Il rinvio, da parte del
presidente della repubblica, della Gasparri alle camere per una nuova
deliberazione (e, quindi, per una nuova discussione, non necessariamente
limitata ai soli punti evidenziati nel messaggio presidenziale del 15
dicembre) solleva numerosissimi problemi. Qui di seguito cercherò non
già di dare ad essi una soluzione, ma, quanto meno, di individuare i
punti da tener fermi nel dibattito che già si è aperto.
Il presidente Ciampi, nel suo messaggio, ha
puntato il dito sui seguenti vizi di incostituzionalità, che sono i più
macroscopici (ancorché non i soli). Il 31 dicembre 2003 deve essere
considerato come il termine insuperabile per una disciplina del sistema
televisivo che garantisca effettivamente il pluralismo delle emittenti
che trasmettono in analogico. (Ciò è desumibile dalla sentenza numero
466 del 2002 della Corte costituzionale, che aveva sottolineato le
ripetute elusioni, da parte del legislatore, della sentenza 420 del 1994
e, ancor prima, della sentenza numero 826 del 1988); - la Gasparri,
approvata entro tale data, anziché risolvere ora questo problema, si
limita a porre le premesse per risolverlo in un futuro, entro una data
tecnicamente imprecisabile. In altre parole, per far ritenere che
attualmente esiste un sistema televisivo pluralistico, la Gasparri opera
la sommatoria delle emittenti che trasmettono ora in analogico con
quelle che trasmetteranno domani (rectius, dopodomani) in digitale.
Pertanto, la Gasparri pone in essere non già una disciplina definitiva,
bensì un’ennesima disciplina transitoria delle trasmissioni
televisive operanti con impianti analogici terrestri (si noti bene: è
dal tempo del decreto legge 807 del 1984 - adottato dal governo Craxi
per salvare tutte e tre le tre reti Fininvest - che in Italia si va
avanti con regimi transitori in attesa dell’effettivo pluratismo!); -
il Sistema Integrato delle Comunicazioni (Sic), previsto dalla Gasparri
ai fini dell’individuazione della soglia delle posizioni
dominanti vietate, costituisce uno specchio per le allodole, come
autorevolmente sottolineato dal professore Giuseppe Tesauro, presidente
dell’Antitrust. Il Sic ricomprende infatti elementi assolutamente
estranei al cosiddetto mercato «rilevante» (e cioè il mercato
televisivo), e pertanto anziché limitare lo strapotere attuale del
gruppo Mediaset (come lamentato già nella sentenza numero 420 del
1994), ne amplia le possibilità, con la conseguenza che ne viene
precostituita la dominanza anche nel futuro mercato delle televisioni
operanti in digitale; - deve essere garantito il pluralismo non solo nel
settore dell’emittenza televisiva ma anche in quello della stampa
periodica. Poiché le risorse a cui attingono i due settori sono
soprattutto quelle offerte dal mercato pubblicitario, è evidente che
deve essere previsto un limite complessivo all’approvvigionamento del
settore televisivo, se non si vuole inaridire il settore della stampa
scritta.
Ciò, ancor prima della sentenza numero 231 del
1985 (a cui si è esattamente riferito il capo dello stato), era stato
energicamente sottolineato dalla Corte costituzionale già nella
sentenza numero 225 del 1974 (paragrafo 8, terzo capoverso, lettera f).
Poste queste premesse, ci si deve chiedere (retoricamente):
a quale scopo deve intervenire il legislatore, con una disciplina
sostitutiva della legge numero 249 del 1997, prima del 31 dicembre 2003?
La risposta è semplice: evitare che Retequattro debba non già
“chiudere”, bensì continuare a trasmettere esclusivamente dal
satellite.
Questo evento non coglie però di sorpresa
Mediaset.
La Corte costituzionale aveva già individuato
nel 27 agosto 1996 (sentenza numero 420 del 1994) il termine ultimo per
la sopravvivenza della terza rete Mediaset. Vari decreti legge del
governo Prodi avevano poi spostato (illegittimamente) tale termine
fino all’approvazione della legge numero 249 del 1997. Questa
legge, a sua volta, ha consentito alla terza rete Mediaset di
“sopravvivere”, a patto però di operare solo sul satellite, una
volta che fosse stato superato il termine previsto a tal fine
dall’Autorità delle garanzie nelle comunicazioni. La delibera numero
346 del 7 agosto 2001 del AgCom - che il capo dello stato richiama nel
suo messaggio - ha fissato appunto tale termine al 31 dicembre
2003, e la Corte costituzionale ha statuito che tale termine non sia
ulteriormente prorogabile.
E allora? Tre sono le eventualità possibili: 1)
che le camere non riapprovino tempestivamente la Gasparri. In tal caso
la delibera dell’AgCom (blindata dalla Corte costituzionale) dovrà
essere eseguita. Conseguentemente Retequattro cesserebbe le sue
trasmissioni in chiaro il 31 dicembre 2003 (ma potrà essere seguita su
Sky Tv, come fin d’ora è possibile); 2) che le camere
riapprovino la Gasparri così com’è, anche a maggioranza semplice (lo
consente l’articolo 74 comma 2 della Costituzione), il che però non
mi sembra politicamente praticabile (lo sarebbe, forse, solo se la
maggioranza di governo fosse costituita da Forza Italia e dalla Lega);
3) che il governo adotti un decreto legge.
A quest’ultimo riguardo, il problema non è
quello -riportato da alcuni quotidiani - se il consiglio dei ministri
debba essere presieduto da Berlusconi o no (per allontare il sospetto…
di un conflitto d’interessi). Per vero il governo non cessa di
essere il governo Berlusconi solo perché Berlusconi, per cinque minuti,
sta fuori della porta (magari col telefonino acceso…). Piuttosto, il
problema vero è che il decreto legge deve essere firmato dal
presidente della repubblica, e sarebbe assai strano se Ciampi firmasse
dopodomani ciò che non ha firmato l’altro ieri.
Ebbene, cosa potrebbe indurre Ciampi a firmare?
Non oso lontanamente sostituirmi all’autorità e alla sensibilità del
presidente della repubblica. Dico soltanto che non esiste
quell’emergenza occupazionale dei dipendenti di Rti-Retequattro che è
già stata ventilata come ragione giustificatrice della
straordinarietà del decreto legge.
A parte il fatto che sono anni ed anni che
sentenze, leggi e provvedimenti amministrativi ci dicono che, prima o
dopo, Retequattro dovrà andare sul satellite (sempre che il sistema
resti il medesimo; e cioè se il numero delle concessioni assentibili
alle imprese televisive nazionali operanti con frequenze analogiche
terrestri rimanga determinato in undici, il che tecnicamente è già
eccessivo e non realistico)… ebbene, a parte ciò, è evidente che
alla “liberazione” delle radiofrequenze di Retequattro (che opera
senza concessione!) non potrà non seguire l’assegnazione delle stesse
frequenze alle altre imprese le quali, benché titolari di concessione,
non hanno la stessa copertura televisiva delle tre reti Rai, di Canale 5
e di Italia Uno. Si pensi a La7, a Mtv e a Europa 7 (quest’ultima ha
bensì la concessione, ma non ha nemmeno una frequenza!).
Conseguentemente è ragionevole ritenere che
l’ingresso di nuovi soggetti e il potenziamento dei soggetti già
operanti riassorbirebbero certamente quell’esubero determinato dal
passaggio di Retequattro sul satellite.
Allo stato, non mi sembra perciò che esistano
alternative seriamente prospettabili (e costituzionalmente legittime) al
trasferimento di Retequattro sul satellite, a partire dal primo gennaio
2004. Sta di fatto che anche una modifica del Sic che non faccia
altro che confermare il paniere già previsto dall’articolo 2 comma 8
lettera d) della legge 249 del 1997 ovvero l’inclusione delle
telepromozioni nel tetto dell’affollamento pubblicitario orario, per
quanto auspicabili - a tutela della stampa quotidiana (a proposito,
perché si deve tener conto della diminuzione di personale a Retequattro
e non la crisi che attraversano quotidiani, anche importanti, come La
stampa?) -, non credo risolverebbero il problema di fondo che Ciampi ha
giustamente posto rinviando la Gasparri alle camere.
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