge emanato a
fine anno che è in fase di conversione, abbia risolto il problema
del periodo transitorio, dall'analogico al digitale, e soddisfatto le
esigenze indicate dal presidente della repubblica.
Esiste il tema, chiaramente indicato dall’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, del conferimento delle relative frequenze e
delle connesse licenze e autorizzazioni agli operatori di rete.
L’articolo 23, comma 5, del progetto di legge in esame prevede che la
licenza di operatore di rete sia rilasciata, su domanda, ai soggetti che
esercitano legittimamente l’attività televisiva, o sulla base di un
generale assentimento.
Questo meccanismo, consentendo agli operatori che dispongono delle
frequenze in tecnica analogica di ottenere le licenze e le
autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale
terrestre, rafforza l’attuale assetto dualistico e pregiudica lo
sviluppo della tecnica digitale.
Secondo la maggioranza, l’articolo 23 non dovrebbe essere riesaminato,
nonostante le considerazioni allarmate dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, perché non sarebbe investito dal messaggio
presidenziale.
Quanto al Sic, i pesanti rilievi del presidente della repubblica non
sono certo soddisfatti da una piccola riduzione della sterminata area
produttiva che ne caratterizza il mercato di riferimento.
Inoltre, la questione della ripartizione delle risorse pubblicitarie,
che il presidente ha, con preoccupazione, indicato come uno dei grandi
squilibri da risanare, rimane irrisolta, se ci si rifiuta di
comprendere nella pubblicità televisiva le telepromozioni.
Aggiungo il capitolo relativo alla Rai e al servizio pubblico
televisivo. È di palmare evidenza che le norme riguardanti la Rai
confliggono nettamente con i lineamenti di quel pluralismo interno
sul quale il messaggio alle camere, inviato dal presidente della
repubblica prima della presentazione del disegno di legge in esame, ha
fortemente insistito.
L’assetto normativo previsto ribadisce la preponderanza della
maggioranza parlamentare e del governo negli organi amministrativi del
servizio pubblico televisivo, e contrasta pertanto con l’esigenza di
misure sostanzialmente ispirate al principio di parità di accesso delle
forze politiche: la Rai continua ad essere l’ente che va in dote ai
vincitori delle elezioni.
Come appare chiaro, dunque, l’idea di limitare il riesame solo ad
alcuni punti toccati dal messaggio presidenziale - l’esclusione di
correzioni in tema di pubblicità è gravissima, anche sotto il
profilo regolamentare - è rivelatrice di un’interpretazione
restrittiva e minimalista del messaggio stesso.
Si tratta di un adeguamento di facciata e della manifestazione della
volontà di persistere in una linea ottusa che manterrà aperto un
problema di democrazia e un contenzioso assai delicato nel nostro paese.
Il messaggio presidenziale aveva aperto il cuore alla speranza di un
ripensamento più sereno.
La decisione della maggioranza fa perdere anche questa occasione di dare
al nostro paese un sistema televisivo e della comunicazione di massa più
pluralista, più competitivo, e maggiormente degno di una grande
democrazia quale è la nostra.