Commento
alla decisione di Andrea Morrone
SENTENZA N.303
ANNO
2003
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
Riccardo
CHIEPPA Presidente
Gustavo
ZAGREBELSKY Giudice
Valerio
ONIDA “
Carlo
MEZZANOTTE “
Fernanda
CONTRI “
Guido
NEPPI MODONA “
Piero
Alberto CAPOTOSTI “
Annibale
MARINI “
Franco
BILE “
Giovanni
Maria FLICK “
Ugo
DE SIERVO “
Romano
VACCARELLA “
Paolo
MADDALENA “
Alfio
FINOCCHIARO “
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi da 1 a 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive); dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166, (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti); degli articoli da 1 a 11, 13 e da 15 a 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale); del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443) ed allegati A, B, C e D dello stesso decreto legislativo n. 198 del 2002; promossi con ricorsi: della Regione Marche, notificati il 22 febbraio, il 25 ottobre e il 12 novembre 2002, depositati il 28 febbraio, il 31 ottobre e il 18 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 9, 81 e 86 del registro ricorsi 2002; della Regione Toscana, notificati il 22 febbraio, il 1° e il 24 ottobre, e l’11 novembre 2002, depositati il 1° marzo, il 9 e il 30 ottobre, e il 16 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 11, 68, 79 e 85 del registro ricorsi 2002; della Regione Umbria, notificati il 22 febbraio e l’11 novembre 2002, depositati il 4 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 13 e 89 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Trento, notificati il 22 febbraio e il 25 ottobre 2002, depositati il 4 marzo e il 5 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 14 e 83 del registro ricorsi 2002; della Regione Emilia-Romagna, notificati il 23 febbraio e il 12 novembre 2002, depositati il 5 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 15 e 88 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Bolzano, notificato il 25 ottobre 2002, depositato il 31 successivo ed iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2002; della Regione Campania, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 16 successivo ed iscritto al n. 84 del registro ricorsi 2002; della Regione Basilicata, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 19 successivo ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2002; della Regione Lombardia, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 90 del registro ricorsi 2002; e del Comune di Vercelli, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 91 del registro ricorsi 2002.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché
gli atti di intervento dell’Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre, della
Società Wind Telecomunicazioni s.p.a., della Vodafone Omnitel s.p.a., della
Società H3G s.p.a., della T.I.M. s.p.a. -
Telecom Italia Mobile e dei Comuni di Pontecurone, Monte Porzio Catone, Roma,
Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS);
udito
nell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 il Giudice relatore Carlo
Mezzanotte;
uditi
gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche; Vito Vacchi, Lucia Bora e
Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana; Giandomenico Falcon e Maurizio Pedetta
per la Regione Umbria; Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia
autonoma di Trento; Giandomenico Falcon, Luigi Manzi e Fabio Dani per la
Regione Emilia-Romagna; Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma
di Bolzano; Beniamino Caravita di Toritto e Massimo Luciani per la Regione
Lombardia; Vincenzo Cocozza per la Regione Campania; Antonino Cimellaro e
Carlo Rienzi per il Comune di Vercelli; Corrado V. Giuliano per
l’Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre; Beniamino Caravita di Toritto e
Vittorio D. Gesmundo per la Società Wind Telecomunicazioni s.p.a.; Marco Sica
e Mario Libertini per la Vodafone Omnitel s.p.a.; Nicolò Zanon per la Società
H3G s.p.a.; Giuseppe De Vergottini, Mario Sanino e Carlo Malinconico per la
T.I.M. s.p.a. -
Telecom Italia Mobile; Antonino Cimellaro e Carlo Rienzi per il Comune di
Pontecurone; Antonino Cimellaro per i Comuni di Monte Porzio Catone e Mantova;
Sebastiano Capotorto per il Comune di Roma; Vito Aurelio Pappalepore per il
Comune di Polignano a Mare; Carlo Rienzi per il CODACONS; e l’avvocato dello
Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.
¾
Con distinti ricorsi, ritualmente notificati e depositati, le Regioni Marche,
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento hanno
sollevato questione di legittimità costituzionale -
in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione e,
limitatamente alla Provincia autonoma di Trento, all’articolo 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione) -
dell’art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in
materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri
interventi per il rilancio delle attività produttive), anche detta “legge
obiettivo”.
In
particolare, le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna hanno denunciato i
commi da 1 a 12 ed il comma 14 del menzionato art. 1, mentre la Regione Marche
ha impugnato soltanto i commi da 1 a 5. La Provincia autonoma di Trento ha
censurato a sua volta i commi da 1 a 4 dello stesso art. 1, precisando di non
ritenere lese le prerogative ad essa spettanti in forza dello statuto e delle
norme di attuazione, bensì affermando di voler denunciare
l’incostituzionalità della legge n. 443 del 2001 “in quanto essa
contraddice l’ulteriore livello di autonomia, spettante alla Provincia ai
sensi dell’art. 117 della Costituzione” e dell’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, il quale estende alle Regioni ad autonomia
differenziata le previsioni del Titolo V della Parte II della Costituzione
“per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a
quelle già attribuite”.
2. ¾ Quanto alle singole censure, tutte le ricorrenti denunciano il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, il quale attribuisce al Governo il compito di individuare le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione del Paese.
Si
lamenta anzitutto la violazione dell’art. 117 Cost., adducendosi al riguardo
che il predetto compito non è ascrivibile ad alcuna delle materie di
competenza legislativa esclusiva statale.
Le
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento sostengono,
inoltre, che, non essendo più contemplata dall’art. 117 Cost. la materia
dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non sarebbe nemmeno
possibile far riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse così da
escludere la potestà legislativa regionale, atteso che la scelta del
legislatore costituzionale è stata proprio quella di considerare detta
dimensione come rilevante in relazione al riparto solo nell’ambito di quanto
assegnato allo Stato a titolo di potestà legislativa esclusiva o concorrente.
Le
Regioni Marche e Toscana adducono poi che l’individuazione delle grandi
opere potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati
dall’art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi
reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia), ma la disposizione censurata, da un lato,
prevederebbe una disciplina di dettaglio e non di principio e dunque lesiva
dell’autonomia legislativa regionale; dall’altro escluderebbe le Regioni
dal processo “codecisionale”, che dovrebbe essere garantito in base allo
strumento dell’intesa tra Stato e Regioni medesime.
Tale
ultimo profilo di censura, sia pure in subordine all’assunto per cui nella
specie non sarebbe comunque possibile far riferimento ad alcuna delle materie
elencate nel terzo comma dell’art. 117 Cost., è fatto proprio anche dalle
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento, secondo
le quali la potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni su
tali opere, chiaramente anche di interesse “nazionale”, richiederebbe che
su di esse vi sia un coinvolgimento di entrambi i livelli di governo.
In
definitiva, si ritiene che la disposizione del comma 1 violi anche il
principio di leale collaborazione, giacché non prevede che l’individuazione
delle c.d. grandi opere sia determinata dalle Regioni, o quanto meno
dal Governo d’intesa con le Regioni interessate.
2.1.
¾
Il comma 1 dell’art. 1 viene altresì specificamente denunciato dalla
Regione Marche per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. In difetto di una
puntuale indicazione dei presupposti che giustificano, in base a sussidiarietà,
un’allocazione a livello centrale delle funzioni relative alla
programmazione, decisione e realizzazione delle singole opere strategiche
oggetto della disciplina censurata, risulterebbe violato il primo comma
dell’art. 118 Cost.
La
ricorrente rileva inoltre che la disposizione censurata non potrebbe
giustificarsi neppure come una forma di intervento previsto dall’art. 119,
quinto comma, Cost., ossia quale attribuzione di risorse aggiuntive e di
interventi speciali in favore delle singole autonomie locali, giacché essa si
limita a prevedere una competenza generale dello Stato sulla determinazione di
programmi e interventi da realizzarsi in futuro e rispetto ai quali dovranno
definirsi e ricercarsi le relative risorse. Così, attribuendo al Governo il
compito di reperire tutti i finanziamenti allo scopo disponibili, la
disposizione denunciata verrebbe ad incidere sull’autonomia finanziaria
delle Regioni, costituzionalmente garantita “in relazione al reperimento
delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture la cui decisione
rientra nella competenza regionale”.
3.
¾
Tutte le ricorrenti impugnano poi il comma 2 dell’art. 1 della “legge
obiettivo”, che detta -
dalla lettera a) alla lettera o)
-
i principî ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo è chiamato ad
emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più
decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla
celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai
sensi del comma 1”.
In base ad
analoghe censure, che evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., si deduce
anzitutto che la prevista normativa, in quanto derogatoria della legge quadro
sui lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109), violerebbe la potestà
legislativa esclusiva delle Regioni in materia di appalti e lavori pubblici.
Si
sostiene inoltre che, pur nella ipotesi in cui si intenda riconoscere in
materia una potestà legislativa concorrente, sarebbero egualmente violate le
competenze regionali perché il denunciato comma 2 detta principî non già
alle Regioni ma al Governo e ciò attraverso una disciplina compiuta e di
dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione
regionale.
In
particolare le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma
di Trento, affermano che la disposizione del comma 2 sarebbe ben lungi dal
conformarsi al modello costituzionale, per il quale, anche in relazione alle
opere maggiori, la competenza legislativa ripartita deve riflettersi in una
gestione congiunta tra Stato e Regioni in “tutti i momenti in cui
l’amministrazione di tali opere si scompone, secondo le regole dei principî
di sussidiarietà e di leale cooperazione”.
3.1. ¾
La sola Regione Marche assume altresì l’esistenza della violazione degli
artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nella parte in cui il comma 2
prevede criteri direttivi rivolti all’esercizio di competenze amministrative
e al reperimento e all’organizzazione delle risorse.
3.2.
¾
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma di Trento
sollevano inoltre ulteriori specifiche censure avverso le lettere g)
ed n), del comma 2, lamentandone il
contrasto con il “diritto europeo”.
Quanto
alla lettera g), nella parte in cui
circoscrive l’obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la
normativa europea in tema di evidenza pubblica solo “nel caso in cui
l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici”, si tratterebbe
di previsione che non trova riscontro nella direttiva 93/37 CEE, neppure nel
caso del ricorso all’istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3,
§ l) o all’affidamento ad unico soggetto contraente generale. Essendo,
infatti, pur sempre quello dell’appalto di lavori un contratto a titolo
oneroso tra un imprenditore e un’amministrazione aggiudicatrice, la stessa
partecipazione diretta al finanziamento dell’opera o il reperimento dei
mezzi finanziari occorrenti, da parte del contraente generale [comma 2,
lettera f)], non rileverebbe ai
fini dell’esenzione dal regime comunitario.
Secondo
la Regione ricorrente l’interesse a siffatta censura si radicherebbe sia
nella titolarità di competenza legislativa concorrente, sia nel fatto che
l’emanazione di disposizioni contrastanti con la normativa europea “renderà
non più semplice ma al contrario più difficoltosa la realizzazione delle
opere”, cui la Regione stessa ha interesse, per il probabile avvio di
contestazioni in sede comunitaria.
Da
tale ultimo profilo muove l’ulteriore censura che investe la lettera n),
seconda frase, dello stesso comma 2, nella parte in cui restringe, per tutti
gli “interessi patrimoniali”, la tutela cautelare al “pagamento di una
provvisionale”. Questa disposizione -
che preclude la sospensione del provvedimento impugnato e rende possibile la
prosecuzione della gara fino alla stipulazione del contratto, consolidando gli
effetti di eventuali atti illegittimi compiuti nella procedura di gara -
si porrebbe in contrasto con la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi),
riducendo “le possibilità di tutela piena per i concorrenti che lamentino
violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti” e ciò in quanto
anticiperebbe alla fase cautelare quella limitazione della tutela al
risarcimento del danno che l’art. 2, paragrafo 6, della citata direttiva
consente nella fase successiva alla “stipulazione di un contratto in seguito
all’aggiudicazione dell’appalto”.
Una
scelta, questa, che -
oltre a risultare incompatibile con l’art. 113 Cost. -
potrebbe determinare “un forte aggravio dei costi, data la necessità di
pagare due volte il profitto d’impresa (una volta a titolo di compenso, la
seconda a titolo di danno)” e tale, in ogni caso, da rendere presumibile una
reazione negativa da parte delle autorità comunitarie e delle imprese
interessate, così da “complicare ulteriormente la vicenda delle opere
interessate”.
4. ¾
E’ poi denunciato, da tutte le ricorrenti, il
comma 3, che abilita il
Governo a modificare o integrare il regolamento di attuazione della legge
quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994, adottato con d.P.R. 21 dicembre
1999, n. 554, ponendosi così in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost.,
secondo il quale lo Stato non avrebbe alcuna potestà regolamentare nella
predetta materia.
5. ¾
Tutte le parti ricorrenti impugnano inoltre il comma 4, che delega il Governo,
limitatamente agli anni 2002 e 2003, ad emanare, nel rispetto dei principî e
dei criteri direttivi di cui al precedente comma 2, uno o più decreti
legislativi recanti l’approvazione definitiva di specifici progetti di
infrastrutture strategiche individuate secondo quanto previsto al comma 1.
Le
censure mosse dalle ricorrenti, che si svolgono secondo argomentazioni già
sviluppate in riferimento alla questione concernente il comma 2, evidenziano
che le cosiddette
“infrastrutture strategiche” rientrano in parte in materie di potestà
legislativa concorrente, in parte in materie di potestà legislativa regionale
residuale, sicché non sarebbe ammissibile, in riferimento a queste ultime,
l’intervento di alcun “decreto legislativo” per la diretta approvazione
definitiva dell’opera, mancando appunto la potestà legislativa statale
specifica nella materia.
6.
¾
La sola Regione Marche censura il comma 5,
sostenendo che la prevista clausola di salvaguardia in favore delle
autonomie speciali confermerebbe “la violazione, a danno delle Regioni di
diritto comune, delle competenze costituzionalmente garantite dagli artt. 117,
118 e 119 Cost.”.
7.
¾
Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano infine i commi da 6 a
12 ed il comma 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001,
che dettano una disciplina in materia edilizia.
Nel
delineare sinteticamente il contenuto delle censurate disposizioni, le
ricorrenti evidenziano, segnatamente, che con il comma 6 si indicano alcuni
interventi edilizi per i quali l’interessato può scegliere la realizzazione
“in base a semplice denuncia di inizio di attività” in alternativa a
concessione o autorizzazione edilizia; ad esso si ricollega il comma 12, il
quale stabilisce che “le disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle
Regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di
entrata in vigore della presente legge”, e che le stesse Regioni “con
legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono
assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia”.
Le censure, di analogo tenore, prospettano la violazione dell’art. 117 Cost., sostenendosi, in linea principale, che l’edilizia rientra nelle materie a potestà legislativa residuale delle Regioni e dunque non potrebbe essere oggetto di disciplina statale.
In
ogni caso, secondo le ricorrenti, ove si intendesse ricondurre la materia
dell’edilizia a quella del governo del territorio e, quindi, a materia di
legislazione concorrente, sarebbe egualmente violato l’art. 117 Cost., in
quanto le disposizioni denunciate pongono una disciplina analitica e
dettagliata, non limitandosi dunque a dettare i principî fondamentali.
In particolare, poi, avverso il comma 12 la Regione Toscana deduce che la norma, rendendo applicabile alle Regioni quanto disposto dal comma 6, vanificherebbe le leggi regionali che hanno disciplinato procedure e titoli abilitativi per l’attività edilizia.
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna precisano
altresì che, seppure il denunciato comma 12 ritarda di novanta giorni
l’applicazione del comma 6 e consente alle leggi regionali di individuare
quali degli interventi indicati dal medesimo comma continuino ad essere
assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia, tuttavia, da
un lato, permarrebbe il carattere operativo e non di principio della
disciplina statale; dall’altro, al legislatore regionale sarebbe lasciata
soltanto la scelta “di fissare se per un certo intervento è necessario o
meno il previo provvedimento, mentre i commi 8, 9 e 10, che pure contengono
mere norme procedurali e di dettaglio, appaiono intangibili da parte del
legislatore regionale”.
Sempre
le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna svolgono ulteriori considerazioni
sull’incostituzionalità del comma 14, il quale delega il Governo a
modificare il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia, di cui all’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per
adeguarlo alle modifiche disposte dalla legge n. 443.
Ad
avviso delle ricorrenti, sarebbe il concetto stesso di testo unico a violare
il riparto costituzionale delle competenze e ciò non soltanto per le materie
“residuali regionali”, nelle quali non è prevista, in linea di principio,
alcuna interferenza della normativa statale, ma anche per le materie di
competenza concorrente; per queste ultime la diretta disciplina operativa
dovrebbe essere essenzialmente regionale, con il vincolo di conformazione ai
principî della legislazione statale. Non sarebbe, pertanto, possibile emanare
un “testo unico” delle disposizioni relative ad una materia concorrente,
giacché un simile testo conterrebbe norme statali per le quali sarebbe
naturale la impossibilità di applicazione in ambito regionale “se non
attraverso il vincolo che i principî esercitano sulla legislazione regionale,
per definizione esclusa dal testo unico”.
Risulterebbe,
poi, paradossale -
sostengono ancora le ricorrenti -
la concezione di un testo unico (come nel caso dell’edilizia) delle
disposizioni statali legislative e regolamentari, atteso che già nel
precedente assetto costituzionale non poteva aversi, nelle materie di
competenza legislativa regionale, una normativa statale regolamentare.
8.
¾
Con memorie di identico
contenuto, si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il
quale ha concluso per la reiezione dei ricorsi.
Quanto
alla dedotta incostituzionalità dell’art. 1, comma 1, della legge n. 443
del 2001, per cui si lamenta l’omessa previsione legislativa di una intesa
tra Stato e Regioni interessate, la difesa del Presidente del Consiglio
osserva, anzitutto, che la materia dei lavori pubblici non rientra nella
potestà legislativa residuale regionale e ciò in quanto, nel testo riformato
dell’art. 117 Cost., nel quale non compare il riferimento alla materia dei
lavori pubblici di interesse regionale, si sarebbe adottato il “criterio
della strumentalità” di detta materia (già presente nel decreto
legislativo n. 112 del 1998). In tal senso, allo Stato sarebbe attribuita la
“potestà legislativa di principio” in tema di appalti che sono riferibili
a quelle materie rientranti nella potestà legislativa concorrente (porti e
aeroporti; grandi reti di trasporto e di navigazione; distribuzione nazionale
dell’energia; protezione civile).
Peraltro,
argomenta ancora l’Avvocatura dello Stato, dovrebbe escludersi, in ogni
caso, la necessità dello strumento dell’intesa in ordine all’attività
diretta all’individuazione di un’opera pubblica, giacché essa non
richiede esercizio di potestà legislativa, trattandosi di “esplicazione
della funzione amministrativa, come tale disciplinata dall’art. 118 Cost.”.
Sicché, venendo in rilievo, nella fattispecie, l’individuazione e la
realizzazione di opere di “preminente interesse nazionale”, sarebbe “in
re ipsa che, per assicurarne l’esercizio unitario, siffatte funzioni non
possano che spettare allo Stato”.
Nondimeno,
il fatto che la disposizione censurata preveda, quanto all’attività di
individuazione dell’opera, la compartecipazione delle Regioni, sia in
proprio, sia come componenti della Conferenza unificata, indurrebbe ad
escludere che vi sia un vulnus alle
competenze costituzionalmente garantite alle Regioni stesse.
Altrettanto
infondate sarebbero, ad avviso della difesa erariale, le censure mosse al
comma 2 dell’art. 1, posto che l’avere la disposizione dettato principî e
criteri direttivi per la futura attività normativa di delegazione, sì da
consentire -
secondo la prospettata doglianza -
l’emanazione di una disciplina di dettaglio e, quindi, invasiva delle
competenze regionali, non concreterebbe una lesione delle prerogative
costituzionali delle Regioni,
bensì “una mera eventualità” di lesione. Di dette prerogative la legge
n. 443 del 2001 avrebbe, comunque, tenuto conto, prevedendo (al comma 3) il
parere della Conferenza unificata.
In
riferimento, poi, alla censura che investe il comma 3 dell’art. 1 -
a supporto della quale si adduce la carenza di potestà regolamentare in capo
allo Stato -
l’Avvocatura ribadisce la natura concorrente della competenza legislativa
nel settore dei lavori pubblici, potendo così lo Stato, “per il principio
di continuità”, dettare una disciplina di dettaglio, “seppur con
carattere di cedevolezza”.
Quanto,
inoltre, alle doglianze mosse avverso i commi 6 e seguenti dello stesso art. 1
-
le quali fanno leva sull’asserita violazione dell’art. 117 Cost., per
essere la materia dell’edilizia ricompresa nella sfera di competenza
legislativa esclusiva regionale e, in ogni caso, ove ricondotta tale materia
al governo del territorio, per aver le disposizioni denunciate previsto una
disciplina di dettaglio -
la difesa erariale ricorda che le norme censurate riguardano le condizioni per
il rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie e i casi in cui a
siffatti provvedimenti può sostituirsi, facoltativamente, la denuncia di
inizio attività; riguardano cioè l’attività di “uso e governo del
territorio”, in quanto tale rientrante nella competenza concorrente di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost.
Ad
avviso dell’Avvocatura, dovrebbe comunque escludersi che in tal caso sia
stata adottata una normativa di dettaglio: la previsione, “a livello di
principio”, della “surrogabilità della concessione edilizia con la
denuncia di inizio attività, in presenza di particolari condizioni
obiettive”, supererebbe, infatti, il principio, contenuto in altra legge
statale, per il quale era possibile il ricorso alla denuncia di inizio attività
soltanto in relazione ad interventi edilizi minori.
9.
¾
Le ricorrenti hanno ribadito le rispettive ragioni con memoria illustrativa
depositata in prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 19 novembre
2002 e poi rinviata al 25 marzo 2003.
9.1.
¾
Nelle memorie si puntualizza, tra l’altro, che la disciplina posta dalla
legge impugnata è stata innovata dall’art. 13 della legge 1° agosto 2002,
n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che, in
particolare, ha sostituito il comma 1 dell’art. 1 (concernente le modalità
di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi
strategici) ed il successivo comma 2, lettera c)
(sulle procedure di approvazione dei relativi progetti).
Tuttavia,
ad avviso delle ricorrenti, le predette norme, così come innovate, conservano
i vizi di incostituzionalità già dedotti nei vari ricorsi proposti avverso
la legge n. 443 del 2001.
In
particolare, secondo le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia
autonoma di Trento, le ricordate modifiche non inciderebbero sull’interesse
al ricorso, non essendo venuto meno l’impianto fondamentale della legge n.
443 del 2001, basato sulla attrazione alla competenza statale non solo della
programmazione, ma anche dell’approvazione dei progetti e, in buona parte,
della realizzazione delle opere -
sia pubbliche che private -
tramite la semplice soggettiva qualificazione delle stesse come
“strategiche” e di “preminente interesse nazionale”. Sicché, la
“norma” censurata sarebbe ancora presente nella disposizione impugnata e
quindi la questione di costituzionalità sollevata non avrebbe affatto
“perso d’attualità, riguardando l’art. 1, comma 1, della legge n. 443
del 2001, come modificato dalla legge n. 166 del 2002”.
In
ogni caso, sostengono ancora le ricorrenti, l’originaria disposizione è già
stata attuata con la deliberazione 21 dicembre 2001 del Comitato
interministeriale per la programmazione economica (CIPE) [Legge obiettivo: I°
Programma delle infrastrutture strategiche
(Delibera n. 121/2001)],
“sicché l’interesse al ricorso permane anche in relazione alla
formulazione originaria della disposizione”.
9.2.
¾
La Regione Toscana, diversamente dalle altre parti ricorrenti, ha inoltre
dichiarato di non voler più insistere nella denuncia dei commi da 6 a 12 e
del comma 14, poiché tale normativa è stata oggetto di successiva modifica
da parte dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, nel senso del
riconoscimento della validità delle leggi regionali emanate in materia
edilizia e della possibilità per le Regioni di ampliare o ridurre l’ambito
applicativo dei titoli abilitativi previsti dal legislatore nazionale.
10.
¾
Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nel
giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Trento con la quale insiste per
il rigetto del ricorso, evidenziando in particolare che le modifiche apportate
dalla legge n. 166 del 2002 alla legge impugnata sarebbero tali da determinare
la carenza di interesse a ricorrere in relazione a tutte le censure imperniate
sul difetto di una previa intesa Stato-Regioni.
11.
¾
In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 hanno depositato
ulteriori memorie illustrative le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna
nonché la Provincia autonoma di Trento.
11.1.
¾
Nel ribadire le argomentazioni svolte nei precedenti scritti la Regione
Toscana ritiene altresì che le disposizioni denunciate non potrebbero trovare
giustificazione neppure in base all’art. 120 Cost. Mancherebbe infatti la
legge che disciplina le procedure atte a garantire l’esercizio del potere
sostitutivo nel rispetto del principio di sussidiarietà e, in ogni caso, tale
esercizio non potrebbe mai essere consentito in base a previsioni astratte di
interventi a fronte di motivati dissensi espressi dalle Regioni nelle materie
di propria competenza. Giammai potrebbe poi ritenersi che il dissenso della
Regione sul progetto preliminare e definitivo di un’opera pubblica
rappresenti fattispecie legittimante l’attivazione del potere sostitutivo, e
ciò in quanto la Regione non sarebbe inadempiente ma esprimerebbe il proprio
dissenso motivato ed offrirebbe soluzioni alternative così da rendere
necessaria, alla luce del principio di leale collaborazione, una soluzione
condivisa che tenga conto delle molteplici competenze regionali incise dalla
localizzazione di un’opera.
Nella
memoria si contesta poi che le norme censurate possano giustificarsi in base
all’art. 118, primo comma, Cost., giacché l’individuazione e la
realizzazione di un’opera pubblica richiedono comunque l’esercizio di
potestà legislativa e questa deve essere esercitata nel rispetto del riparto
delle competenze stabilite nella Costituzione. Sicché, nelle materie di
competenza regionale (concorrente e residuale) spetterebbe alle Regioni
medesime disciplinare, nell’esercizio della propria potestà amministrativa,
il procedimento in questione, attribuendo agli enti locali le relative
funzioni nel rispetto dei criteri di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione di cui all’art. 118 Cost.
Da
ultimo si insiste nella rinuncia all’impugnazione, per sopravvenuto difetto
di interesse, dei commi da 6 a 12 e 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del
2001, atteso che le modiche apportate dalla successiva legge n. 166 del 2002
permettono alla Regione di esercitare le proprie competenze legislative in
materia edilizia.
11.2.
¾
Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Provincia autonoma di Trento, con memorie
di identico contenuto, ribadiscono le ragioni già sviluppate in precedenza,
contestando le argomentazioni sostenute dalla difesa erariale.
In
particolare, si insiste nel fatto che non sarebbe possibile fare ricorso, al
fine di radicare nello Stato la competenza legislativa a provvedere alla
disciplina delle cosiddette grandi opere, al criterio della strumentalità
delle materie coinvolte, né tanto meno ai principî di sussidiarietà ed
adeguatezza, che attengono all’allocazione delle funzioni amministrative.
Si
esclude inoltre che, al medesimo scopo, possa invocarsi l’interesse
nazionale, giacché, come tale, esso rappresenterebbe un criterio generico
che, nel contesto della riforma del Titolo V, non potrebbe più operare al
fine del riparto delle materie, al quale provvede accuratamente l’art. 117
Cost. in base ad una specifica elencazione: l’interesse nazionale non
costituirebbe dunque titolo autonomo di competenza statale, né
giustificherebbe una disciplina che rimetta alla discrezionalità del Governo
la sua definizione.
Da
ultimo si riafferma la sussistenza di un interesse ad una pronuncia nel merito
sulla censura che lamenta l’assenza dell’intesa Stato-Regioni e ciò
nonostante la modifica introdotta in tal senso dalla legge n. 166 del 2002 al
denunciato comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, giacché la
disposizione originaria aveva già trovato attuazione con la predisposizione
del primo programma di infrastrutture strategiche.
12.
¾
Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 68 del 2002, ritualmente notificato e
depositato, la Regione Toscana ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1°
agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti),
denunciandone il contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost.
La
Regione osserva preliminarmente che la disposizione impugnata ha modificato
l’art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, concernente le modalità di
individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi
strategici, e che proprio quest’ultima disposizione
è stata da essa in precedenza denunciata con ricorso iscritto al n. 11
del reg. ric. dell’anno 2002. Ad avviso della Regione le modifiche apportate
dall’art. 13 al menzionato art. 1 non sarebbero tali da elidere i dubbi di
incostituzionalità già prospettati, tanto più che lo stesso art. 13
risulterebbe illegittimo e lesivo dell’autonomia regionale
costituzionalmente garantita.
12.1.
¾
Secondo la ricorrente le disposizioni censurate avrebbero potuto trovare
fondamento nella materia “lavori pubblici di interesse nazionale”, ma la
stessa non è prevista tra quelle elencate dal nuovo art. 117 Cost., che ha
eliminato ogni riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse,
affidando al contrario alla competenza legislativa concorrente materie (quali:
porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia) in cui la
predetta dimensione è implicita nel loro stesso contenuto.
Dovrebbe
inoltre escludersi, ad avviso della Regione, che le stesse disposizioni
possano fondarsi sul terzo comma dell’art. 117 Cost., giacché le c.d.
grandi opere non sono necessariamente collegate a materie ivi elencate, come
nel caso, ad esempio, della realizzazione degli insediamenti produttivi che si
riconnette alla materia dell’industria, di competenza residuale regionale ai
sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost. Analogamente è da dirsi per la
disciplina dei lavori pubblici e privati, trattandosi di materia riservata
alla legislazione regionale, con l’unico limite del rispetto della
Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
In
ogni caso, ove si volesse ammettere una competenza statale relativamente ad
opere strategiche collegate a materie elencate nel terzo comma dell’art. 117
Cost., la stessa non potrebbe che esercitarsi attraverso l’individuazione
dei principî regolatori, mentre la normativa denunciata non si limita a
dettare principî alle Regioni in tema di individuazione e realizzazione delle
c.d. grandi opere, ma al contrario definisce i criteri ai quali il Governo
dovrà attenersi nell’esercizio della delega con una disciplina compiuta,
dettagliata e minuziosa, tale da elidere ogni possibilità di intervento
normativo da parte delle Regioni medesime.
Argomenta
ancora la ricorrente che una tale illegittima appropriazione da parte dello
Stato di potestà legislative regionali non potrebbe giustificarsi in nome
dell’interesse nazionale, che il nuovo Titolo V non contempla più come
limite alla potestà legislativa delle Regioni, così come non prevede un
generale potere di indirizzo e coordinamento. Non sarebbe dunque ammissibile
reintrodurre limiti alla potestà legislativa regionale non espressamente
previsti in Costituzione riferendosi alla rilevanza nazionale di un’opera.
12.2.
¾
Ad avviso della Regione le disposizioni impugnate violerebbero anche l’art.
118 Cost. A tale riguardo si osserva che, per un verso, l’effettivo rispetto
dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza imporrebbe che
ogni scelta legislativa di allocazione delle funzioni debba essere supportata
dall’analisi e dalla verifica dei livelli di governo maggiormente
rispondenti a detti criteri e che, dunque, debbano essere resi conoscibili i
motivi della scelta e quindi dell’esercizio in concreto di tale potere
discrezionale: il che non avviene nel caso in esame. Per altro verso, le
esigenze di esercizio unitario richiamate dall’art. 118 Cost. non potrebbero
costituire un titolo autonomo legittimante l’intervento del legislatore
statale, come invece accade in base alle denunciate disposizioni. Ciò perché
l’art. 118, primo comma, Cost. è norma che fissa i criteri per
l’allocazione delle funzioni, ma non disciplina le fonti deputate ad
allocare le stesse e quindi non rappresenta il presupposto su cui fondare
variazioni e spostamenti rispetto alla titolarità della potestà legislativa,
come stabilita dall’art. 117.
12.3.
¾
Il fatto poi che il comma 3 del censurato art. 13 abbia introdotto il
principio per cui l’individuazione delle grandi opere avviene d’intesa con
le Regioni interessate e con la Conferenza unificata, anziché sulla base del
loro parere (come originariamente previsto), non costituirebbe, secondo la
ricorrente, una modifica tale da far superare gli evidenziati dubbi di
incostituzionalità, in quanto, da un lato, l’intesa non può rappresentare
un meccanismo tramite il quale lo Stato si appropria di potestà legislative
ad esso non riservate e, dall’altro, non è contemplato alcun meccanismo a
garanzia che l’intesa non sia di fatto recessiva rispetto al potere dello
Stato di provvedere ugualmente a fronte del motivato dissenso regionale. In
definitiva l’intesa non garantirebbe una reale forma di coordinamento
paritario, con ciò ledendo il principio di leale cooperazione che imporrebbe,
nella materia in esame, una effettiva codeterminazione del contenuto
dell’atto di individuazione delle grandi opere.
12.4.
¾
La Regione sostiene altresì che neppure i commi 5 e 6 del denunciato art. 13,
che dettano i criteri ai quali deve attenersi il Governo nell’emanare il
decreto legislativo volto a disciplinare le modalità di approvazione dei
progetti preliminari e definitivi delle opere strategiche, garantirebbero il
rispetto delle attribuzioni regionali. Ciò in quanto il ruolo della Regione
nell’approvazione dei progetti (demandata al CIPE o a decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del CIPE integrato dai
Presidenti delle Regioni, sentita la Conferenza unificata, previo parere delle
competenti commissioni parlamentari) sarebbe soltanto quello di esprimere un
parere, mentre l’approvazione di detti progetti assume particolare rilievo
poiché determina la localizzazione urbanistica dell’opera, la compatibilità
ambientale della medesima e sostituisce ogni permesso ed autorizzazione
comunque denominati.
Ad
avviso della ricorrente le disposizioni denunciate inciderebbero quindi sulla
materia, di legislazione concorrente, del governo del territorio, dettando un
regime derogatorio per l’individuazione delle opere e per l’approvazione
dei progetti delle stesse che non lascerebbe spazio alla legislazione
regionale; interferirebbero sulla normativa regionale già vigente che
disciplina i procedimenti per l’approvazione delle opere pubbliche,
prevedendo le necessarie verifiche di natura urbanistica, idrogeologica e di
difesa del suolo (laddove essa Regione ha attribuito tali funzioni
amministrative ai Comuni e alle Province); esautorerebbero la Regione delle
proprie attribuzioni in merito alla valutazione di impatto ambientale delle
opere. A tal specifico riguardo la Regione Toscana rileva che il comma 3
dell’art. 13 prevede che anche le strutture concernenti la nautica da
diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrutture
strategiche, ciò comportando che la valutazione di impatto ambientale sulle
stesse debba effettuarsi con la procedura prevista dal successivo comma 5 e
dunque dal Ministro competente, restando così sottratto alle Regioni, con
lesione delle relative attribuzioni in materia di porti e valorizzazione dei
beni ambientali.
12.5.
¾
La ricorrente osserva poi che le prospettate censure non potrebbero essere
superate dal fatto che il comma 3 del denunciato art. 13 della legge n. 166
del 2002 prevede che il Governo, nell’emanare il decreto delegato, dovrebbe
agire “nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni”,
giacché, oltre ad essere espressione vaga e generica, si tratta di
indicazione che non potrebbe comunque essere rispettata, considerato che sono
già i principî posti dalla delega a vulnerare le attribuzioni delle Regioni.
12.6.
¾
La Regione assume infine che i commi 1 e 11 dell’art. 13, nel prevedere
specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere
strategiche individuate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118
Cost., in quanto “fanno riferimento al programma predisposto dal CIPE che
[…] è elaborato in spregio alle competenze regionali”, sia con l’art.
119 Cost., incidendo sull’autonomia finanziaria delle Regioni che la norma
costituzionale garantisce in relazione al reperimento delle risorse per la
realizzazione delle infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza
regionale.
13.
¾
Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
Quanto
alla dedotta violazione dell’art. 117 Cost., la difesa erariale osserva che
l’omessa previsione della materia dei lavori pubblici regionali nella legge
costituzionale n. 3 del 2001 si giustificherebbe in ragione del perseguimento
del criterio, già presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998, della
strumentalità della materia dei lavori pubblici, per cui allo Stato spetta la
potestà legislativa di principio per la disciplina degli appalti relativi
alle materie ricomprese nella potestà legislativa concorrente.
Con
riferimento poi al profilo di censura che sostiene esservi lesione delle
attribuzioni regionali in considerazione della minuziosità della normativa
introdotta, l’Avvocatura rileva che l’attività di individuazione di
un’opera pubblica non richiederebbe l’esercizio di potestà legislative,
ma solo di quelle amministrative, ai sensi dell’art. 118 Cost.
Quanto
poi alla denunciata violazione proprio dell’art. 118, primo comma, Cost. si
osserva che, allorquando è necessario assicurare l’esercizio unitario di
funzioni amministrative, come è in riferimento all’individuazione e
realizzazione di opere di “preminente interesse nazionale”, la fonte
normativa di distribuzione delle funzioni medesime non potrebbe che essere una
legge statale. Legge che, nel caso di specie, correttamente espliciterebbe i
presupposti per l’allocazione delle funzioni al massimo livello, che sono
espressamente indicati in “finalità di riequilibrio socio-economico fra le
aree del territorio nazionale”, in “fini di garanzia della sicurezza
strategica e di contenimento dei costi dell’approvvigionamento energetico
del Paese” e nell’“adeguamento della strategia nazionale a quella
comunitaria delle infrastrutture e della gestione dei servizi pubblici locali
di difesa dell’ambiente”.
La
difesa erariale sostiene inoltre che proprio le doglianze mosse avverso la
mancata previsione sia di una previa intesa per l’individuazione delle opere
strategiche, sia dell’integrazione del CIPE con la presenza dei Presidenti
delle Regioni per l’approvazione dei relativi progetti, hanno indotto il
legislatore a modificare in questo senso la legge n. 443 del 2001, tramite
l’art. 13 della legge n. 166 del 2002, e ciò per assicurare “il rispetto
delle attribuzioni costituzionali” delle Regioni.
Quanto
infine alle censure riguardanti i commi 1 e 11 del menzionato art. 13,
l’Avvocatura ritiene che gli artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle
argomentazioni già spese, non siano violati nella procedura di individuazione
e approvazione dei progetti da parte del CIPE e che parimenti non possa
reputarsi leso l’art. 119 Cost. giacché, trattandosi di progettazione e
realizzazione di opere di preminente interesse nazionale, è allo Stato che
compete autorizzare i limiti di impegno e la destinazione della spesa
derivanti dagli stanziamenti del proprio bilancio.
14.
¾
In prossimità dell’udienza la Regione Toscana ha depositato una memoria con
cui, ribadendo le argomentazioni già svolte, insiste nelle conclusioni già
rassegnate.
15.
¾
Nello stesso giudizio hanno depositato, fuori termine, congiunto atto di
intervento ad adiuvandum
l’Associazione Italia Nostra-Onlus, Legambiente-Onlus, l’Associazione
italiana per il World Wide Fund For
Nature (WWF)-Onlus, per sentire dichiarare l’incostituzionalità
dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge n. 166 del 2002,
denunciato dalla Regione Toscana.
16.
¾
La Regione Toscana, le Province autonome di Bolzano e di Trento, la Regione
Marche hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via
principale di numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n.
190, recante “Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici
e di interesse nazionale”, denunciandone il contrasto con gli artt. 76, 117,
118 e 120 Cost., nonché con gli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14,
16, 17, 18, 19, 21, 22, 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31
agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Più nello
specifico, la Toscana impugna gli artt. 1-11, 13, 15, 16, commi 1, 2, 3, 6, 7;
17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1,
2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli
artt. 1-11, 13, 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4,
13 e 15.
17.
¾
Il ricorso della Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale il 5 novembre 2002, cioè il giorno
successivo alla scadenza del termine di dieci giorni previsto dall’art. 32,
terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Con apposita istanza la
Provincia rende noto che il mancato rispetto del termine non può essere
imputato a negligenza, ma alla impossibilità, conseguente alla mancata
disponibilità dell’atto presso l’Ufficio notifiche, per ragioni che
atterrebbero al funzionamento di tale ufficio e che sono state espressamente
riconosciute dal medesimo con certificato allegato al ricorso depositato. Pur
non negando il carattere perentorio del termine di cui è discorso, la
Provincia istante ritiene che ciò non dovrebbe impedire l’applicazione di
ulteriori principî giuridici come quello dell’errore scusabile,
espressamente riconosciuto nel giudizio amministrativo. Si chiede pertanto di
considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla
Provincia autonoma di Trento il 5 novembre 2002. In subordine, peraltro, ove
la Corte ritenesse che la mancata menzione dell’errore scusabile negli artt.
31, terzo comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 sia dalla Corte
ritenuta preclusiva dell’applicazione di tale istituto, l’istante
eccepisce l’illegittimità costituzionale in parte
qua di tali disposizioni, per violazione dell’art. 24, primo comma,
Cost. e del principio di ragionevolezza.
18.
¾
In tutti i ricorsi si osserva preliminarmente come la disciplina statale non
potrebbe trovare fondamento negli specifici titoli abilitativi delle lettere e),
m) e s),
dell’art. 117 Cost., in quanto la disciplina oggetto di impugnazione non
avrebbe nulla a che vedere con la tutela della concorrenza [lettera e)],
dell’ambiente e dell’ecosistema [lettera s)]
né tanto meno con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale [lettera m)].
Le
ricorrenti pongono inoltre in risalto come le Regioni sarebbero divenute
titolari della competenza legislativa concorrente in molte delle materie che
attengono alla realizzazione di opere pubbliche, quali “porti e aeroporti
civili”, “grandi reti di trasporto e navigazione”, “trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia”, “governo del territorio”. Solo
in relazione alle opere pubbliche relative ai predetti settori materiali lo
Stato sarebbe dunque titolare di potestà legislativa, che dovrebbe peraltro
essere esercitata attraverso la predisposizione di una normativa di principio,
non anche attraverso discipline di dettaglio che, come nella specie,
comprimano gli spazi di scelta politica delle Regioni. La materia degli
insediamenti produttivi e delle infrastrutture strategiche, per di più,
sarebbe interamente affidata alla potestà legislativa residuale delle
Regioni, così da escludere ogni intervento normativo statale.
L’esigenza
di tutelare un interesse nazionale non potrebbe giustificare la deroga al
riparto delle competenze costituzionali che il decreto impugnato avrebbe
introdotto, in quanto l’interesse nazionale non potrebbe più costituire il
titolo per sottrarre oggetti alle materie di competenza regionale. Egualmente,
si aggiunge nel ricorso della Regione Toscana, non varrebbe invocare l’art.
118, primo comma, e le esigenze di esercizio unitario ivi richiamate, che non
potrebbero costituire un titolo autonomo legittimante l’intervento del
legislatore statale in materie di competenza delle Regioni, giacché l’art.
118 non conterrebbe un riparto di materie ulteriore e potenzialmente
antagonista rispetto a quello contenuto nell’art. 117 Cost.
Le
disposizioni impugnate sarebbero illegittime pure per contrasto con l’art.
76 Cost., giacché la legge di delegazione espressamente prevedeva che la
delega dovesse essere esercitata «nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle Regioni».
18.1.
¾
Nello specifico, sono oggetto di impugnazione:
a)
- l’art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l’approvazione e
realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi
di preminente interesse nazionale, individuati da un apposito programma
approvato dal CIPE (art. 1 legge n. 443 del 2001). Le opere sono differenziate
in categorie. Quelle per le quali l’interesse regionale è concorrente con
il preminente interesse nazionale sono individuate con intese quadro fra
Governo e singole Regioni e per esse è previsto che le Regioni medesime
partecipino, con le modalità stabilite nelle intese, alle attività di
progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio, «in accordo alle
normative vigenti ed alle eventuali leggi regionali allo scopo emanate».
La
Provincia autonoma di Bolzano ritiene che tale disposizione sarebbe rivolta a
salvaguardare unicamente le competenze ad essa riconosciute dallo statuto
speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e
maggiori competenze che le spetterebbero ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost.
Risulterebbe inoltre violato l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del
1992, il quale impone il sollecito adeguamento (sei mesi) della legislazione
provinciale ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’immediata
applicabilità nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello
Stato nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma è
attribuita delega di funzioni statali»;
b)
- l’art. 1, comma 5, il quale dispone che le Regioni, le Province, i Comuni,
le Città metropolitane applicano, per le proprie attività contrattuali ed
organizzative relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse
dall’approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle
infrastrutture (comma 3), «le norme del presente decreto legislativo fino
alla entrata in vigore di una diversa norma regionale, (…) per tutte le
materie di legislazione concorrente». Le Regioni Toscana e Marche e la
Provincia autonoma di Trento ne denunciano il contrasto con l’art. 117 Cost.,
poiché in materie di competenza regionale concorrente sarebbe posta una
normativa cedevole di dettaglio, il che, dopo la riforma del Titolo V della
Parte II della Costituzione, non sarebbe più consentito;
c)
- l’art. 1, comma 7, lettera e),
che, nel definire opere per le quali l’interesse regionale concorre con il
preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…) non aventi carattere
interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle intese
generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle
Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere
interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più
Regioni o Stato, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o
internazionale», sarebbe incostituzionale in primo luogo per eccesso di
delega, giacché la legge n. 443 del 2001 non avrebbe autorizzato il Governo a
porre un regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale (ricorso
della Regione Toscana). Inoltre, si argomenta in tutti i ricorsi, la
disposizione in oggetto, nell’escludere la concorrenza dell’interesse
regionale con il preminente interesse nazionale in relazione ad opere aventi
carattere interregionale o internazionale, sarebbe lesiva delle competenze
attribuite alle Regioni dagli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118,
primo comma, Cost. Del pari illegittima sarebbe la subordinazione all’intesa
statale dell’individuazione delle opere per le quali esista un concorrente
interesse regionale. La medesima disposizione contrasterebbe inoltre con gli
artt. 19, 20 e 21 delle norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto
Adige recate dal d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica
ed opere pubbliche), giacché escluderebbe la necessità di un’intesa per le
infrastrutture e i collegamenti interregionali e internazionali;
d)
- l’art. 2, comma 1, il quale stabilisce che il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti «promuove le attività tecniche ed
amministrative occorrenti ai fini della sollecita progettazione ed
approvazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ed effettua,
con la collaborazione delle Regioni e delle Province autonome interessate con
oneri a proprio carico, le attività di supporto necessarie per la vigilanza,
da parte del CIPE, sulla realizzazione delle infrastrutture». Secondo la
prospettazione delle Province autonome di Trento e di Bolzano sarebbero
riservati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i compiti tecnici
e amministrativi che l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige attribuisce alle Province autonome, con violazione anche dell’art. 4,
comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale prevede che «nelle
materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome la legge
non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative (…) diverse
da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le norme di
attuazione»;
e)
- l’art. 2, commi 2, 3, 4, 5 e 7, il quale, nel riservare al Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti l’attività di progettazione, direzione ed
esecuzione delle infrastrutture ed il potere di assegnare le risorse
integrative necessarie alle attività progettuali, anziché assegnare i fondi
direttamente alle Province autonome di Trento e Bolzano, violerebbe l’art.
16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e l’art. 4, comma 3,
del decreto legislativo n. 266 del 1992, secondo cui «fermo restando quanto
disposto dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, nelle
materie di competenza propria della Provincia, le amministrazioni statali,
comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo Stato non possono
disporre spese né concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o
contributi per attività nell’ambito del territorio regionale o provinciale»;
f)
– l’art. 2, comma 5, il quale, nel prevedere che per la nomina di
commissari straordinari destinati a seguire l’andamento delle opere aventi
carattere interregionale o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti
delle Regioni interessate, si porrebbe in contrasto, ad avviso di tutte le
ricorrenti, con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il principio di leale
collaborazione, in quanto su tale oggetto dovrebbe essere prevista la forma più
intensa di collaborazione dell’intesa. I commi 5 e 7 sarebbero inoltre
incostituzionali anche perché attribuirebbero allo Stato compiti decisionali
che in base all’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992 sarebbero di
competenza della Provincia autonoma di Bolzano;
g)
- l’art. 2, comma 7, che attribuisce al Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
sentiti i Ministri competenti, nonché, per le infrastrutture di competenza
dei soggetti aggiudicatari regionali, i Presidenti
delle Regioni,
il potere di abilitare i commissari straordinari ad adottare, con
poteri derogatori della normativa vigente e con le modalità di cui all’art.
13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire
l’occupazione), i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari
alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei soggetti
competenti. Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento
lamentano la lesione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto la previsione
impugnata si applica anche alle opere regionali e potrebbe pertanto riguardare
provvedimenti che spetterebbe alla Regione e alle Province adottare
nell’esercizio delle proprie competenze normative e amministrative. Secondo
la Regione Toscana difetterebbero inoltre i presupposti ai quali l’art. 120
Cost. subordina il legittimo esercizio dei poteri sostitutivi statali. Infine,
si sostiene nel ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, risulterebbe
violato anche l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, giacché
allo Stato sarebbero stati attribuiti compiti decisionali spettanti alla
Provincia;
h)
- l’art. 3, il quale disciplina la procedura di approvazione del progetto
preliminare delle infrastrutture, le procedure di valutazione d’impatto
ambientale (VIA) e localizzazione, secondo tutte le ricorrenti sarebbe
illegittimo nella sua interezza, in quanto disciplinerebbe la procedura di
approvazione del progetto preliminare con regolazione di minuto dettaglio,
mentre, in relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale in
materia di governo del territorio, la legislazione statale avrebbe dovuto
limitarsi alla predisposizione dei principî fondamentali. Il medesimo art. 3,
nella parte in cui affida al CIPE l’approvazione del progetto preliminare
delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell’intesa
sulla localizzazione dell’opera, ma prevedendo pure che il medesimo progetto
non sia sottoposto a conferenza di servizi, ad avviso della Regione Toscana
violerebbe l’art. 76 Cost., poiché l’art. 1, comma 2, lettera d),
della legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava solo a modificare la
disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla del tutto.
Del
pari incostituzionali sarebbero, secondo tutte le ricorrenti, i commi 6 e 9
dell’art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato possa procedere comunque
all’approvazione del progetto preliminare relativo alle infrastrutture di
carattere interregionale e internazionale superando il motivato dissenso delle
Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo,
quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei
ricorsi, sarebbero infatti relegate in posizione di destinatarie passive di
provvedimenti assunti a livello statale in materie che sono riconducibili alla
potestà legislativa concorrente. Per le ragioni appena esposte sarebbero
incostituzionali anche gli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura
dell’art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio;
i)
- l’art. 4, comma 5, nella parte in cui prevede che l’approvazione del
progetto definitivo sia adottata «con il voto favorevole della maggioranza
dei componenti del CIPE», sarebbe, ad avviso della Regione Toscana,
costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 76 Cost., e
specificamente con l’art. 1, comma 3-bis,
della legge di delega, il quale prevede quale momento indefettibile del
procedimento di approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio
della Conferenza unificata;
j)
- le norme contenute negli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che introducono
rilevanti modifiche in materia di appalti e di concessioni dei lavori
pubblici, secondo le Regioni Toscana e Marche sarebbero illegittime in quanto
incidenti su materie ascrivibili alla competenza legislativa residuale delle
Regioni, inerendo alla materia dei lavori pubblici e degli appalti. Non
varrebbe neppure, si soggiunge nel ricorso della Regione Toscana, rilevare che
in tale materia siano recepite ed applicate norme di fonte comunitaria, giacché
l’attuazione di norme comunitarie in materia di competenza regionale
spetterebbe comunque alle Regioni;
k)
- l’art. 8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti pubblichi la lista delle infrastrutture per le quali il
soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte da
parte di promotori e, se la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto
aggiudicatore, valutata la stessa come di pubblico interesse, promuova la
procedura di VIA e se necessario la procedura di localizzazione urbanistica,
secondo la Regione Toscana sarebbe illegittimo, oltre che per i profili
evidenziati alla lettera j), anche per l’ulteriore ragione che non
chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella lista per sollecitare le
proposte dei promotori siano da individuare tra quelle già ricomprese nel
programma di opere strategiche formato d’intesa con le Regioni, ai sensi
dell’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001, o se al
contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei promotori anche
per opere non facenti parte del programma, e sulle quali nessuna intesa è
stata raggiunta con le Regioni interessate;
l)
- l’art. 13, che disciplina le procedure per la localizzazione,
l’approvazione dei progetti, la VIA degli insediamenti produttivi e delle
infrastrutture private strategiche per l’approvvigionamento energetico,
richiamando gli artt. 3 e 4, sarebbe incostituzionale, secondo la Regione
Marche, per le medesime ragioni già esposte con riguardo alle disposizioni
citate; inoltre esso, secondo la Provincia autonoma di Trento, violerebbe
l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, in quanto, per effetto
della semplice individuazione, con atto statale di carattere amministrativo,
del preminente interesse nazionale di alcuni insediamenti privati,
spoglierebbe la Provincia ricorrente dei poteri amministrativi ad essa
spettanti. Il medesimo art. 13, nel comma 5, sarebbe inoltre lesivo delle
competenze costituzionali della Provincia autonoma di Bolzano per il fatto di
prevedere che l’approvazione del CIPE sostituisce le autorizzazioni,
concessioni edilizie e approvazioni in materia di urbanistica e opere
pubbliche che rientrano nelle competenza della Provincia medesima;
m)
- l’art. 15, il quale attribuisce al Governo la potestà regolamentare di
integrazione di tutti i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del
1994, e, nel comma 2, autorizza i regolamenti emanati in esercizio della
potestà di cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in
vigore, le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia,
si porrebbe in contrasto, ad avviso della Regione Toscana, con l’art. 1,
comma 3, della legge di delega n. 443 del 2001, che delegava il Governo ad
integrare e modificare solo il regolamento n. 554 del 1999. Tutte le
ricorrenti lamentano inoltre che l’attribuzione al Governo di potestà
regolamentare in materia di appalti e di opere pubbliche, materia che non
sarebbe qualificabile come di potestà esclusiva statale, contravverrebbe al
rigido riparto di competenza posto nell’art. 117, sesto comma, Cost. La
potestà di dettare norme regolamentari in materie diverse da quelle di
legislazione esclusiva non potrebbe essere riconosciuta neppure alla
condizione che i regolamenti statali siano cedevoli rispetto a quelli
regionali, poiché l’articolo impugnato avrebbe espressamente escluso la
propria cedevolezza per la parte della disciplina da esso recata non
riconducibile a materie di competenza esclusiva statale. Il medesimo articolo
è impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano nel comma 4, ove si statuisce
l’applicabilità nei confronti delle Regioni e delle Province autonome della
disciplina regolamentare adottata dallo Stato con il d.P.R. 23 dicembre 1999,
n. 554, in radicale contrasto con quanto statuito da questa Corte nella sentenza
n. 482 del 1995;
n)
- l’art. 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7, il quale, anticipando la disciplina
procedimentale oggetto di impugnazione ai progetti già in corso,
incorrerebbe, secondo la Regione Toscana, nei medesimi vizi già illustrati in
riferimento alle singole fasi del procedimento;
o)
- gli artt. 17, 18, 19 e 20, per la parte in cui dettano una disciplina della
procedura di VIA di opere e infrastrutture che deroga alla disciplina
regionale e provinciale, sono denunciati dalle Regioni Marche e Toscana, le
quali ritengono lese le proprie competenze a disciplinare gli strumenti
attuativi della tutela dell’ambiente dettati dal legislatore comunitario;
p)
- l’art. 19, comma 2, che demanda la valutazione di impatto ambientale a una
commissione speciale costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sarebbe
illegittimo, a giudizio delle Regioni Marche e Toscana, per la mancata
previsione di una partecipazione delle Regioni, che sarebbero in tal modo
estromesse dalla funzione di attuazione del valore costituzionale «ambiente»;
q)
- gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9;
13, comma 5; e 15, nel prevedere procedimenti di approvazione che comportano
l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano
l’accertamento della compatibilità ambientale e sostituiscono ogni altra
autorizzazione, approvazione e parere, disattenderebbero, secondo la Provincia
autonoma di Bolzano, le norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1994, che subordinano
l’adozione di alcune delle opere previste dal decreto impugnato alla previa
intesa con la Provincia.
19.
¾
Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto
che i ricorsi siano dichiarati infondati. La difesa erariale sostiene
innanzitutto che la materia dei lavori pubblici, non richiamata nel nuovo
testo dell’art. 117 Cost., non potrebbe essere ascritta alla potestà
residuale della Regione, ma che, al contrario, lo Stato conserverebbe la
potestà legislativa di principio per la disciplina degli appalti riferibili
alle materie comprese nella potestà legislativa concorrente. Ciò senza
considerare che anche nel nuovo Titolo V l’interesse nazionale potrebbe
legittimare il superamento della ripartizione per materie posta nel medesimo
art. 117.
Inoltre,
prosegue l’Avvocatura, la legge n. 166 del 2002, recependo le istanze
regionali, avrebbe previsto che l’individuazione delle opere avvenga
d’intesa fra lo Stato e le Regioni, sicché il decreto impugnato si dovrebbe
considerare rispettoso delle attribuzioni regionali. La partecipazione
effettiva delle Regioni alla fase di approvazione, come prevede l’art. 2,
comma 1, del decreto impugnato, priverebbe di fondamento la censura relativa
al potere sostitutivo conferito al Governo nell’ipotesi di dissenso della
Regione interessata, tanto più che la fattispecie sarebbe perfettamente
conforme allo schema di esercizio del potere sostitutivo delineato nell’art.
120, secondo comma, Cost., venendo in questione opere che, per la loro
indubitabile rilevanza strategica, sarebbero in grado di incidere sull’unità
economica del Paese.
Quanto
alla ammissibilità di una normativa statale di dettaglio, ovviamente
cedevole, in materia di potestà concorrente, la difesa del Presidente del
Consiglio dei ministri osserva che ciò risponderebbe «ad una esigenza
imprescindibile, in applicazione del principio di continuità, quando non vi
sia alcuna altra norma applicabile alla fattispecie». Neppure dovrebbe dirsi
leso l’art. 118 Cost., poiché la nuova formulazione di tale articolo
attribuisce le funzioni amministrative sulla base del principio di
sussidiarietà, precisando che tali funzioni devono essere attribuite allo
Stato quando occorra assicurarne l’esercizio unitario, ciò che, secondo
l’Avvocatura, accadrebbe nel caso di specie, dovendosi realizzare opere di
“preminente interesse nazionale”.
Con
riguardo alle censure che investono la previsione della nomina governativa di
un commissario straordinario che vigili sull’andamento delle opere e
l’attribuzione ad esso del potere di adottare i provvedimenti necessari alla
tempestiva esecuzione dell’opera, la difesa erariale replica osservando: che
la procedura ha luogo solo per le opere di interesse internazionale o
interregionale; che comunque è previsto che siano sentiti i Presidenti delle
Regioni coinvolte; che infine i poteri sostitutivi del commissario non
potranno oltrepassare le competenze dell’ente conferente, non potendo lo
Stato conferire poteri maggiori di quelli di cui esso stesso gode.
In
merito alla mancata previsione della partecipazione regionale alla procedura
di valutazione di impatto ambientale dell’opera si rileva che la VIA attiene
alla tutela dell’ambiente, materia attribuita alla competenza esclusiva
dello Stato.
20.
¾
In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 tutte le parti hanno
depositato ulteriori memorie difensive. La Regione Toscana e la Provincia
autonoma di Bolzano contestano l’esistenza di un criterio di strumentalità
della materia dei lavori pubblici, dal quale discenderebbe la conseguenza che
lo Stato sarebbe abilitato a dettare i principî per la disciplina degli
appalti riferibili alle materie soggette alla potestà legislativa
concorrente. Di strumentalità, si argomenta nel ricorso toscano, si potrebbe
parlare solo se nell’art. 117 Cost. fosse stata inserita tra le materie
riservate allo Stato quella dei “lavori pubblici di interesse nazionale”,
ciò che non è avvenuto. Anche ad accedere alla tesi della strumentalità,
peraltro, non verrebbero meno le ragioni di illegittimità costituzionale
delle norme denunciate. In tale ottica, osservano la Regione Toscana e la
Provincia autonoma di Bolzano, dovrebbe comunque essere ritenuta di competenza
statale la sola disciplina delle opere pubbliche comprese nelle materie di
competenza legislativa esclusiva statale, ad esempio le opere concernenti la
difesa o l’ordine pubblico, non anche tutte le altre opere che i decreti
impugnati invece menzionano e regolamentano con normativa di minuto dettaglio.
Allo Stato, prosegue la Provincia autonoma di Bolzano, spetterebbe solo la
determinazione dei principî fondamentali della disciplina dei lavori che
riguardino le infrastrutture sulle quali è riconosciuta una potestà
legislativa concorrente e quindi, proprio applicando il criterio della
strumentalità, non si giustificherebbe la disciplina statale delle procedure
per la realizzazione di infrastrutture riconducibili a materie attribuite alla
competenza esclusiva o concorrente della Provincia.
Del
pari infondata, secondo tutte le ricorrenti, sarebbe la tesi statale secondo
la quale l’interesse nazionale rappresenterebbe ancora un limite alla potestà
legislativa regionale che consentirebbe di superare la ripartizione posta
nell’art. 117 Cost., giacché in tal modo sarebbe inammissibilmente
reintrodotto in Costituzione un limite che non è più espressamente previsto.
La tutela degli interessi unitari potrebbe ormai essere realizzata solo
attraverso poteri e istituti espressamente previsti in Costituzione. Si
aggiunge nella memoria della Provincia autonoma di Trento che, se le Regioni
non potessero intervenire là dove sono in gioco interessi nazionali, non si
giustificherebbero nemmeno i poteri sostitutivi disciplinati nell’art. 120,
secondo comma, Cost. Inoltre, osserva la Provincia, già dall’art. 13 del
decreto-legge n. 67 del 1997, risultava che opere “di rilevante interesse
nazionale” potevano non di meno essere di competenza regionale, mentre il
decreto legislativo n. 112 del 1998 avrebbe attribuito allo Stato la
competenza su “grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse
nazionale con legge statale” sul presupposto che non fosse giustificabile
una disciplina che, come quella impugnata, rimettesse la definizione di tale
interesse alla discrezionalità del Governo.
Neppure
si potrebbe affermare, soggiunge la Regione Toscana, che la normativa
impugnata sarebbe rispettosa dell’autonomia regionale poiché è stato in
essa previsto che l’individuazione delle opere sia effettuata d’intesa fra
Stato e Regioni e l’approvazione dei progetti avvenga attraverso l’intesa.
Gli accordi e le intese non possono infatti vincolare il legislatore statale o
regionale, visto che l’ordine costituzionale delle competenze legislative è
indisponibile. Il richiamo che la difesa erariale fa all’art. 120 Cost., si
prosegue nella memoria della Toscana, non sarebbe pertinente, perché tale
disposizione richiede la definizione, con legge, delle procedure atte a
garantire che il potere sostitutivo sia esercitato nel rispetto del principio
di sussidiarietà e di leale collaborazione, e tale legge non è stata ancora
emanata, con conseguente impossibilità di applicare il medesimo art. 120.
Inoltre l’intervento sostitutivo in discorso sarebbe attivato in assenza di
un inadempimento regionale, e per effetto della sola manifestazione del
dissenso da parte della Regione (memoria della Regione Toscana), e non sarebbe
giustificabile con l’esigenza di garantire l’unità economica del Paese
(memoria della Provincia autonoma di Bolzano), sicché l’avere legittimato
un intervento sostitutivo in assenza di ogni inadempimento regionale sarebbe
ragione di illegittimità del decreto legislativo per violazione del principio
di leale collaborazione, richiamato dallo stesso art. 120, secondo comma,
Cost.
Quanto
alla asserita legittimità delle norme di dettaglio “cedevoli”, le
ricorrenti ricordano la sentenza
n. 282 del 2002 di questa Corte, dalla quale sarebbe chiaramente
desumibile che la competenza statale nelle materie di potestà concorrente è
«limitata alla determinazione dei principî fondamentali della materia»,
sicché non sarebbero più ammissibili normative suppletive statali.
L’Avvocatura,
si osserva nella memoria della Provincia autonoma di Bolzano, invoca la legge
n. 166 del 2002, che, a suo dire, avrebbe recepito le istanze regionali in
materia, ma il richiamo sarebbe inconferente, poiché la legge in questione è
precedente rispetto al decreto impugnato, così da non poter spiegare alcuna
influenza sulla questione all’esame della Corte. Nella medesima memoria e in
quella della Provincia di Trento si ribadisce che la soluzione procedimentale
contemplata nell’art. 3, comma 6, per superare il dissenso della Provincia
sarebbe illegittima, per la mancata previsione di un’intesa, e respinge sul
punto le diverse considerazioni dell’Avvocatura, che invocherebbe in modo
errato l’art. 1, comma 2, del decreto impugnato. Parimenti incostituzionale
sarebbe la nomina del commissario straordinario. Il rilievo che la procedura
censurata riguarderebbe soltanto le opere di interesse internazionale o
interregionale, oltre a non trovare fondamento nella lettera della norma
impugnata (così nella memoria della Provincia autonoma di Trento) non
varrebbe comunque a farne venire meno l’illegittimità, posto che per i
collegamenti di tale natura gli artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. n. 381 del 1974
imporrebbero il raggiungimento di un’intesa, non essendo sufficiente la mera
audizione dei Presidenti delle Regioni interessate (memorie delle Province
autonome di Trento e Bolzano).
In
riferimento alla denunciata lesione dell’art. 118 Cost., secondo la
Provincia autonoma di Bolzano, non sarebbe possibile invocare la sussistenza
di esigenze unitarie relativamente alle funzioni amministrative, giacché la
Costituzione, «lasciando alle Regioni la competenza a dettare la disciplina
della materia, ha ritenuto che non sussistesse un’esigenza di assoluta
uniformità tra Regione e Regione nemmeno quanto a disciplina legislativa».
Comunque, alla Provincia di Bolzano, in base all’art. 16 dello statuto di
autonomia, non potrebbero essere sottratte le funzioni amministrative nelle
materie che rientrano nella sua competenza legislativa, non essendo
applicabile alla medesima l’art. 118 Cost., quando ciò determini un regime
di minor garanzia rispetto a quello assicurato dallo statuto. Inoltre, si
legge nella memoria della Provincia autonoma di Trento, l’art. 118
sancirebbe il principio del parallelismo non quanto alla spettanza delle
funzioni amministrative, ma in ordine al potere di allocare le funzioni, sicché
lo Stato non avrebbe avuto il potere di allocare le funzioni amministrative
relative a opere pubbliche, salvo quelle rientranti in materie di potestà
legislativa esclusiva statale.
21.
¾
Ha anche depositato ulteriori memorie, per il Presidente del Consiglio dei
ministri, l’Avvocatura generale dello Stato. La difesa erariale muove dalla
constatazione che non si possano enfatizzare gli aspetti innovativi della
riforma del Titolo V e al contempo continuare ad utilizzare schemi concettuali
propri del precedente assetto costituzionale, occorrendo al contrario «ampliare
l’orizzonte all’esperienza degli Stati federali». In simile prospettiva
sarebbe innegabile la rilevanza costituzionale dell’interesse nazionale, che
legittima, negli Stati Uniti con la formula degli implied
powers, in Germania con quella
della Sachzusammenhang (connessione
delle materie) e con la Natur der Sache
(natura della cosa), l’intervento della Federazione nelle materie di
competenza degli Stati membri. Proprio in considerazione della natura delle
opere da realizzare in base al decreto impugnato, che pur avendo rilevanza
regionale, convergerebbero funzionalmente nel programma di modernizzazione del
Paese, sarebbe evidente come la competenza debba spettare allo Stato. I
soggetti privati non sarebbero infatti invogliati a investire risorse se la
localizzazione e progettazione delle opere venisse rimessa a discipline e
soggetti diversi e la stessa procedura per l’individuazione del contraente,
che incide sulle condizioni economiche dell’operazione, dipendesse dalle
scelte legislative e amministrative di ogni Regione. Per ragioni analoghe
sarebbero legittimi anche i meccanismi di superamento del dissenso regionale e
gli interventi sostitutivi da parte dei commissari straordinari, i quali
sarebbero diretti non solo a garantire l’interesse pubblico statale alla
realizzazione dell’opera, ma anche a diminuire il “rischio
amministrativo” dell’operazione finanziata con capitali privati. Alla luce
di tali considerazioni l’Avvocatura sostiene che le attribuzioni
costituzionali delle Regioni riceverebbero adeguata considerazione nella
partecipazione alle sedi deliberative statali.
Tornando al tema della configurabilità del limite dell’interesse nazionale, l’Avvocatura ricorda come nel dibattito dottrinario siano state numerose le voci che hanno radicato tale limite nell’art. 5 Cost., e, con specifico riguardo alla materia dei lavori pubblici, osserva come essa presenti aspetti che non possono prescindere da un’impostazione unitaria. Il regime degli appalti, ad esempio, presupporrebbe la concorrenza delle imprese, materia che risulta assegnata alla competenza esclusiva dello Stato, e sempre alla tutela della concorrenza dovrebbe essere ricondotta tutta la disciplina che riguarda i meccanismi di aggiudicazione e di qualificazione delle imprese con riferimento alla materia delle opere pubbliche, che pure è di competenza regionale. Proprio in considerazione dei profili delle materie di potestà concorrente che possono incidere su interessi tutelati a livello unitario, e ricadenti nell’ambito delle materie di competenza esclusiva statale, sarebbe giustificato il ricorso a una gestione uniforme e ispirata a esigenze di sicurezza e di efficienza a livello nazionale di opere infrastrutturali essenziali allo sviluppo del Paese.
22.
¾
Le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria,
Lombardia hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via
principale, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97,
114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo
della Comunità europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002,
n. 198, recante “Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo
sviluppo del Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre
2001, n. 443”, e in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e
12.
Nei
ricorsi regionali si osserva in via preliminare che la legge di delega n. 443
del 2001 autorizzava l’adozione di una normativa specifica per le sole
infrastrutture di telecomunicazione puntualmente individuate anno per anno,
mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione, ma
esclusivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle
comunicazioni». Inoltre, si osserva nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna
e Umbria, la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di “grandi
opere”, mentre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti,
ripetitori, che il decreto legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo
una molteplicità di piccole opere, del tutto estranee all’oggetto della
delega. Infine, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e
Lombardia, lungi dall’uniformarsi ai principî e criteri direttivi della
delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porrebbe i principî che
informano le disposizioni successive, con ciò confermando la violazione della
delega.
Si
invoca la violazione dei limiti della delega, nello specifico:
a)
- per l’art. 3, in quanto la delega stabiliva che le infrastrutture
strategiche dovessero essere individuate d’intesa con la Regione, mentre di
tale intesa non vi sarebbe traccia (ricorso della Regione Toscana);
b)
- per l’art. 3, comma 1, sull’assunto che non era stato conferito al
Governo alcun potere di derogare alle norme della legge 22 febbraio del 2001,
n. 36 (ricorso delle Regioni Marche e Lombardia);
c)
- per l’art. 3, comma 2, che dispone la deroga, sotto il profilo
urbanistico, “ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”, là
dove l’art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001 prevedeva solo una
deroga «agli articoli 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis,
37-ter e 37-quater
della legge 11 febbraio 1994, n. 109», nonché alle ulteriori disposizioni
della medesima legge che non fossero necessaria ed immediata applicazione
delle direttive comunitarie (ricorsi delle Regioni Marche e Lombardia);
d)
- per l’art. 4, comma 1, poiché in tale disposizione mancherebbe ogni
riferimento a infrastrutture che siano state dichiarate “strategiche” ai
sensi della legge n. 443 del 2001, così da potere essere riferita alle
infrastrutture radioelettriche tout
court (tutti i ricorsi);
e)
- per l’art. 11, che avrebbe illegittimamente innovato al d.P.R. 29 marzo
1973, n. 156 (ricorso della Regione Marche);
f)
- per l’art. 12, commi 1 e 2, il quale, disponendo l’efficacia delle nuova
disciplina anche alle installazioni di infrastrutture già assentite dalle
amministrazioni, farebbe assumere al decreto impugnato, in assenza di una
specifica previsione di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche nel
programma approvato dal CIPE nel 2001, una efficacia retroattiva (ricorsi
delle Regioni Toscana e Marche);
g)
- per l’art. 12, comma 4, che avrebbe eliminato le procedure di
“valutazione di impatto ambientale”, là dove la delega contemplava solo
la loro riforma (ricorso della Regione Marche). Inoltre la medesima delega
stabiliva che le infrastrutture strategiche sarebbero state individuate
d’intesa con la Regione, ma di tale intesa non vi sarebbe traccia
nell’art. 3 del decreto legislativo impugnato (ricorso della Regione
Toscana).
In
merito alla denunciata lesione dell’art. 117 Cost., nei ricorsi delle
Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata e Lombardia si sostiene che il
decreto legislativo n. 198 disciplinerebbe oggetti riconducibili alle materie
“ordinamento della comunicazione”, “governo del territorio” e
“tutela della salute”, di potestà concorrente, con disposizioni di minuto
dettaglio. Nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, dopo aver notato
come sia lo stesso legislatore a escludere di agire nell’esercizio della
potestà esclusiva quando asserisce, all’art. 1, di dettare i “principî
fondamentali” nella materia considerata, si afferma che nella materia
oggetto del decreto legislativo n. 198 spetterebbe alle Regioni una potestà
legislativa piena, salvi gli aspetti relativi alla tutela dell’ambiente,
della salute e quelli collegati al governo del territorio, ossia alla
localizzazione delle opere.
Risulterebbe
inoltre indefinito, secondo la ricorrente Regione Marche, lo stesso criterio
di individuazione delle infrastrutture di telecomunicazione che dovrebbero
rientrare nell’ambito della disciplina derogatoria prevista dal legislatore
delegante. Il provvedimento del CIPE al quale, ai sensi dell’art. 1, comma
1, della legge di delega, era affidata l’individuazione delle opere,
infatti, avrebbe semplicemente indicato i flussi di investimento, non anche le
opere da realizzare. Da ciò la conclusione che le infrastrutture di
telecomunicazioni si atterrebbero, per una parte, alla materia di potestà
concorrente “ordinamento della comunicazione”, per l’altra, a materie
come l’urbanistica e l’edilizia, l’industria e il commercio, che
sarebbero ascrivibili alla potestà legislativa residuale delle Regioni e che
non potrebbero essere svuotate del loro contenuto semplicemente invocando il
carattere di “interesse nazionale” delle opere da realizzare.
Nello
specifico, i ricorsi regionali censurano le seguenti disposizioni del decreto
legislativo n. 198 del 2002:
a)
- l’art. 1, che imporrebbe, con normazione di dettaglio, una procedura
derogatoria e unificata a livello nazionale per opere che rientrerebbero anche
nella competenza regionale, per la connessione dell’oggetto della disciplina
con materie di competenza regionale sia concorrente, sia residuale (ricorsi
delle Regioni Campania, Marche, Basilicata e Lombardia);
b)
- l’art. 3, per la parte in cui afferma che le categorie di infrastrutture
di telecomunicazioni strategiche sono opere di interesse nazionale,
realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite nel decreto,
in deroga alle disposizioni dell’art. 8, comma 1, lettera c),
della legge n. 36 del 2001, che aveva previsto la competenza legislativa
regionale nella definizione delle modalità per il rilascio delle
autorizzazioni all’installazione degli impianti; i commi 2 e 3 del medesimo
articolo sono inoltre impugnati in quanto stabiliscono che le infrastrutture
di comunicazione possono essere realizzate in ogni parte del territorio
comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra
disposizione di legge o di regolamento, con la precisazione che la disciplina
delle opere di urbanizzazione primaria è applicabile alle opere civili e in
genere ai lavori e alle reti indispensabili per la realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazione. La deroga alle previsioni urbanistiche ed
edilizie locali determinerebbe lesione delle competenze regionali in materia
di ordinamento della comunicazione, governo del territorio, urbanistica ed
edilizia e renderebbe vana ogni pianificazione territoriale, anche a livello
comunale (ricorsi delle Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia); inoltre la medesima disposizione, liberalizzando, sotto
il profilo urbanistico, il diritto di installazione degli impianti di
telecomunicazione, sacrificherebbe in modo eccessivo interessi costituzionali
come quello alla tutela del paesaggio e all’ordinato sviluppo urbanistico
del territorio, determinando una violazione del limite della utilità sociale
che l’art. 41 Cost. pone alla iniziativa economica privata (ricorsi delle
Regioni Emilia-Romagna e Umbria);
c)
- l’art. 4, il quale prevede che l’autorizzazione alla installazione sia
rilasciata previo accertamento della compatibilità del progetto con i limiti
di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità stabiliti,
con riferimento ai campi elettromagnetici, uniformemente a livello nazionale.
Così disponendo, il legislatore statale avrebbe vanificato la legislazione
regionale già adottata in materia sulla base dell’art. 3, comma 1, lettera d),
della legge n. 36 del 2001 (ricorsi Toscana, Emilia-Romagna e Umbria) e
impedito alle Regioni di porre, a tutela di interessi sanitari e ambientali
delle rispettive popolazioni, misure di garanzia ulteriori rispetto a quelle
che il legislatore nazionale abbia fissato su tutto il territorio nazionale
(ricorso della Regione Lombardia);
d)
- gli artt. 5 e 6, nel disciplinare i procedimenti di autorizzazione relativi
alle infrastrutture di telecomunicazione per impianti radioelettrici,
detterebbero regole di estremo dettaglio in materia di competenza regionale
concorrente; inoltre le disposizioni in oggetto, unitamente all’art. 7,
comma 7, autorizzando l’installazione degli impianti in qualunque posizione,
senza imporre distanze minime dalle abitazioni, recherebbero un eccessivo e
ingiustificato pregiudizio alla tutela dell’ambiente e della salute e
violerebbero in particolare il principio di precauzione di cui all’art. 174,
comma 2, del trattato istitutivo della CE, non essendo consentito, in tale
materia, affidarsi alla “autodisciplina” dei privati come si è fatto con
la previsione di denunce di inizio attività e meccanismi di silenzio-assenso
(ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia);
e)
- gli artt. 7, 8, 9 e 10, che pongono una disciplina di favore per le opere
civili, gli scavi e le occupazioni di suolo pubblico strumentali alla
realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione, favorirebbero alcuni
operatori nel settore delle telecomunicazioni senza che le Regioni, pur
titolari della potestà legislativa in materia di ordinamento della
comunicazione, abbiano in alcun modo potuto interloquire sulla individuazione
di tali soggetti e sulla necessità di ammetterli a tale regime speciale e
derogatorio (tutte le ricorrenti);
f)
- l’art. 12, il quale, nel dettare le disposizioni finali, attribuisce
valore di autorizzazione e di dichiarazione di inizio attività anche ai
titoli già rilasciati per l’installazione delle infrastrutture e alle
istanze già presentate, alla data di entrata in vigore della nuova normativa,
per gli impianti con tecnologia UMTS o con potenza di antenna eguale o
inferiore a 20 Watt. La
disposizione in oggetto, per un verso, anticiperebbe l’applicazione della
nuova normativa anche a infrastrutture che non sono state ancora individuate
con il programma delle opere strategiche, contraddicendo così l’art. 1
della legge di delega n. 443 del 2001, per l’altro estenderebbe
retroattivamente la disciplina derogatoria già denunciata come lesiva delle
competenze regionali. Pure incostituzionale sarebbe, secondo la Regione
Marche, l’abrogazione dell’art. 2-bis
della legge 1° luglio 1997, n. 189, per effetto della quale risulterebbe
esclusa la competenza della Regione a prevedere, nell’esercizio delle
proprie attribuzioni legislative, l’applicazione di procedure di valutazione
di impatto ambientale anche in relazione ad oggetti non specificamente
individuati dalle direttive comunitarie.
Ulteriori censure, diverse da quelle che denunciano la violazione del quadro costituzionale delle competenze legislative, investono:
a)
- gli artt. 3, comma 2; 5; 7; 9; 12, commi 3 e 4; nonché gli allegati A, B, C
e D. Le norme e gli allegati in discorso attribuirebbero al Governo un potestà
normativa diretta alla modificazione o integrazione dei regolamenti di
esecuzione e attuazione della legislazione finora vigenti in materie di potestà
concorrente, in tal modo violando l’art. 117, sesto comma, Cost., il quale
riconosce allo Stato la potestà regolamentare solo nelle materie di
legislazione esclusiva statale (ricorso della Regione Marche);
b)
- gli articoli e allegati citati nel punto precedente (ricorso della Regione
Marche), nonché gli artt. da 4 a 9 (ricorso della Regione Toscana), che, nel
disciplinare dettagliatamente il procedimento per il rilascio dei titoli
abilitativi per l’installazione delle infrastrutture di telecomunicazioni e
per le opere connesse, si porrebbero in contrasto con l’art. 118 Cost., il
quale affiderebbe alle Regioni la competenza a distribuire le funzioni nelle
materie in cui è ad esse riconosciuta potestà legislativa concorrente o
residuale. Nel caso di specie sarebbe lesiva delle attribuzioni regionali
l’allocazione a livello centrale delle funzioni amministrative relative alla
specifica localizzazione sul territorio e alla concreta realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazione;
c)
- gli artt. 5, commi 3, 4, 5, 6, e 7; 6, comma 1; 7, commi 2, 3, 4, 5, 6, e 7;
8, comma 3; 9, commi 1, 2, e 3; 12, comma 4 (ricorso della Regione Marche),
che, disponendo una serie di semplificazioni procedurali dei processi
decisionali per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni
impedirebbero alle Regioni di concorrere all’attuazione del valore
costituzionale della tutela ambientale;
d)
- in particolare gli artt. 7, comma 5; e 9, comma 3, sono impugnati nel
ricorso della Regione Basilicata per la parte in cui prevedono che
nell’ipotesi di contrasto fra le amministrazioni interessate nella procedura
di installazione di infrastrutture di comunicazione la decisione sia rimessa
al Presidente del Consiglio dei ministri, con ciò sacrificando, secondo la
prospettazione regionale, le attribuzioni riconosciute in materia alla Regione
e contraddicendo la legge n. 241 del 1990, che affida la decisione finale al
Consiglio dei ministri solo quando l’amministrazione dissenziente o
procedente sia un’amministrazione statale e non anche nelle altre ipotesi,
nelle quali la potestà decisionale sarebbe conferita ai competenti organi
esecutivi degli enti territoriali;
e)
– l’art. 9, commi 5 e 10, per la parte in cui impone agli enti locali
forme di programmazione in tempi predefiniti dal legislatore statale e limita,
per gli operatori, gli oneri connessi alle attività di installazione, scavo e
occupazione di suolo pubblico, violerebbe il principio dell’autonomia
finanziaria, il quale postulerebbe che tutte le funzioni amministrative
spettanti alle Regioni e diverse da quelle ordinarie siano finanziate
attraverso la diretta
attribuzione di risorse ai loro bilanci, senza vincoli sulle modalità di
spesa, e comunque precluderebbe allo Stato di limitare l’autonomia regionale
nella selezione degli strumenti da impiegare per realizzare le grandi opere di
interesse nazionale (ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche,
Emilia-Romagna e Umbria);
f)
- gli artt. 5, comma 6; 7, comma 4; 9, comma 2, che estendono la regola della
maggioranza all’adozione dell’atto finale in Conferenza dei servizi, con
ciò determinando, secondo la ricorrente Regione Campania, la totale
pretermissione della volontà della Regione in materie di propria competenza;
g)
- l’intero decreto legislativo, poiché, nel disporre, nel complesso delle
sue disposizioni e segnatamente nell’art. 13, un trattamento differenziato
per le Regioni ordinarie rispetto alle Regioni ad autonomia speciale,
violerebbe il principio di parità di trattamento fra le autonomie regionali e
il principio di ragionevolezza, posto che
tale diversità di trattamento sarebbe ormai ingiustificata, alla luce
della revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione e
specificamente della clausola di estensione di cui all’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001 (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e
Lombardia).
23.
¾
Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio
dell’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano
rigettati.
Secondo
la difesa erariale non sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 76 Cost.,
giacché la legge di delega specificamente riguardava le “infrastrutture
pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente
interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del
Paese”, la cui individuazione concreta era rimessa a un programma approvato
dal CIPE che, nell’allegato 5, elencherebbe le infrastrutture di
telecomunicazioni per la realizzazione dei servizi UMTS, banda larga e
digitale terrestre. La piena conformità alla delega del decreto legislativo
impugnato sarebbe comprovata anche dal fatto che con esso si sarebbero
razionalizzate le procedure autorizzatorie per l’installazione degli
impianti di telecomunicazioni, come richiedeva l’art. 1, comma 2, lettera b),
della delega. Il decreto non inciderebbe neppure, prosegue l’Avvocatura,
sulla disciplina relativa ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici
contenuta nella legge n. 36 del 2001, ma al contrario imporrebbe il rispetto
dei limiti attualmente fissati nel decreto ministeriale 3 settembre 1997, n.
381.
In
ordine alla denunciata lesione della competenza legislativa concorrente delle
Regioni, la difesa statale sostiene che la materia cui inerisce il decreto
legislativo sia esclusivamente quella della tutela dell’ambiente e non già
quella del governo del territorio e contesta il rilievo secondo il quale non
sarebbe consentito nel caso in esame stabilire una normativa uniforme a
livello nazionale, poiché alcune Regioni avrebbero già esercitato la loro
potestà legislativa in tema di localizzazione degli impianti di
telecomunicazioni, rammentando come le leggi regionali emanate in questa
materia siano state tutte impugnate dal Governo
proprio sotto il profilo della violazione della competenza esclusiva
statale in materia di ambiente. L’ulteriore interesse sottostante la
disciplina oggetto di impugnazione consisterebbe nella tutela della
concorrenza nel settore delle telecomunicazioni, che sarebbe certo favorita
dalla previsione di procedure autorizzatorie uniformi su tutto il territorio
nazionale.
Quanto
alla dedotta violazione dell’art. 118 Cost., l’Avvocatura contesta
l’assunto dei ricorrenti, secondo il quale l’esigenza di esercizio
unitario delle funzioni amministrative non potrebbe costituire un titolo
autonomo legittimante l’intervento del legislatore statale, osservando come
sia ancora controversa, in dottrina, l’applicabilità alla legislazione
concorrente regionale dei principî di sussidiarietà e di adeguatezza e
proseguendo che il limite dell’interesse nazionale, pur non più menzionato
in Costituzione, potrebbe comunque essere considerato contenuto implicito del
principio di unità e indivisibilità della Nazione.
24. ¾ Nei giudizi instaurati con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana e Marche hanno spiegato intervento le società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. – Telecom Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a.; in quelli introdotti con i ricorsi delle Regioni Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia tutte le società menzionate, tranne H3G s.p.a. Tutti gli intervenienti hanno chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate improponibili, inammissibili e comunque infondate.
25.
¾
Avverso gli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 9 e 12 e gli allegati A, B, C, D del
decreto legislativo n. 198 del 2002 ha proposto ricorso, «per sollevare
questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche
il Comune di Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad
impugnare discenderebbe dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II
della Costituzione avrebbe attribuito direttamente ai Comuni potestà
amministrative e normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di
legittimità costituzionale in via di azione e nel giudizio per conflitto di
attribuzione.
25.1.
¾
Nel giudizio promosso dal Comune di Vercelli si è costituito il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, il quale preliminarmente ha eccepito il difetto di legittimazione
al ricorso da parte del Comune, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
improponibile e inammissibile.
Ha
spiegato intervento, con atto pervenuto fuori termine, T.I.M. s.p.a. -
Telecom Italia Mobile.
26.
¾
In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo tutte le parti,
nonché gli intervenienti, hanno depositato ulteriori memorie difensive.
26.1.
¾
In via preliminare le Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia contestano che la disciplina impugnata riguardi
infrastrutture inserite nel programma di individuazione delle opere
strategiche approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001. Si afferma in proposito
che, in base all’allegato 5 richiamato dalla difesa erariale, il legislatore
avrebbe proceduto solo sulla base di una «sintesi del piano degli interventi
nel comparto delle telecomunicazioni», rinviando a una futura delibera del
CIPE l’individuazione delle opere ritenute strategiche, ciò che peraltro la
legge di delega non avrebbe consentito. La disciplina impugnata troverebbe
dunque applicazione nei confronti di opere che non sarebbero state indicate
come strategiche e si sarebbero perciò sottratte alla previa intesa con le
Regioni. Tale conclusione, secondo la Regione Toscana, sarebbe confermata
dall’art. 12 del decreto, che attribuisce efficacia retroattiva alle norme
impugnata.
Nelle
memorie si contesta anzitutto che il decreto legislativo in esame, come
sostenuto dall’Avvocatura, si attenga alle materie della tutela della
concorrenza (memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia) o a quella della tutela dell’ambiente e della salute
(memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia), rilevandosi in tale ultimo caso come la relazione al
decreto fornisca una indicazione palesemente contraria. Del resto, si osserva
nelle memorie difensive di Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, la
giurisprudenza costituzionale più recente sarebbe chiara nell’affermare che
in materia di tutela dell’ambiente spetterebbe allo Stato solo il potere di
fissare standard di tutela uniformi
sull’intero territorio nazionale, non anche di escludere l’intervento
regionale negli ambiti di propria competenza, come sarebbe quello dei lavori
pubblici, materia non più contemplata negli elenchi dell’art. 117, commi
secondo e terzo, Cost. La stessa tutela della concorrenza, si aggiunge nella
memoria delle Marche, non potrebbe giustificare la previsione di un
procedimento derogatorio delle procedure ordinarie, giacché nessuna
violazione della par condicio degli
imprenditori interessati al settore potrebbe derivare dal rispetto di tali
procedure.
Nella
memoria della Regione Toscana si pone in risalto come la disciplina del
procedimento di installazione degli impianti non costituisca di per sé una
materia e si sostiene che spetterebbe all’ente competente legiferare nella
materia cui inerisce il procedimento. Nelle materie di potestà concorrente,
come quelle coinvolte dalle disposizioni impugnate, il legislatore statale
avrebbe dovuto dettare i principî cui il legislatore regionale avrebbe dovuto
attenersi nella disciplina legislativa di quel procedimento, conformemente,
del resto, a quanto era stato già fatto con la legge n. 36 del 2001.
Del pari da respingere, si sostiene nella memoria dell’Emilia-Romagna, sarebbe la prospettazione della difesa erariale secondo la quale tutte le attività che coinvolgono interessi sovraregionali, in forza dei principî di sussidiarietà e di adeguatezza, esigerebbero una disciplina unitaria a livello statale. Si afferma al riguardo che il decreto legislativo n. 198 del 2002 non coinvolgerebbe interessi sovraregionali, disciplinando l’installazione di vari singoli impianti di comunicazione e che comunque i principî di sussidiarietà e adeguatezza riguardano l’allocazione delle funzioni amministrative da parte dei legislatori competenti, mentre l’allocazione delle funzioni legislative è direttamente posta nell’art. 117 Cost.
Ad
avviso della Regione Lombardia, nell’impianto del decreto legislativo
impugnato assumerebbe una particolare rilevanza l’art. 3, comma 2, che
sancirebbe l’automatica prevalenza dell’interesse statale alla
installazione delle infrastrutture su tutti gli interessi alla cui tutela sono
preposte le autonomie territoriali, potendo essa derogare anche agli strumenti
urbanistici. La difformità di tale automatismo rispetto all’ordine
costituzionale delle competenze sarebbe stata già riconosciuta dalla Corte
costituzionale in altre consimili occasioni (si citano, ad esempio, le sentenze
n. 524 del 2002 e n.
206 del 2001), nelle quali la modifica dello strumento urbanistico senza
il consenso della Regione sarebbe stata ritenuta lesiva delle competenze
regionali in materia urbanistica.
Riguardo
agli interventi degli operatori di telecomunicazione Tim, Wind, Vodafone
Omnitel e H3G, le Regioni Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia ne
eccepiscono preliminarmente la inammissibilità e contestano puntualmente le
argomentazioni da questi spese avverso i ricorsi regionali.
26.2. ¾ L ’Avvocatura generale dello Stato insiste per il rigetto del ricorso.
Tutti
i ricorsi, secondo la difesa statale, prenderebbero le mosse da una errata
impostazione concettuale: la totale svalutazione della nozione di “rete”,
che assumerebbe un decisivo rilievo, tanto sotto il profilo tecnico quanto nei
risvolti giuridici, per quanto attiene alle infrastrutture di
telecomunicazione. La natura delle opere in oggetto renderebbe del tutto priva
di senso la visione parcellizzata e atomistica dell’impianto di
telecomunicazione che appare sottesa alle censure di costituzionalità. Dalla
struttura fenomenica dell’oggetto della disciplina discenderebbe dunque la
assoluta necessità di fissare, su base nazionale, limiti e criteri omogenei,
uniformi e non discriminanti, in assenza dei quali una “rete” non sarebbe
neppure configurabile. Non potrebbero comunque essere compromessi, «in
assenza di obiettive ragionevoli giustificazioni e di essenziali interessi
meritevoli di tutela dall’ordinamento», la completezza e la funzionalità
delle reti e l’efficiente espletamento del servizio universale, che peraltro
costituiscono oggetto di obblighi comunitari.
Quanto alla denunciata violazione della competenza legislativa concorrente delle Regioni si osserva che la materia cui inerisce il decreto legislativo n. 198 deve considerarsi quella della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva statale: il principale interesse al quale è preordinata la disciplina impugnata sarebbe infatti quello del rispetto dei limiti alle emissioni elettromagnetiche. Pur volendo accedere alla ricostruzione dell’ambiente come materia trasversale, non potrebbe negarsi, ad avviso della difesa erariale, che il legislatore nazionale possa fissare principî e criteri uniformi, per l’intero territorio, proprio ad evitare distorsioni e impedimenti che metterebbero a rischio la stessa esistenza della rete unitaria. Del resto la possibilità per lo Stato di legiferare anche in materie di potestà legislativa concorrente o addirittura esclusiva, quando vi sia la necessità di garantire livelli minimi e uniformi di tutela sull’intero territorio nazionale, sarebbe stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 536 del 2002. Nella fattispecie all’esame della Corte un limite alla legislazione regionale sarebbe desumibile dall’art. 120, comma 1, Cost., il quale mira ad escludere che le Regioni possano adottare «provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni»: l’efficacia di funzionamento della rete potrebbe essere compromessa da normative regionali che frappongano ostacoli alla sua configurazione funzionale e alla circolazione degli apparati di telefonia mobile. La normativa statale impugnata sarebbe poi preordinata ad attuare il principio costituzionale della tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva statale. Se non fossero definite procedure certe e uniformi sull’intero territorio nazionale, prosegue la difesa statale, non solo si violerebbe la disciplina comunitaria, ma si verrebbe a determinare una anomala distorsione del mercato sia a livello internazionale, sia all’interno.
Sarebbe
da respingere anche la censura fondata sull’asserita lesione dell’art. 118
Cost., essendo possibile sostenere, in applicazione del principio di
sussidiarietà, che le potestà regionali debbano conformarsi agli interessi
della comunità regionale, mentre tutte le attività che coinvolgono interessi
sovraregionali esigono una disciplina unitaria a livello statale, anche nelle
materie di competenza concorrente.
L’Avvocatura
si diffonde infine sulle conseguenze di carattere economico che deriverebbero
dall’accoglimento dei ricorsi e rammenta come l’esigenza di una
armonizzazione nell’adozione di procedure per l’installazione degli
impianti di telecomunicazione sia stata espressa anche nella cosiddetta
direttiva “quadro”, 2002/21/CE, in via di recepimento.
26.3.
¾
Nelle memorie depositate dalle società TIM s.p.a. - Telecom Italia Mobile,
H3G s.p.a., Wind Telecomunicazioni s.p.a. e Vodafone Omnitel N.V., si
argomenta anzitutto sulla ammissibilità degli interventi proposti e si
sostiene che esse sono titolari di un interesse, rilevante, autonomo e
particolarmente qualificato, anche in virtù della delibera CIPE n. 121 del 21
dicembre 2001, ad ottenere l’accertamento della legittimità delle norme
impugnate, poiché, qualora i ricorsi fossero accolti, vi sarebbe una diretta
e irrimediabile lesione della propria libertà di iniziativa economica.
Inoltre, la società TIM assume che negare la possibilità di intervenire a
difesa dei propri interessi concreterebbe una lesione del diritto di difesa
che l’art. 24 Cost. assicura come inviolabile e ciò in quanto,
nell’ipotesi di accoglimento dei ricorsi, la decisione della Corte
risulterebbe incontestabile in altre sedi giudiziarie. La medesima società
chiede in ogni caso che sia preso in considerazione il contributo informativo
che è in grado di offrire a causa della sua specifica competenza di esercente
un servizio di rilevanza pubblicistica.
Nel
merito tutti gli atti di intervento si diffondono nell’argomentare le
ragioni della ritenuta legittimità del decreto legislativo n. 198 del 2002.
27. ¾ Sono intervenuti, con atti pervenuti fuori termine, il Comune di Roma nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Umbria; i Comuni di Monte Porzio Catone, Pontecurone e Mantova nei giudizi promossi con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia e del Comune di Vercelli; il Comune di Polignano a Mare e il Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS) nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Lombardia.
28. ¾ All’udienza pubblica del 25 marzo 2003, in sede di discussione, le parti ricorrenti, nonché gli intervenienti, hanno illustrato le rispettive ragioni e ribadito le conclusioni già rassegnate negli atti depositati.
Considerato
in diritto
1. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 9, 11, 13-15 del 2002) denunciano la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive), cosiddetta “legge obiettivo”, il cui unico articolo è impugnato in più commi e, segnatamente, nei commi da 1 a 12 e nel comma 14, censurati per asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.
La Regione Toscana (reg. ric. n. 68 del 2002) impugna, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost., anche l’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che reca alcune modifiche alla legge n. 443 del 2001.
La Regione Toscana, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Marche e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 79-81 e 83 del 2002) denunciano altresì numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale), in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché allo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
Infine, le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia ed il Comune di Vercelli (reg. ric. nn. 84-91 del 2002) impugnano sia l’intero testo del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), sia, specificamente, numerosi articoli del medesimo decreto legislativo, lamentando la violazione degli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché dell’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea.
1.1.
¾
La stretta connessione per oggetto e per titolo delle norme denunciate, tutte
contenute nella legge di delega n. 443 del 2001 e nei decreti legislativi n.
190 e n. 198 del 2002 che se ne proclamano attuativi, nonché la sostanziale
analogia delle censure prospettate dalle ricorrenti, rendono opportuna la
trattazione congiunta dei ricorsi, che vanno quindi decisi con un’unica
sentenza.
2. ¾ Prima di affrontare nel merito le censure proposte dalle ricorrenti è opportuno soffermarsi sul contenuto della legge n. 443 del 2001. Si tratta di una disciplina che definisce il procedimento da seguire per l’individuazione, la localizzazione e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Il procedimento si articola secondo queste cadenze: il compito di individuare le suddette opere, da assolversi “nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni”, è conferito al Governo (comma 1). Nella sua originaria versione la disposizione stabiliva che l’individuazione avvenisse, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma “formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate, ovvero su proposta delle Regioni, sentiti i Ministri competenti”. Il programma doveva tener conto del piano generale dei trasporti e doveva essere inserito nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con indicazione degli stanziamenti necessari per la realizzazione delle opere. Nell’individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici il Governo era tenuto a procedere “secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale” e ad indicare nel disegno di legge finanziaria “le risorse necessarie, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili”. L’originario comma 1 prevedeva, infine, che “in sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) entro il 31 dicembre 2001”.
Il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 è stato modificato dall’art. 13, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, che ha mantenuto in capo al Governo l’individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici e di preminente interesse nazionale, ma ha elevato il livello di coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome, introducendo espressamente un’intesa: in base all’art. 1, comma 1, attualmente vigente, l’individuazione delle opere si definisce a mezzo di un programma che è predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti “d’intesa con i Ministri competenti e le Regioni o Province autonome interessate”. Tale programma deve essere inserito sempre nel DPEF ma previo parere del CIPE e “previa intesa della Conferenza unificata”, e gli interventi in esso previsti “sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro nei comparti idrici ed ambientali […] e sono compresi in un’intesa generale quadro avente validità pluriennale tra il Governo e ogni singola Regione o Provincia autonoma, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere”. Anche nella sua attuale versione la norma ribadisce tuttavia che “in sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001”.
Regolata la fase di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, la legge n. 443 del 2001, al comma 2, conferisce al Governo la delega ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1”, dettando, alle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2, i principî e i criteri direttivi per l’esercizio del potere legislativo delegato. Questi ultimi investono molteplici aspetti di carattere procedimentale: sono fissati i moduli procedurali per addivenire all’approvazione dei progetti, preliminari e definitivi, delle opere [lettere b) e c)], dovendo risultare, quelli preliminari, “comprensivi di quanto necessario per la localizzazione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i Comuni interessati” [lettera b)]; sono individuati i modelli di finanziamento [tecnica di finanza di progetto: lettera a)], di affidamento [contraente generale o concessionario: in particolare lettere e) ed f)] e di aggiudicazione [lettere g) e h)], ed è predisposta la relativa disciplina, anche in deroga alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, ma nella prescritta osservanza della normativa comunitaria.
L’assetto
procedimentale così sinteticamente descritto -
che trova ulteriore svolgimento in numerose altre disposizioni della legge n.
443 del 2001, tra le quali quelle sulla disciplina edilizia (commi da 6 a 12 e
comma 14), anch’esse impugnate -
si completa con il comma 3-bis,
introdotto dal comma 6 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, il quale
prevede una procedura di approvazione dei progetti definitivi
“alternativa” a quella stabilita dal precedente comma 2, demandata ad un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previa deliberazione del
CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate,
sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni
parlamentari.
2.1. ¾ Questa Corte non è chiamata, nella odierna sede, a giudicare se le singole opere inserite nel programma meritino di essere considerate strategiche, se sia corretta la loro definizione come interventi di preminente interesse nazionale o se con tali qualificazioni siano lese competenze legislative delle Regioni. Simili interrogativi potranno eventualmente porsi nel caso di impugnazione della deliberazione approvativa del programma, che non ha natura legislativa. In questa sede si tratta solo di accertare se il complesso iter procedimentale prefigurato dal legislatore statale sia ex se invasivo delle attribuzioni regionali; si deve cioè appurare se il legislatore nazionale abbia titolo per assumere e regolare l’esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente.
Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali.
In questo quadro, limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principî nelle materie di potestà concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause)]. Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica. Un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un’attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto.
2.2. ¾ Una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù dell’art. 118, primo comma, la legge può attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa è anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta da chiarire che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il principio dell’intesa consegue alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarietà, che si discosta in parte da quella già conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie.
Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell’adeguatezza. Si comprende infatti come tali principî non possano operare quali mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione. E si comprende anche come essi non possano assumere la funzione che aveva un tempo l’interesse nazionale, la cui sola allegazione non è ora sufficiente a giustificare l’esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all’art. 117 Cost. Nel nuovo Titolo V l’equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l’erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico, giacché l’interesse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa regionale.
Ciò impone di annettere ai principî di sussidiarietà e adeguatezza una valenza squisitamente procedimentale, poiché l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà.
2.3. ¾ La disciplina contenuta nella legge n. 443 del 2001, come quella recata dal decreto legislativo n. 190 del 2002, investe solo materie di potestà statale esclusiva o concorrente ed è quindi estranea alla materia del contendere la questione se i principî di sussidiarietà e adeguatezza permettano di attrarre allo Stato anche competenze legislative residuali delle Regioni. Ed è opportuno chiarire fin d’ora, anche per rendere più agevole il successivo argomentare della presente sentenza, che la mancata inclusione dei “lavori pubblici” nella elencazione dell’art. 117 Cost., diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti.
3. ¾ Alla stregua dei paradigmi individuati nei paragrafi che precedono, devono essere saggiate le censure che si appuntano sulla legge n. 443 del 2001, nella sua versione originaria ed in quella modificata dalla legge n. 166 del 2002.
3.1. ¾ Per primo deve essere esaminato il ricorso della Provincia autonoma di Trento, nel quale vengono censurati i commi da 1 a 4 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 sul parametro dell’art. 117 Cost. Il ricorso è proposto sulla premessa che le competenze provinciali fondate sullo statuto speciale non siano scalfite; sarebbero invece lese le attribuzioni spettanti alla Provincia ai sensi dell’art. 117 Cost., in virtù della clausola di favore contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, secondo la quale alle Regioni speciali e alle Province autonome, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, si applica la disciplina del nuovo titolo V nella parte in cui assicura forme di autonomia più ampie rispetto a quelle previste dagli statuti stessi. In particolare, il comma 5 del denunciato art. 1, nel fare salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, di cui agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione, lascerebbe indenni le attribuzioni di cui al d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, per il quale, per gli interventi concernenti le autostrade (art. 19), la viabilità, le linee ferroviarie e gli aerodromi (art. 20), lo Stato deve ottenere la previa intesa della Provincia. Del pari la posizione della Provincia risulterebbe garantita dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 e segnatamente dall’art. 4, che le riserva “la gestione amministrativa di ogni opera che lo statuto non assegni alla competenza statale”.
La Provincia, ponendo a base del proprio ricorso la violazione di competenze più ampie rispetto a quelle statutarie, che assume derivanti dall’art. 117 Cost., aveva l’onere di individuarle nel raffronto con le competenze statutarie, che, per sua stessa ammissione, sono fatte salve dalla legge oggetto di impugnazione. Ai fini di una corretta instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale la ricorrente non poteva quindi limitarsi al mero richiamo all’art. 117 Cost.
Il ricorso è pertanto inammissibile.
3.2. ¾ In via preliminare va dichiarato inammissibile il congiunto intervento ad adiuvandum dell’Associazione Italia Nostra-Onlus, di Legambiente-Onlus, dell’Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana avverso la legge n. 166 del 2002. Va qui ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale nei giudizi di legittimità costituzionale in via di azione non è ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è oggetto di contestazione (cfr., da ultimo, sentenze n. 49 del 2003, n. 533 e n. 510 del 2002, n. 382 del 1999).
4. ¾ Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano il comma 1 nella sua prima formulazione, lamentando anzitutto la violazione dell’art. 117 Cost., perché la relativa disciplina non sarebbe ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva statale; e del resto, argomentano le ricorrenti, non essendo più contemplata dall’art. 117 Cost. la materia dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non sarebbe possibile far riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse al fine di escludere la potestà legislativa regionale o provinciale.
Le predette ricorrenti sostengono poi che l’individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati dall’art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), ma la disposizione censurata, da un lato, detterebbe una disciplina di dettaglio e non di principio e quindi sarebbe comunque lesiva dell’autonomia legislativa regionale; dall’altro, escluderebbe le Regioni dal processo “codecisionale”, che dovrebbe essere garantito attraverso lo strumento dell’intesa.
La Regione Marche denuncia inoltre il medesimo comma 1 per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. sul rilievo che non sarebbero stati rispettati i principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza e che sarebbe stata lesa l’autonomia finanziaria regionale con l’attribuzione al Governo del compito di reperire tutti i finanziamenti.
La Regione Toscana, con distinto e successivo ricorso, impugna il comma 1 anche nella formulazione modificata dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002, ribadendo che la disposizione violerebbe l’art. 117 Cost., in quanto non troverebbe fondamento nella competenza legislativa statale esclusiva o concorrente; e in ogni caso, in quanto detterebbe una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa che precluderebbe alla Regione ogni possibilità di scelta. La ricorrente deduce altresì la violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., assumendo che, da un lato, non sarebbero stati rispettati i criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; dall’altro, le esigenze di esercizio unitario di cui parla l’art. 118 Cost. non autorizzerebbero una deroga al riparto della potestà legislativa posto dall’art. 117 Cost. Infine, sempre ad avviso della Regione Toscana, l’introduzione di un’intesa con le Regioni interessate e con la Conferenza unificata ai fini dell’individuazione delle grandi opere non consentirebbe di eliminare i prospettati dubbi di incostituzionalità, giacché l’intesa non garantirebbe una reale forma di coordinamento paritario, in assenza di meccanismi atti ad impedire che essa sia recessiva dinanzi al preminente potere dello Stato, che potrebbe procedere anche a fronte del motivato dissenso regionale.
4.1. ¾ Vanno scrutinate nel merito le censure che le Regioni sollevano avverso il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, anche quelle che ne investono l’originaria versione, dovendosi escludere che le sopravvenute modifiche recate dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002 abbiano determinato sul punto una cessazione della materie del contendere. Ciò in quanto proprio in base alla disposizione originaria è stato approvato il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi da parte del CIPE (con delibera n. 121 del 21 dicembre 2001) ed è a tale programma che fa riferimento anche il comma 1 nel testo novellato dall’art. 13 della legge n. 166 del 2002, come può desumersi chiaramente dal fatto che la norma, riprendendo in parte la disposizione anteriore, stabilisce che “in sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001”.
Tutte le censure sono infondate e per dar conto di ciò è bene esaminare preliminarmente l’impugnazione proposta dalla sola Regione Toscana avverso il comma 1, nel testo sostituito dalla legge 1° agosto 2002, n. 166.
Quando si intendano attrarre allo Stato funzioni amministrative in sussidiarietà, di regola il titolo del legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita perché la sussidiarietà deroga al normale riparto delle competenze stabilito nell’art. 117 Cost. Tuttavia, nel caso presente, l’assenza di un richiamo espresso all’art. 118, primo comma, non fa sorgere alcun dubbio circa l’oggettivo significato costituzionale dell’operazione compiuta dal legislatore: non di lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza, che soli possono consentire quella attrazione di cui si è detto. Predisporre un programma di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi è attività che non mette capo ad attribuzioni legislative esclusive dello Stato, ma che può coinvolgere anche potestà legislative concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale dell’energia, etc.). Per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina. Nella specie l’intesa è prevista e ad essa è da ritenersi che il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia stessa della regolamentazione delle infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel programma di cui all’impugnato comma 1 dell’art. 1. Nel congegno sottostante all’art. 118, l’attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non è giustificabile solo invocando l’interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma è necessario un procedimento attraverso il quale l’istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi commisurata all’esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben può darsi, infatti, che nell’articolarsi del procedimento, al riscontro concreto delle caratteristiche oggettive dell’opera e dell’organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per essere realizzata, la pretesa statale di attrarre in sussidiarietà le funzioni amministrative ad essa relative risulti vanificata, perché l’interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere interamente soddisfatto dalla Regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacità di svolgere in tutto o in parte la funzione.
L’esigenza
costituzionale che la sussidiarietà non operi come aprioristica modificazione
delle competenze regionali in astratto, ma come metodo per l’allocazione di
funzioni a livello più adeguato, risulta dunque appagata dalla disposizione
impugnata nella sua attuale formulazione.
Chiarito che la Costituzione impone, a salvaguardia delle competenze regionali, che una intesa vi sia, va altresì soggiunto che non è rilevante se essa preceda l’individuazione delle infrastrutture ovvero sia successiva ad una unilaterale attività del Governo. Se dunque tale attività sia stata già posta in essere, essa non vincola la Regione fin quando l’intesa non venga raggiunta.
In questo senso sono quindi da respingere anche le censure che le ricorrenti indirizzano contro il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, nella versione anteriore alla modifica recata dalla legge n. 166 del 2002, per il fatto che in essa era previsto che le Regioni fossero solo sentite singolarmente ed in Conferenza unificata e non veniva invece esplicitamente sancito il principio dell’intesa. L’interpretazione coerente con il sistema dei rapporti Stato-Regioni affermato nel nuovo Titolo V impone infatti di negare efficacia vincolante a quel programma su cui le Regioni interessate non abbiano raggiunto un’intesa per la parte che le riguarda, come nel caso della deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121.
5. ¾ Tutte le Regioni ricorrenti impugnano il comma 2 dell’art. 1, che detta - dalla lettera a) alla lettera o) - i principî ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo è chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1”.
Con
analoghe censure, che evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., e, per la
Regione Marche, anche gli artt. 118 e 119 Cost., si deduce anzitutto che la
prevista normativa derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici n. 109
del 1994 violerebbe la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia
di appalti e lavori pubblici.
Si sostiene inoltre che le competenze regionali sarebbero ugualmente violate anche se si ricadesse nell’ambito della potestà legislativa concorrente, perché il denunciato comma 2 detterebbe una disciplina compiuta e di dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione regionale.
Le
censure sono genericamente formulate e quindi inammissibili. Per comprenderlo
è sufficiente la ricognizione del contenuto delle disposizioni denunciate.
Il comma 2 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 ha ad oggetto la delega ad emanare uno o più decreti legislativi volti a definire il quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi individuati ai sensi del comma 1. Nell’esercizio della delega il Governo, autorizzato a riformare le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e l’autorizzazione integrata ambientale, nel rispetto dell’art. 2 della direttiva 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, e ad introdurre un regime speciale anche derogatorio di numerose disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109, che non siano necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie, è tenuto a rispettare i principî e criteri direttivi fissati nelle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2.
Come già detto in precedenza, l’indirizzo imposto al legislatore delegato investe una molteplicità di aspetti a carattere procedimentale e muove dal modello di finanziamento delle opere, con il concorso del capitale privato, attraverso la disciplina della tecnica di finanza di progetto [lettera a)] per finanziare e realizzare le infrastrutture e gli insediamenti di cui al comma 1.
La delega autorizza poi il Governo a definire i moduli procedurali sostitutivi di quelli previsti per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni specie, avuto riguardo anche alla durata delle procedure per l’approvazione dei progetti preliminari, “comprensivi di quanto necessario per la localizzazione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i Comuni interessati, e, ove prevista, della VIA”, nonché a prefigurare le procedure necessarie per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e per l’approvazione del progetto definitivo, con previsione di termini perentori per la risoluzione delle interferenze con servizi pubblici e privati e di responsabilità patrimoniali in caso di mancata tempestiva risoluzione [lettera b)].
Viene quindi impartita al Governo la direttiva di attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, il compito di valutare le proposte dei promotori, di approvare il progetto preliminare e quello definitivo, di vigilare sull’esecuzione dei progetti approvati, adottando i provvedimenti concessori ed autorizzatori necessari, comprensivi della localizzazione dell’opera e, ove prevista, della VIA istruita dal competente Ministero. Si prescrive inoltre che vengano affidati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti compiti di istruttoria e di formulazione di proposte e quello di assicurare il supporto necessario per l’attività del CIPE, eventualmente tramite un’apposita struttura tecnica di advisor e di commissari straordinari [lettera c)].
La delega prosegue autorizzando la modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi e dettando i criteri ispiratori per il suo funzionamento [lettera d)].
Vengono quindi individuati i modelli di affidamento e di aggiudicazione concernenti la realizzazione delle opere di cui al comma 1, e prefigurata la cornice della rispettiva disciplina, anche in deroga alla legge n. 109 del 1994, ma si impone al Governo il rispetto della normativa comunitaria.
Si prevede inoltre che il legislatore delegato affidi la realizzazione delle infrastrutture strategiche ad un unico soggetto contraente generale o concessionario [lettera e)] e si dettano i criteri che devono presiedere alla disciplina dell’affidamento a contraente generale, con riferimento all’art. 1 della direttiva 93/37/CEE [lettera f)].
Quanto poi al soggetto aggiudicatore, si stabilisce l’obbligo, nel caso in cui l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici, di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica e di scelta dei fornitori di beni o servizi, “ma con soggezione ad un regime derogatorio rispetto alla citata legge n. 109 del 1994 per tutti gli aspetti di essa non aventi necessaria rilevanza comunitaria” [lettera g)]. Al tempo stesso si autorizza, nel rispetto della normativa comunitaria ed al fine di favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici, l’introduzione di specifiche deroghe alla vigente disciplina in materia di aggiudicazione di lavori pubblici e di realizzazione degli stessi, indicando i criteri per regolamentare l’attività del contraente generale e la costituzione di società di progetto [lettera h)].
La delega investe ancora i profili concernenti l’individuazione di misure adeguate per valutare il regolare assolvimento degli obblighi assunti dal contraente generale [lettera i)], la previsione, nel caso di concessione di opera pubblica unita a gestione della stessa, di appositi meccanismi di corresponsione del prezzo al concessionario, nonché di fissazione della durata della concessione medesima [lettera l)], con il rispetto dei relativi piani finanziari [lettera m)].
La delega detta criteri anche in ordine alle forme di tutela risarcitoria susseguente alla stipula dei contratti di progettazione, appalto, concessione o affidamento a contraente generale, prescrivendo che debba essere esclusa la reintegrazione in forma specifica e ristretta la tutela cautelare, per tutti gli interessi patrimoniali, “al pagamento di una provvisionale” [lettera n)]. Infine si stabilisce che il Governo debba prevedere, per le procedure di collaudo delle opere, “termini perentori che consentano, ove richiesto da specifiche esigenze tecniche, il ricorso anche a strutture tecniche esterne di supporto alle commissioni di collaudo” [lettera o)].
Si è dunque in presenza di una disciplina particolarmente complessa che insiste su una pluralità di materie, tra loro intrecciate, ascrivibili non solo alla potestà legislativa concorrente ma anche a quella esclusiva dello Stato (ad esempio la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema). In un quadro normativo siffatto, le censure mosse dalle ricorrenti non raggiungono il livello di specificità che si richiede ai fini di uno scrutinio di merito (in tal senso v. sentenza n. 384 del 1999), poiché nei motivi di ricorso non vi è neppure una sintetica esposizione delle ragioni per cui le disposizioni contenute nel comma 2 denunciato, singolarmente considerate, determinino una lesione delle attribuzioni regionali.
6. ¾ Sono invece sufficientemente circostanziate le questioni che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna sollevano sulle lettere g) ed n), del comma 2, sostenendone il contrasto con il “diritto europeo”. In particolare la lettera g), nella parte in cui circoscrive l’obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica solo “nel caso in cui l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici”, violerebbe la direttiva 93/37/CEE, alla quale non sarebbe conforme neppure nel caso del ricorso all’istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3 § l) o all’affidamento ad unico soggetto contraente generale.
La questione deve essere scrutinata nel merito, nel senso della non fondatezza, a prescindere dal problema più generale, che investe ora l’interpretazione dell’art. 117, primo comma, Cost., se ed entro quali limiti l’ipotesi di contrasto di una norma interna con l’ordinamento comunitario sia idonea a radicare la competenza del giudice delle leggi.
Nei giudizi di impugnazione deve essere tenuto fermo l’orientamento già espresso da questa Corte (sentenze n. 85 del 1999, n. 94 del 1995 e n. 384 del 1994), secondo il quale il valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa deve fare aggio su ogni altra considerazione soprattutto quando una esplicita clausola legislativa di salvaguardia del diritto comunitario renda, come nella specie, manifestamente insussistente il denunciato contrasto.
La lettera g) dell’art. 2, infatti, contiene una delega al Governo perché siano adottate procedure di aggiudicazione anche derogatorie rispetto alla legge n. 109 del 1994 quando non si tratti di opere realizzate prevalentemente con fondi pubblici, ma non autorizza il Governo a violare il diritto comunitario: al contrario si prevede che la deroga non debba riguardare gli aspetti aventi necessaria rilevanza comunitaria. Anche la disciplina dell’aggiudicazione in appalto di opere realizzate con prevalenti fondi privati dovrà quindi rispettare il diritto comunitario, qualunque ne sia il contenuto.
6.1. ¾ La lettera n), seconda frase, a sua volta, nella parte in cui restringe, per tutti gli “interessi patrimoniali”, la tutela cautelare al “pagamento di una provvisionale”, disattenderebbe la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), giacché ridurrebbe “le possibilità di tutela piena per i concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti”.
Anche in questo caso si può prescindere dal problema appena richiamato dei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto interno e dei limiti entro i quali di questi rapporti possa conoscere la Corte costituzionale. La questione è infatti inammissibile per difetto di interesse sotto un duplice profilo: in primo luogo, essa evoca un contrasto col diritto comunitario senza però dedurre l’esistenza di una lesione delle attribuzioni regionali; inoltre la disposizione denunciata investe la tutela giurisdizionale di terzi e non riguarda quindi materie di competenza legislativa delle Regioni.
6.2. ¾ La Regione Toscana denuncia infine la lettera c) del medesimo comma 2, come sostituito dall’art. 13, comma 5, della legge n. 166 del 2002, deducendo il contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. Essa non garantirebbe il rispetto delle attribuzioni delle Regioni, relegate ad un ruolo meramente consultivo nell’approvazione dei progetti, demandata al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate. Inoltre la ricorrente, premesso che il comma 3 dell’art. 13, nel sostituire il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443, dispone che anche le strutture concernenti la nautica da diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrutture strategiche, rileva che la previsione secondo cui la valutazione di impatto ambientale sulle stesse debba essere effettuata dal Ministro competente e non dalle Regioni violerebbe le attribuzioni di queste ultime in materia di porti e valorizzazione dei beni ambientali.
La questione non è fondata.
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la disposizione impugnata, nell’attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate, il compito di approvare i progetti preliminari e definitivi delle opere individuate nel programma di cui al comma 1, non circoscrive affatto il ruolo delle Regioni (o delle Province autonome) a quello meramente consultivo, giacché queste, attraverso i propri rappresentanti, sono a pieno titolo componenti dell’organo e partecipano direttamente alla formazione della sua volontà deliberativa, potendo quindi far valere efficacemente il proprio punto di vista. Occorre inoltre considerare che l’approvazione dei progetti deve essere comprensiva anche della localizzazione dell’opera, sulla quale, come già per la relativa individuazione, ai sensi del comma 1 dell’art. 1, è prevista l’intesa con la Regione o la Provincia autonoma interessata [lettera b) del medesimo comma 2].
Né infine può dirsi che la disposizione denunciata, come sostenuto dalla ricorrente, affidi al Ministro competente l’effettuazione della valutazione di impatto ambientale sulle opere inserite nel programma, considerato che dalla piana lettura della norma risulta che una siffatta valutazione è affidata al CIPE in composizione allargata ai rappresentanti regionali e provinciali, mentre al Ministro è lasciata unicamente la relativa fase istruttoria.
7. ¾ E’ fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata da tutte le ricorrenti – che investe l’art. 1, comma 3, della legge n. 443, nella parte in cui autorizza il Governo a integrare e modificare il regolamento di cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, per renderlo conforme a quest’ultima legge e ai decreti legislativi di cui al comma 2.
Che ai regolamenti governativi adottati in delegificazione fosse inibito disciplinare materie di competenza regionale era già stato affermato da questa Corte avendo riguardo al quadro costituzionale anteriore all’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Nelle sentenze n. 333 e n. 482 del 1995 e nella più recente sentenza n. 302 del 2003 l’argomento su cui è incentrata la ratio decidendi è che lo strumento della delegificazione non può operare in presenza di fonti tra le quali non vi siano rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze. Solo la diretta incompatibilità delle norme regionali con sopravvenuti principî o norme fondamentali della legge statale può infatti determinare l’abrogazione delle prime. La ragione giustificativa di tale orientamento si è, se possibile, rafforzata con la nuova formulazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., secondo il quale la potestà regolamentare è dello Stato, salva delega alle Regioni, nelle materie di legislazione esclusiva, mentre in ogni altra materia è delle Regioni. In un riparto così rigidamente strutturato, alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n. 22 del 2003); e neppure i principî di sussidiarietà e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario. Quei principî, lo si è già rilevato, non privano di contenuto precettivo l’art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi sopra evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicità intesi ad attenuare la rigidità nel riparto di funzioni legislative ivi delineato. Non può quindi essere loro riconosciuta l’attitudine a vanificare la collocazione sistematica delle fonti conferendo primarietà ad atti che possiedono lo statuto giuridico di fonti secondarie e a degradare le fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti statali o comunque a questi condizionate. Se quindi, come già chiarito, alla legge statale è consentita l’organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarietà, va precisato che la legge stessa non può spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminando i principî che orientino l’esercizio della potestà regolamentare, circoscrivendone la discrezionalità.
8. ¾ E’ fondata pure la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001, introdotto dall’art. 13, comma 6, della legge n. 166 del 2002, proposta dalla Regione Toscana lamentando la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., per il fatto che alle Regioni sarebbe stato riservato un ruolo meramente consultivo nella fase di approvazione dei progetti definitivi delle opere individuate nel programma governativo.
La disposizione denunciata consente che tale approvazione, in alternativa alle procedure di cui al comma 2, avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Per questa procedura alternativa è previsto che il decreto del Presidente del Consiglio sia adottato previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
Dalla degradazione della posizione del CIPE da organo di amministrazione attiva (nel procedimento ordinario) ad organo che svolge funzioni preparatorie (nel procedimento “alternativo”) discende che la partecipazione in esso delle Regioni interessate non costituisce più una garanzia sufficiente, tanto più se si considera che non è previsto, nel procedimento alternativo, alcun ruolo delle Regioni interessate nella fase preordinata al superamento del loro eventuale dissenso.
9.
¾
Tutte le Regioni impugnano il comma 4 dell’art. 1, in riferimento all’art.
117 e, limitatamente al ricorso della Regione Marche, anche agli artt. 118 e
119 Cost.
La disposizione contiene una delega al Governo ad emanare, nel rispetto dei principî e dei criteri direttivi di cui al comma 2, previo parere favorevole del CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, sentite la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le competenti commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti l’approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate secondo quanto previsto al comma 1.
Le
impugnazioni delle ricorrenti sono svolte molto succintamente e si limitano ad
operare un mero rinvio agli argomenti sviluppati in relazione a disposizioni
di diverso contenuto senza ulteriori precisazioni, se non quella che si
verserebbe in materia di potestà legislativa residuale sulla quale lo Stato
sarebbe radicalmente privo di competenza. Anche il denunciato comma 4
dell’art. 1, come le precedenti disposizioni, riguarda però materie di
competenza concorrente o esclusiva dello Stato e non investe potestà
residuali. Né tra queste ultime, per le ragioni già esposte, possono
ritenersi compresi i lavori pubblici. Le impugnazioni vanno pertanto
rigettate.
10. ¾ Il motivo di ricorso proposto dalla Regione Marche contro l’art. 1, comma 5, della legge n. 443 del 2001, a mente del quale, ai fini della presente legge, “sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome”, non ha una sua autonoma consistenza ma deve essere interpretato come argomento teso a corroborare le censure svolte negli altri motivi di ricorso, sulle quali si è appena deciso.
11. ¾ Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano i commi da 6 a 12 e il comma 14 dell’art. 1, che disciplinano, nel loro complesso, il regime degli interventi edilizi con disposizioni il cui contenuto conviene subito illustrare.
Il comma 6 prevede che, per determinati interventi, in alternativa a concessioni ed autorizzazioni edilizie, l’interessato possa avvalersi della denuncia di inizio attività (DIA). L’alternativa riguarda in particolare: a) gli interventi edilizi minori, di cui all’art. 4, comma 7, del decreto-legge n. 398 del 1993 (convertito nella legge n. 493 del 1993); b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma; c) gli interventi ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal consiglio comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; d) i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli indicati alla lettera c), ma recanti analoghe previsioni di dettaglio. Rimane ferma la disciplina previgente quanto all’obbligo di versare il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione (comma 7).
Il comma 8 stabilisce che la tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale per la realizzazione degli interventi di cui al comma 6 sia subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle disposizioni di legge vigenti e in particolare dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.
Il comma 9 e il comma 10 contengono la disciplina relativa al caso in cui le opere da realizzare riguardino immobili soggetti a un vincolo la cui tutela competa, anche in via di delega, all’amministrazione comunale (comma 9) ovvero soggetti a un vincolo la cui tutela spetti ad amministrazioni diverse da quella comunale (comma 10). Nel primo caso è previsto che il termine per la presentazione della denuncia di inizio attività, di cui all’art. 4, comma 11, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Nel secondo caso si prevede che, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e il termine di venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio dell’attività decorre dall’esito della conferenza. Tanto nel caso in cui l’atto dell’autorità comunale preposta alla tutela del vincolo non sia favorevole, quanto nel caso di esito non favorevole della conferenza, la denuncia di inizio attività è priva di effetti.
Il comma 11, a sua volta, abroga il comma 8 dell’art. 4 del decreto-legge n. 398 del 1993, il quale prevedeva la possibilità di procedere ad attività edilizie minori sulla base di denuncia inizio attività a condizione che gli immobili non fossero assoggettati alle disposizioni di cui alla legge n. 1089 del 1939, alla legge n. 1497 del 1939, alla legge n. 394 del 1991, ovvero a disposizioni immediatamente operative dei piani aventi la valenza di cui all’art. 1-bis del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, o dalla legge n. 183 del 1989, o che non fossero comunque assoggettati dagli strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico artistiche, storico architettoniche e storico testimoniali.
In base al comma 12 le disposizioni di cui al comma 6 “si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge” e “le Regioni a statuto ordinario, con legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia”. Con il comma 14 viene delegato il Governo ad emanare, entro il 30 giugno 2003, un decreto legislativo volto a introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all’art. 7 della legge n. 50 del 1999, e successive modificazioni, le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13 (quest’ultima disposizione, non denunciata, fa salva la potestà legislativa esclusiva delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano).
E’ importante rilevare che il comma 12 è stato modificato dall’art. 13, comma 7, della legge n. 166 del 2002, il quale ha aggiunto alla versione originaria le seguenti disposizioni: “salvo che le leggi regionali pubblicate prima della data di entrata in vigore della presente legge siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici. Le Regioni a statuto ordinario possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo precedente”.
Tutte le disposizioni il cui contenuto si è ora esposto hanno portata generale e prescindono dalla disciplina procedimentale concernente le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, della quale non costituiscono ulteriore svolgimento.
Contro di esse si orientano le censure delle ricorrenti, le quali assumono che lo Stato avrebbe violato la competenza residuale delle Regioni in materia edilizia e, subordinatamente, avrebbe leso, con una disciplina di dettaglio, la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio.
Nelle memorie presentate in prossimità dell’udienza, la Regione Toscana, in considerazione della sopravvenuta modifica del comma 12, ha espressamente dichiarato di rinunciare ai motivi di ricorso concernenti i commi da 6 a 12 ed il comma 14. Insistono invece nelle censure le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, sicché questa Corte deve pronunciarsi su di esse.
11.1. ¾ E’ innanzitutto da escludersi che la materia regolata dalle disposizioni censurate sia oggi da ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all’urbanistica che, in base all’art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola “urbanistica” non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo comma: essa fa parte del “governo del territorio”. Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto.
11.2. ¾ Chiarito che si versa in materia di competenza concorrente, resta da chiedersi se nelle disposizioni denunciate vi siano aspetti eccedenti la formulazione di un principio di legislazione. Un accurato esame della disciplina poc’anzi richiamata conduce a una risposta negativa. Non vi è nulla in essa che non sia riconducibile ad una enunciazione di principio e che possa essere qualificato normativa di dettaglio.
Giova premettere che i principî della legislazione statale in materia di titoli abilitativi per gli interventi edilizi non sono rimasti, nel tempo, immutati, ma hanno subito sensibili evoluzioni.
Dal generale e indifferenziato onere della concessione edilizia (legge n. 10 del 1977) si è passati all’autorizzazione per gli interventi di manutenzione straordinaria e fra questi al silenzio-assenso quando non siano coinvolti edifici soggetti a disciplina vincolistica (legge n. 457 del 1978). Il silenzio-assenso è stato successivamente ampliato ed esteso e fatto oggetto di specifiche previsioni procedurali (legge n. 94 del 1982, che ha convertito il decreto-legge n. 9 del 1982). Alle Regioni è stato poi attribuito (legge n. 47 del 1985) il potere di semplificare le procedure ed accelerare l’esame delle domande di concessione e di autorizzazione edilizia e di consentire, per le sole opere interne agli edifici, l’asseverazione del rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti, secondo un modello che, in qualche modo, anticipa l’istituto della denuncia di inizio attività. Ed ancora (decreto-legge n. 398 del 1993, convertito nella legge n. 493 del 1993) sono state nuovamente regolate le procedure per il rilascio della concessione edilizia, eliminando il silenzio-assenso e prevedendo in sua vece la nomina di un commissario regionale ad acta con il compito di adottare il provvedimento nei casi di inerzia del Comune. Si è giunti quindi alla disciplina sostanziale e procedurale della denuncia di inizio attività (DIA) per taluni enumerati interventi edilizi, imponendo alle Regioni l’obbligo di adeguare la propria legislazione ai nuovi principî (legge n. 662 del 1996).
E’ dunque lungo questa direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principî della materia, che si muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può procedere alla realizzazione delle opere con denuncia di inizio attività a scelta dell’interessato integrano il proprium del nuovo principio dell’urbanistica: si tratta infatti, come agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi di non rilevante entità o, comunque, di attività che si conformano a dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici. In definitiva, le norme impugnate perseguono il fine, che costituisce un principio dell’urbanistica, che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione.
Né può dirsi che le modificazioni introdotte nell’ultimo periodo del comma 12 dell’art. 1, e cioè l’attribuzione alle Regioni del potere di ampliare o ridurre le categorie di opere per le quali è prevista in principio la dichiarazione di inizio attività, abbiano comportato, nella disciplina contenuta nel comma 6, un mutamento di natura e l’abbiano trasformata in normativa di dettaglio. Vi è solo una maggiore flessibilità del principio della legislazione statale quanto alle categorie di opere a cui la denuncia di inizio attività può applicarsi. Resta come principio la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel nuovo testo unico n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale è la DIA, considerata procedura di semplificazione che non può mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo.
La materia del contendere in relazione ai commi 6 e 12 non è dunque cessata, come invece vorrebbe l’Avvocatura generale dello Stato, ma le censure che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna hanno tenute ferme nei confronti di queste disposizioni non possono essere accolte, giacché, anche dopo le sopravvenute modificazioni del comma 12, le disposizioni impugnate si limitano a porre principî e non costituiscono norme di dettaglio.
11.3. ¾ Del pari va respinta la censura relativa al comma 7, il quale, senza avere il contenuto di norma di dettaglio, si limita a reiterare l’obbligo dell’interessato di versare gli oneri di urbanizzazione commisurati al costo di costruzione anche quando il titolo abilitativo consista nella denuncia di inizio attività. L’onerosità del titolo abilitativo riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica “governo del territorio”.
11.4. ¾ Non sono fondate le questioni concernenti i commi da 8 a 11 dell’art. 1, per le quali sono svolti motivi di censura analoghi a quelli appena esaminati.
Seppure, infatti, non si fosse in presenza di una legislazione statale rientrante nell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, ecosistema e beni culturali, le disposizioni censurate non eccederebbero l’ambito della potestà legislativa statale nelle materie di competenza concorrente, e in particolare nella materia “governo del territorio”. In effetti esse, lungi dal porre una disciplina di dettaglio, costituiscono espressione di un principio della legislazione statale diverso da quello previgente, contenuto nell’art. 4, comma 8, del decreto-legge n. 398 del 1993 (che viene espressamente abrogato), secondo il quale può procedersi con denuncia di inizio attività anche alla realizzazione degli interventi edilizi di cui al comma 6 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 che riguardino aree o immobili sottoposti a vincolo. Il legislatore, stabilito tale nuovo principio, ha coordinato l’istituto della denuncia di inizio attività con le vigenti disposizioni che pongono vincoli, a tal fine ribadendo la indispensabilità che l’amministrazione preposta alla loro tutela esprima il proprio parere, la cui assenza priva di effetti la denuncia di inizio attività. In definitiva le disposizioni censurate si limitano a far salva la previgente normativa vincolistica, senza alterare il preesistente quadro delle relative competenze, anche delegate alle amministrazioni comunali, e senza attrarre allo Stato ulteriori competenze. Le attribuzioni regionali non sono pertanto lese.
11.5.
¾
Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi inducono a ritenere priva di
fondamento la censura che le ricorrenti muovono al comma 14, contenente la
delega al Governo ad emanare un decreto legislativo volto ad introdurre nel
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
di cui all’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 le modifiche strettamente
necessarie per adeguarlo alle disposizioni dei commi da 6 a 13. Si
sostiene dalle ricorrenti che la disposizione sia illegittima in quanto
sarebbe “il concetto stesso di testo unico che ripugna al riparto
costituzionale delle competenze” e ciò non soltanto per le materie
residuali regionali, ma anche per le materie di competenza concorrente, nelle
quali sulle Regioni grava soltanto il vincolo di conformarsi ai principî
della legislazione statale.
Le disposizioni impugnate – lo si è appena visto – non sono tuttavia ascrivibili a competenze residuali e hanno il contenuto di principî che le Regioni possono svolgere con proprie norme legislative. Inserire quei principî in un testo unico già vigente è dunque operazione che non lede alcuna attribuzione regionale.
12. ¾ La Regione Toscana ha impugnato anche i commi 1, 4 e 11 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002.
12.1. ¾ Il comma 4 inserisce, dopo il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, il “comma 1-bis”, il quale detta le indicazioni che deve contenere il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da inserire nel documento di programmazione economico-finanziaria. La ricorrente assume che la disposizione violerebbe gli artt. 117 e 118, primo comma, Cost. per le stesse identiche ragioni già poste a fondamento della censura svolta avverso il comma 3 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, che ha sostituito il comma 1 della citata legge n. 443.
Il motivo di ricorso è da respingersi sulla base delle stesse argomentazioni che hanno condotto a ritenere infondate le censure avverso il menzionato comma 1 dell’art. 1 nella versione vigente: la doglianza in esame non assume infatti alcuna autonomia rispetto a quella già scrutinata, con la quale, del resto, è prospettata congiuntamente.
12.2. ¾ Nei commi 1 e 11 dell’art. 13 della legge n. 166 sono individuati ed autorizzati i limiti di impegno di spesa quindicennali per la progettazione e realizzazione delle opere strategiche e di preminente interesse nazionale “individuate in apposito programma approvato” dal CIPE, prevedendo, tra l’altro, che le risorse autorizzate “integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili”. Il successivo comma 11 dispone i necessari stanziamenti di bilancio.
In ordine a tali disposizioni la Regione Toscana sostiene che esse, nel prevedere specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche approvate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto si riferirebbero al programma predisposto dal CIPE che si assume elaborato “in spregio alle competenze regionali”; sia con l’art. 119 Cost., perché inciderebbero sull’autonomia finanziaria delle Regioni garantita dalla Costituzione anche in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture di competenza regionale.
La censura va respinta per considerazioni analoghe a quelle già svolte nel punto 4.1. della presente pronuncia: in assenza dell’intesa con la Regione interessata i programmi sono inefficaci. Ne consegue che anche questa disposizione deve essere interpretata nel senso che i finanziamenti concernenti le infrastrutture e gli insediamenti produttivi individuati nel programma approvato dal CIPE potranno essere utilizzati per la realizzazione di quelle sole opere che siano state individuate mediante intesa tra Stato e Regioni o Province autonome interessate.
Quanto all’evocato parametro dell’art. 119 Cost., è sufficiente osservare che si tratta di finanziamenti statali individuati e stanziati in vista della realizzazione di un programma di opere che lo Stato assume, nei termini già chiariti, in base ai principî di sussidiarietà ed adeguatezza anche in considerazione degli oneri finanziari che esso comporta e non è pensabile che lo Stato possa esimersi dal reperire le risorse. Non è pertanto apprezzabile alcuna lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni.
13. ¾ Si tratta ora di esaminare i ricorsi proposti dalle Regioni Toscana e Marche e dalle Province autonome di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 della Costituzione, nonché agli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22 e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e relative norme di attuazione, avverso numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, attuativo della delega contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.
Specificamente la Toscana impugna gli artt. 1-11; 13; 15 e 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7; 17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli artt. 1-11; 13 e 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15.
14. ¾ Il ricorso della Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale oltre il termine previsto dall’art. 32, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. La Provincia, con apposita istanza, pur non disconoscendo il carattere perentorio del termine per il deposito, ritiene che possa trovare applicazione alla fattispecie la disciplina dell’errore scusabile, che, per il processo costituzionale, non è espressamente previsto. Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla Provincia autonoma il 5 novembre 2002. In subordine, la Provincia sollecita questa Corte a sollevare dinanzi a se stessa la questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui precludono l’applicazione di tale istituto, per violazione dell’art. 24, primo comma, Cost. e del principio di ragionevolezza.
Entrambe le richieste non possono essere accolte. Nei giudizi in via di azione va senz’altro esclusa l’applicabilità della disciplina dell’errore scusabile, così come è da escludersi che la Corte possa ritenere non manifestamente infondata una questione di legittimità proprio su quelle norme legislative che, regolando il processo costituzionale, sono intese a conferire ad esso il massimo di certezza e ad assicurare alle parti il corretto svolgimento del giudizio.
Il ricorso della Provincia autonoma di Trento deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
15. ¾ L’art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l’approvazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, individuati dall’apposito programma, è impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano. Preliminarmente la ricorrente lamenta che la disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare unicamente le competenze riconosciutele dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e maggiori competenze derivanti dagli artt. 117 e 118, applicabili alle Regioni ad autonomia differenziata in virtù della clausola di estensione contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e comunque che violerebbe l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Tale disposizione definisce le condizioni dell’adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’immediata applicabilità nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello Stato nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma è attribuita delega di funzioni statali».
La pretesa avanzata dalla Provincia di Bolzano è quella di rimanere indenne dall’obbligo di applicazione immediata nel proprio territorio della disciplina contenuta nella disposizione impugnata. Un’applicazione immediata, tuttavia, è esclusa dallo stesso art. 1, il quale, per un verso, fa salve le competenze delle Province autonome e delle Regioni a statuto speciale; per altro verso subordina l’applicazione della disciplina a una previa intesa, alla quale la stessa Provincia autonoma, proprio perché titolare di competenze statutarie che le sono fatte salve, può sottrarsi. In questi termini la censura è infondata.
Anche competenze ulteriori rispetto a quelle statutariamente previste, che possano derivare alla Provincia di Bolzano dalla clausola contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, soggiacciono ai medesimi limiti propri delle funzioni corrispondenti delle Regioni ordinarie; e se per queste è l’intesa, quale limite immanente all’operare del principio di sussidiarietà, ad assicurare la salvaguardia delle relative attribuzioni, un identico modulo collaborativo deve agire anche nei confronti della Provincia di Bolzano.
Per le stesse ragioni va respinta la censura svolta dalla Provincia di Bolzano, sempre in riferimento al parametro dell’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, nei confronti dell’art. 13, comma 5, il quale stabilisce che l’approvazione del CIPE, adottata a maggioranza dei componenti con l’intesa dei presidenti delle Regioni, sostituisce, anche a fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autorizzazione, approvazione, parere e nulla osta comunque denominato, costituisce dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere e consente la realizzazione e l’esercizio delle infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento energetico e di tutte le attività previste nel progetto approvato.
16. ¾ Le Regioni Marche e Toscana impugnano l’art. 1, comma 5, secondo il quale le Regioni, le province, i comuni, le città metropolitane applicano, per le proprie attività contrattuali ed organizzative relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse dall’approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle infrastrutture (comma 3), le norme del presente decreto legislativo «fino alla entrata in vigore di una diversa norma regionale, (…) per tutte le materie di legislazione concorrente». Si denuncia la lesione dell’art. 117 della Costituzione poiché in materie di competenza concorrente sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio.
Non può negarsi che l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell’art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell’art. 118, comma primo, che consente l’attrazione allo Stato, per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative, come si è già avuto modo di precisare. La disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività.
Del resto il principio di cedevolezza affermato dall’impugnato art. 1, comma 5, opera a condizione che tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome interessate sia stata raggiunta l’intesa di cui al comma 1, nella quale si siano concordemente qualificate le opere in cui l’interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale e si sia stabilito in che termini e secondo quali modalità le Regioni e le Province autonome partecipano alle attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio. Si aggiunga che, a ulteriore rafforzamento delle garanzie poste a favore delle Regioni, l’intesa non può essere in contrasto con le normative vigenti, anche regionali, o con le eventuali leggi regionali emanate allo scopo.
17. ¾ L’art. 1, comma 7, lettera e), definisce opere per le quali l’interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…) non aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più Regioni o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale». La Regione Toscana lamenta la violazione dell’art. 76 Cost., giacché la legge n. 443 del 2001 non autorizzerebbe il Governo a porre un regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale.
In realtà l’art. 1 del decreto legislativo n. 190 fa riferimento a infrastrutture pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici e «di preminente interesse nazionale» e non parla mai di opere di interesse regionale, ma solo di opere nelle quali con il “preminente interesse nazionale”, che permane in posizione di prevalenza, concorre l’interesse della Regione. Opere di interesse esclusivamente regionale, in altri termini, non sono oggetto della disciplina impugnata.
Non è pertanto ravvisabile nella disposizione denunciata alcun eccesso di delega.
17.1. ¾ La stessa Regione Toscana, la Regione Marche e la Provincia di Bolzano assumono poi che l’art. 1 comma 7, lettera e), violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 Cost., poiché la disposizione escluderebbe la concorrenza dell’interesse regionale con il preminente interesse nazionale in relazione ad opere aventi carattere interregionale o internazionale, mentre il solo fatto della localizzazione di una parte dell’opera sul territorio di una Regione implicherebbe il coinvolgimento di un interesse regionale e la conseguente legittimazione della Regione interessata all’esercizio nel proprio territorio delle competenze legislative, regolamentari e amministrative ad essa riconosciute dalla Costituzione.
Anche questa censura deve essere respinta.
Le ricorrenti muovono dalla erronea premessa che per le opere di interesse interregionale sia esclusa ogni forma di coinvolgimento delle Regioni interessate. Al contrario deve essere chiarito che l’intesa generale di cui al primo comma dell’art. 1 del decreto legislativo ha ad oggetto, fra l’altro, la qualificazione delle opere e dunque la stessa classificazione della infrastruttura come opera di interesse interregionale deve ottenere l’assenso regionale.
Chiarito che il decreto legislativo n. 190 non autorizza una qualificazione unilaterale del livello di interesse dell’opera e ribadito che anche la classificazione della stessa deve formare oggetto di un’intesa, non può dirsi scalfita la peculiare garanzia riconosciuta alla Provincia di Bolzano dalle norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1974, le quali richiedono appunto un’intesa fra Ministro dei lavori pubblici e Presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano per «i piani pluriennali di viabilità e i piani triennali per la gestione e l’incremento della rete stradale» (art. 19); e stabiliscono che «gli interventi di spettanza dello Stato in materia di viabilità, linee ferroviarie e aerodromi, anche se realizzati a mezzo di aziende autonome, sono effettuati previa intesa con la Provincia interessata» (art. 20).
18. ¾ L’art. 2, comma 1, stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «promuove le attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e delle Province autonome interessate con oneri a proprio carico, le attività di supporto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle infrastrutture».
Secondo la prospettazione della Provincia autonoma di Bolzano questa disposizione violerebbe l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il quale pone il principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative, nonché l’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale dispone che «nelle materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative (…) diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le norme di attuazione, salvi gli interventi richiesti ai sensi dell’art. 22 dello statuto».
La ricorrente presuppone che alcune delle materie su cui insistono i compiti tecnici e amministrativi conferiti al Ministero sarebbero di competenza legislativa (e quindi amministrativa) provinciale, ma omette di considerare che tra gli oggetti riconducibili alla propria competenza rientrano solo opere o lavori pubblici di interesse provinciale, ai quali il decreto legislativo n. 190 non è applicabile. Quando invece l’opera trascende l’ambito di interesse della Provincia, allora si è al di fuori delle garanzie statutarie e le eventuali ulteriori competenze normative che essa intendesse trarre dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 in relazione alle infrastrutture di cui al decreto legislativo impugnato non potrebbero sottrarsi ai limiti che si fanno valere nei confronti delle Regioni ordinarie, ossia, nella specie, alla possibilità, per lo Stato, di far agire il principio di sussidiarietà attraendo e regolando funzioni amministrative. Il parallelismo invocato dalla ricorrente opera, pertanto, unicamente nell’ambito provinciale e con riferimento alle competenze statutarie, essendo superato dall’applicabilità del principio di sussidiarietà per le competenze ulteriori.
18.1. ¾ Per i motivi appena illustrati devono essere respinte anche tutte le censure che la Provincia di Bolzano prospetta, sempre sul parametro dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, con argomentazioni analoghe e che hanno ad oggetto gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; e 15, i quali prevedono procedimenti di approvazione che comportano l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano l’accertamento della compatibilità ambientale e sostituiscono ogni altra autorizzazione, approvazione e parere.
19. ¾ La Provincia autonoma di Bolzano impugna l’art. 2, commi 2, 3, 4 e 5, i quali, nel riservare al Ministero delle infrastrutture e trasporti la promozione dell’attività di progettazione, direzione ed esecuzione delle infrastrutture e il potere di assegnare le risorse integrative necessarie alle attività progettuali, violerebbero l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Quest’ultimo, nel terzo comma, prevede che «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della Provincia, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo Stato non possono disporre spese né concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell’ambito del territorio regionale o provinciale”. Tale disposizione, secondo la ricorrente imporrebbe la diretta assegnazione dei fondi alle Province autonome di Trento e Bolzano e non ai soggetti aggiudicatori.
Il motivo di ricorso va respinto per ragioni analoghe a quelle poc’anzi esposte, giacché alle Province autonome non spetta in materia alcuna competenza statutaria, se non con riguardo alle opere di interesse provinciale. Non si applicano dunque i parametri che la ricorrente invoca.
20. ¾ Le Regioni Toscana e Marche impugnano l’art. 2, comma 5, il quale prevede che per la nomina di commissari straordinari incaricati di seguire l’andamento delle opere aventi carattere interregionale o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti delle Regioni interessate. Le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, che, a loro giudizio, imporrebbe il coinvolgimento della Regione nella forma dell’intesa.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata, infatti, prevede una forma di vigilanza sull’esercizio di funzioni che, in quanto assunte per sussidiarietà, sono qualificabili come statali, e non vi è alcuna prescrizione costituzionale dalla quale possa desumersi che il livello di collaborazione regionale debba consistere in una vera e propria intesa, anziché, come è previsto per le opere interregionali e internazionali, nella audizione dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome in sede di nomina del commissario straordinario.
21. ¾ Le Regioni Toscana e Marche impugnano l’art. 2, comma 7, nella parte in cui consente al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e trasporti, sentiti, per le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatori regionali, i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, di abilitare i Commissari straordinari ad adottare, con poteri derogatori della normativa vigente e con le modalità e i poteri di cui all’art. 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni nella legge 23 maggio 1997, n. 135, i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei soggetti competenti. Se ne denuncia il contrasto con gli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione.
Va innanzitutto premesso che le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatori regionali sono quelle in relazione alle quali, nelle intese previste dal comma 1 dell’art.1 del decreto legislativo n. 190, si è riconosciuto che l’interesse regionale concorre con un interesse statale preminente ed è proprio questo riconoscimento a giustificare l’esercizio della funzione amministrativa da parte dello Stato. Ad evitare che le esigenze unitarie sottostanti alla realizzazione di tali opere possano restare insoddisfatte a causa dell’inerzia del soggetto aggiudicatore regionale, allo Stato sono conferiti poteri sollecitatori che peraltro devono essere esercitati seguendo un percorso procedimentale che non priva Regioni e Province autonome delle garanzie connesse alla titolarità di un interesse concorrente con quello statale. E’ infatti previsto che i commissari straordinari agiscano con le modalità e i poteri di cui al citato art. 13 del decreto-legge n. 67 del 1997, e il comma 4 di tale articolo, che deve essere ritenuto applicabile alla fattispecie, attribuisce al Presidente della Regione (e, in questo caso, per opere ricadenti nell’ambito della Provincia autonoma, al Presidente della Provincia) il potere di sospendere i provvedimenti adottati dal commissario straordinario e anche di provvedere diversamente, entro 15 giorni dalla loro comunicazione.
In questi termini, la censura è da respingere.
Non può essere condivisa neppure la prospettazione della Regione Toscana, secondo la quale alle ipotesi di inerzia regionale dovrebbe ovviarsi ai sensi dell’art. 120 Cost., per la cui applicazione mancherebbero, nella specie, i presupposti. Occorre qui tenere ben distinte le funzioni amministrative che lo Stato, per ragioni di sussidiarietà e adeguatezza, può assumere e al tempo stesso organizzare e regolare con legge, dalle funzioni che spettano alle Regioni e per le quali lo Stato, non ricorrendo i presupposti per la loro assunzione in sussidiarietà, eserciti poteri in via sostitutiva. Nel primo caso, quando si applichi il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., quelle stesse esigenze unitarie che giustificano l’attrazione della funzione amministrativa per sussidiarietà consentono di conservare in capo allo Stato poteri acceleratori da esercitare nei confronti degli organi della Regione che restino inerti. In breve, la già avvenuta assunzione di una funzione amministrativa in via sussidiaria legittima l’intervento sollecitatorio diretto a vincere l’inerzia regionale. Nella fattispecie di cui all’art. 120 Cost., invece, l’inerzia della Regione è il presupposto che legittima la sostituzione statale nell’esercizio di una competenza che è e resta propria dell’ente sostituito.
22. ¾ Le Regioni ricorrenti censurano nella sua interezza l’art. 3, che disciplina la procedura di approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture, le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e localizzazione, denunciandone il contrasto con l’art. 117 Cost., giacché detterebbe una disciplina di minuto dettaglio in relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale in materia di governo del territorio.
La censura è inammissibile, in quanto formulata in termini generici, senza specificare quali parti della disposizione censurata eccederebbero la potestà regolativa che pure non si disconosce allo Stato in materia.
23. ¾ L’art. 3, comma 5, il quale affida al CIPE l’approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell’intesa sulla localizzazione dell’opera, ma prevedendo che il medesimo progetto non sia sottoposto a conferenza di servizi, secondo la Regione Toscana sarebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., poiché non sarebbe conforme all’art. 1, comma 2, lettera d), della legge n. 443 del 2001, il quale autorizzava solo a modificare la disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla.
La censura non è fondata.
Il Governo, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera d), era delegato a riformare le procedure per la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione integrata ambientale, nell’osservanza di un principio-criterio direttivo molto circostanziato e così formulato: modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi con la previsione della facoltà, da parte di tutte le amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni comunque denominati, di proporre, in detta conferenza, nel termine perentorio di novanta giorni, prescrizioni e varianti migliorative che non modificano la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere. Tale criterio, diversamente da quanto assume la ricorrente, era dettato con riferimento all’approvazione del progetto definitivo, non già di quello preliminare. Attuativo della lettera d), dunque, non è l’art. 3, comma 5, bensì l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 190, relativo all’approvazione del progetto definitivo, che in effetti prevede la conferenza di servizi e risulta pertanto, sotto il profilo denunciato, conforme alla delega.
24. ¾ Le Regioni ricorrenti denunciano i commi 6 e 9 dell’art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato possa procedere comunque all’approvazione del progetto preliminare relativo alle infrastrutture di carattere interregionale e internazionale superando il motivato dissenso delle Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo; 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero relegate in posizione di destinatarie passive di provvedimenti assunti a livello statale in materie che sono riconducibili alla potestà legislativa concorrente.
La questione non merita accoglimento.
Le procedure di superamento del dissenso regionale sono diversificate.
In una prima ipotesi [art. 3, comma 6, lettera a)] il dissenso può essere manifestato sul progetto preliminare di un’opera che, in virtù di un’intesa fra lo Stato e la Regione o Provincia autonoma, è stata qualificata di carattere interregionale o internazionale. In questo caso il progetto preliminare è sottoposto al consiglio superiore dei lavori pubblici, alla cui attività istruttoria partecipano i rappresentanti delle Regioni. A tale fine il consiglio valuta i motivi del dissenso e la eventuale proposta alternativa che, nel rispetto della funzionalità dell’opera, la Regione o Provincia autonoma dissenziente avessero formulato all’atto del dissenso. Il parere del consiglio superiore dei lavori pubblici è rimesso al CIPE che, in forza dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 190, applicabile nella specie, è integrato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate. Se il dissenso regionale perdura anche in sede CIPE, il progetto è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Va in primo luogo rilevato che non si tratta qui di approvazione del progetto definitivo, ma solo di quello preliminare, e che le opere coinvolte non sono qualificate di carattere regionale. Risponde quindi allo statuto del principio di sussidiarietà e all’istanza unitaria che lo sorregge, che possano essere definite procedure di superamento del dissenso regionale, le quali dovranno comunque – come avviene nella specie – informarsi al principio di leale collaborazione, onde offrire alle Regioni la possibilità di rappresentare il loro punto di vista e di motivare la loro valutazione negativa sul progetto. Nessuna censura, in definitiva, può essere rivolta alla disciplina legislativa, salva la possibilità per la Regione dissenziente di impugnare la determinazione finale resa con decreto del Presidente della Repubblica ove essa leda il principio di leale collaborazione, sul quale deve essere modellato l’intero procedimento.
Nella seconda ipotesi [art. 3, comma 6, lettera b)] il dissenso si manifesta sul progetto preliminare relativo a infrastrutture strategiche classificate nell’intesa fra Stato e Regione come di preminente interesse nazionale o ad opere nelle quali il preminente interesse statale concorre con quello regionale. Il procedimento di superamento del dissenso delle Regioni è diversamente articolato: si provvede in questi casi a mezzo di un collegio tecnico costituito d’intesa fra il Ministero e la Regione interessata a una nuova valutazione del progetto preliminare. Ove permanga il dissenso, il Ministro delle infrastrutture e trasporti propone al CIPE, sempre d’intesa con la Regione, la sospensione dell’infrastruttura, in attesa di una nuova valutazione in sede di aggiornamento del programma oppure «l’avvio della procedura prevista in caso di dissenso sulle infrastrutture o insediamenti produttivi di carattere interregionale o internazionale». Il tenore letterale della disposizione porta a concludere che la necessità dell’intesa con la Regione si riferisca non solo alla proposta di sospensione del procedimento, ma anche alla proposta di avvio della procedura di cui alla lettera a) dell’articolo in esame. Si consentirebbe insomma alla Regione, nel caso di opere di interesse regionale concorrente con quello statale, di “bloccare” l’approvazione del progetto ad esse relativo, in attesa di una nuova valutazione in sede di aggiornamento del programma.
In questi termini, il motivo di ricorso in esame deve essere rigettato.
24.1. ¾ Per le ragioni appena esposte anche le censure relative agli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura dell’art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio, devono essere respinte, così come deve essere rigettata la censura rivolta dalle Regioni Toscana e Marche nei confronti dell’art. 13, che disciplina le procedure per la localizzazione, l’approvazione dei progetti, la VIA degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture private strategiche per l’approvvigionamento energetico, richiamando le procedure previste negli artt. 3 e 4 del decreto.
25. ¾ Devono essere dichiarate inammissibili le censure che le Regioni Toscana e Marche svolgono nei confronti degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che, in relazione alle infrastrutture e agli insediamenti produttivi qualificati come strategici, contengono un complesso insieme di innovazioni in materia di appalti e di concessioni di lavori pubblici. Se ne denuncia il contrasto con l’art. 117 Cost.
Ancor prima di esaminare nel merito la censura, che procede peraltro dalla erronea premessa che i lavori pubblici costituiscano una materia di esclusiva competenza regionale, si deve rilevare che essa è formulata in termini così generici da non consentire un corretto scrutinio di legittimità costituzionale sulle singole disposizioni. Nella congerie di norme contenute negli articoli impugnati, fatte simultaneamente e indistintamente oggetto di censura, discernere o selezionare i profili di competenza statale potenzialmente interferenti con la disciplina regionale non è onere che possa essere addossato alla Corte, ma attiene al dovere di allegazione del ricorrente. Vero in ipotesi che sussistano profili di disciplina inerenti a competenze residuali, è infatti indubitabile la potenziale interferenza con esse di funzioni e compiti statali riconducibili alla potestà legislativa esclusiva o concorrente, quali la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la tutela della concorrenza, il governo del territorio.
26. ¾ L’art. 4, comma 5, è impugnato dalla Regione Toscana per la parte in cui prevede che l’approvazione del progetto definitivo, adottata con il voto favorevole della maggioranza dei componenti il CIPE, «sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l’esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato». La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 76 della Costituzione, per il contrasto con l’art. 1, comma 3-bis, della legge di delega n. 443 del 2001, come modificata dalla legge n. 166 del 2002, il quale porrebbe quale momento indefettibile del procedimento di approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
La censura è infondata.
A prescindere dal rilievo che l’art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001, introdotto dalla legge n. 166 del 2002, non figura espressamente tra i criteri e principi direttivi per l’esercizio della delega, e che è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con la presente pronuncia (v. § 8), deve osservarsi che l’art. 4, comma 5, costituisce attuazione del criterio di cui all’art. 1, comma 2, lettera c), della citata legge n. 443 del 2001, come modificato dall’art. 13, comma 6, della legge n. 166 del 2002, del quale si è in precedenza escluso il dedotto profilo di lesione delle competenze regionali (punto 6.2.). Il suindicato criterio prevedeva infatti che venisse affidata al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni o Province autonome interessate, l’approvazione del progetto preliminare e di quello definitivo. E che l’operatività della disposizione impugnata presupponga che l’approvazione del progetto definitivo sia effettuata dal CIPE in composizione allargata si ricava dall’art. 1, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 190, il quale chiarisce che «l’approvazione dei progetti delle infrastrutture» (quindi del progetto preliminare come di quello definitivo) «avviene d’intesa tra lo Stato e le Regioni nell’ambito del CIPE allargato ai presidenti delle regioni e delle province autonome interessate».
27. ¾ La Regione Toscana ha impugnato l’art. 8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle infrastrutture e trasporti pubblichi sul proprio sito informatico e, una volta istituito, sul sito informatico individuato dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 24 della legge 24 novembre 2000, n. 340, nonché nelle Gazzette Ufficiali italiana e comunitaria, la lista delle infrastrutture per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte da parte di promotori, precisando, per ciascuna infrastruttura, il termine (non inferiore a 4 mesi) entro il quale i promotori possono presentare le proposte e, se la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto aggiudicatore, valutata la stessa come di pubblico interesse, promuova la procedura di VIA e se necessario la procedura di localizzazione urbanistica.
La ricorrente lo censura per eccesso di delega, in quanto esso non chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella lista per sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra quelle già ricomprese nel programma di opere strategiche formato d’intesa con le Regioni ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001 o se al contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei promotori anche per opere non facenti parte del programma, e sulle quali nessuna intesa è stata raggiunta con le Regioni interessate.
L’interpretazione più piana e lineare della disposizione censurata è che debba trattarsi delle opere inserite nel programma di cui al comma 1, e sulle quali si sia raggiunta l’intesa. Non è quindi fondata la censura di violazione dell’art. 76 Cost. e neppure sussiste la violazione dell’art. 117, poiché il principio di sussidiarietà, come si è visto nel paragrafo 2.1, postula che allo Stato, una volta assunta la funzione amministrativa, competa anche di regolarla onde renderne l’esercizio raffrontabile a un parametro legale unitario.
28. ¾ Le Regioni Toscana, Marche e la Provincia autonoma di Bolzano, propongono questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost., anche dell’art. 15 del decreto legislativo n. 190.
La questione è fondata.
Il comma 1 di tale articolo attribuisce al Governo la potestà di integrare tutti i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, «assumendo come norme regolatrici il presente decreto legislativo, la legge di delega e le normative comunitarie in materia di appalti di lavori» e stabilisce che le norme regolamentari si applichino alle Regioni solo «limitatamente alle procedure di intesa per l’approvazione dei progetti e di aggiudicazione delle infrastrutture» e, per quanto non pertinente a queste procedure, si applichino a titolo suppletivo, «sino alla entrata in vigore di diversa normativa regionale». Il comma 2 del predetto articolo autorizza i regolamenti emanati nell’esercizio della potestà di cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia; il comma 3 puntualizza gli oggetti del regolamento autorizzato; il comma 4 stabilisce che, fino alla entrata in vigore dei regolamenti integrativi di cui al comma 1, si applica il d.P.R. n. 554 del 1999 in materia di lavori pubblici adottato dallo Stato ai sensi dell’art. 3 della legge n. 109 del 1994, in quanto compatibile con le norme della legge di delega e del decreto legislativo n. 190; e prosegue disponendo che i requisiti di qualificazione sono individuati e regolati dal bando e dagli atti di gara, nel rispetto delle previsioni del decreto legislativo n. 158 del 1995.
Dalle argomentazioni che sostengono il motivo di ricorso si evince che esso investe i primi quattro commi dell’art. 15, che riguardano appunto i regolamenti governativi autorizzati; ne è escluso invece il comma 5, che ha un oggetto diverso ed affatto autonomo, poiché concerne l’attività di monitoraggio tesa a prevenire e reprimere tentativi di infiltrazione mafiosa. Così accertata la portata delle censure, esse devono essere accolte, per le ragioni che sono state già esposte nel precedente paragrafo 7, dove si sono illustrati i motivi della pronuncia di accoglimento della questione riguardante l’art. 1, comma 3, della legge n. 443 del 2001, di cui l’impugnato art. 15 è attuativo.
29. ¾ Con un’unica, laconica censura la Regione Toscana impugna, con richiamo agli stessi motivi già svolti, l’art. 16, il quale contiene una pluralità di norme transitorie, diverse a seconda dello stadio di realizzazione dell’opera al momento di entrata in vigore del decreto legislativo n. 190. La regolamentazione è infatti differenziata a seconda che sia stato approvato il progetto definitivo o esecutivo (comma 1); abbia avuto luogo la valutazione di impatto ambientale sulla base di norme vigenti statali o regionali (comma 2); non si sia svolta alcuna attività e si versi in fase di prima applicazione della disciplina (comma 3); o ancora si tratti di procedimenti relativi agli insediamenti produttivi e alle infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento energetico in corso (comma 7, che regola anche il regime degli atti già compiuti). Ciascuna di queste ipotesi è assoggettata a una disciplina particolare e pertanto non è possibile indirizzare nei loro confronti una censura unitaria fondata su un solo motivo, per di più argomentato per relationem con riferimento ai “motivi sopra esposti”, alcuni dei quali, a loro volta, vengono dichiarati inammissibili per genericità con la presente pronuncia.
La censura è pertanto inammissibile per la sua genericità.
30. ¾ Le Regioni Marche e Toscana denunciano, in riferimento all’art. 117 Cost., gli artt. 17, 18, 19 e 20 nella parte in cui dettano una disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale di opere e infrastrutture che derogherebbe a quella regionale, cui dovrebbe riconoscersi la competenza a regolare gli strumenti attuativi della tutela dell’ambiente.
La censura non merita accoglimento.
Le ricorrenti muovono dalla premessa che la valutazione di impatto ambientale regolata dalle disposizioni censurate trovi applicazione anche nei confronti delle opere di esclusivo interesse regionale, ma così non è, poiché la sfera di applicazione del decreto legislativo n. 190 è limitata alle opere che, con intesa fra lo Stato e la Regione, vengono qualificate come di preminente interesse nazionale, con il quale concorre un interesse regionale.
Per le infrastrutture ed insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, invece, non vi è ragione di negare allo Stato l’esercizio della sua competenza, tanto più che la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema forma oggetto di una potestà esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), che è bensì interferente con una molteplicità di attribuzioni regionali, come questa Corte ha riconosciuto nelle sentenze n. 536 e n. 407 del 2002, ma che non può essere ristretta al punto di conferire alle Regioni, anziché allo Stato, ogni determinazione al riguardo.
Quando sia riconosciuto in sede di intesa un concorrente interesse regionale, la Regione può esprimere il suo punto di vista e compiere una sua previa valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell’art. 17, comma 4, ma il provvedimento di compatibilità ambientale è adottato dal CIPE, il quale, secondo una retta interpretazione, conforme ai criteri della delega [art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 443 del 2001, come sostituito dalla legge n. 166 del 2002], deve essere integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate. L’insieme di queste previsioni appresta garanzie adeguate a tutelare le interferenti competenze regionali.
31. ¾ Oggetto di censura è pure l’art. 19, comma 2, il quale demanda la valutazione di impatto ambientale a una Commissione speciale istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente. Le Regioni Toscana e Marche lamentano una lesione degli artt. 9, 32, 117 e 118 Cost. per la mancata previsione di una partecipazione regionale in tale Commissione.
Premesso che la disposizione deve essere interpretata nel senso che la Commissione speciale opera con riferimento alle sole opere qualificate in sede di intesa come di interesse nazionale, interregionale o internazionale, essa è invece illegittima nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse regionale, non prevede che la Commissione speciale VIA sia integrata da componenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate.
32. ¾ Le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via principale, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante “Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443”, e in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.
33. ¾ Avverso il medesimo decreto legislativo ha proposto ricorso, «per sollevare questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il Comune di Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad impugnare discenda dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione ha attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimità costituzionale in via di azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.
A prescindere dalla qualificazione dell’atto e dal problema se con esso il Comune abbia sollevato una questione di legittimità costituzionale o abbia introdotto un conflitto di attribuzione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L’art. 127 Cost. prevede che «La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge». Con formulazione dal tenore inequivoco, la titolarità del potere di impugnazione di leggi statali è dunque affidata in via esclusiva alla Regione, né è sufficiente l’argomento sistematico invocato dal ricorrente per estendere tale potere in via interpretativa ai diversi enti territoriali.
Analogo discorso deve ripetersi per il potere di proporre ricorso per conflitto di attribuzione. Nessun elemento letterale o sistematico consente infatti di superare la limitazione soggettiva che si ricava dagli art. 134 della Costituzione e 39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e, comunque, sotto il profilo oggettivo, resta ferma, anche dopo la revisione costituzionale del 2001, la diversità fra i giudizi in via di azione sulle leggi e i conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni, i quali ultimi non possono riguardare atti legislativi.
34. ¾ Gli interventi spiegati dalle società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. – Telecom Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a. e quelli proposti, peraltro tardivamente, dai Comuni di Pontecurone, Monte Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS), devono essere dichiarati inammissibili, per le stesse ragioni esposte nel paragrafo 3.2 della presente sentenza.
35. ¾ L’intero decreto legislativo n. 198 del 2002 è impugnato in tutti i ricorsi per eccesso di delega, sul rilievo che la legge n. 443 del 2002, nell’art. 1, comma 1, autorizzava l’adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture puntualmente individuate anno per anno, a mezzo di un programma approvato dal CIPE, mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione, ma esclusivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle comunicazioni». Inoltre, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di “grandi opere”, mentre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una molteplicità di piccole opere; infine - si lamenta nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia - lungi dall’uniformarsi ai principî e criteri direttivi della delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porrebbe a sé medesimo i principî che informano le disposizioni successive.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio promosso in via principale il vizio di eccesso di delega può essere addotto solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome ricorrenti (sentenze n. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del 1996). Nella specie non può negarsi che la disciplina delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche, che si assume in contrasto con la legge di delega n. 443 del 2001, comprima le attribuzioni regionali sotto più profili. Il più evidente tra essi emerge dalla lettura dell’art. 3, comma 2, secondo il quale tali infrastrutture sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento. In questi casi la Regione è legittimata a far valere le proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale di eccesso di delega del decreto legislativo nel quale tale disciplina è contenuta.
Nella specie l’eccesso di delega è evidente, a nulla rilevando, in questo giudizio, la sopravvenuta entrata in vigore del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, che riguarda in parte la stessa materia.
L’art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001, che figura nel titolo del decreto legislativo impugnato ed è richiamata nel preambolo, ha conferito al Governo il potere di individuare infrastrutture pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale a mezzo di un programma formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate ovvero su proposta delle Regioni sentiti i Ministri competenti. I criteri della delega, contenuti nell’art. 2, confermano che i decreti legislativi dovevano essere intesi a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati a mezzo di un programma.
Di tale programma non vi è alcuna menzione nel decreto impugnato, il quale al contrario prevede che i soggetti interessati alla installazione delle infrastrutture sono abilitati ad agire in assenza di un atto che identifichi previamente, con il concorso regionale, le opere da realizzare e sulla scorta di un mero piano di investimenti delle diverse società concessionarie. Ogni considerazione sulla rilevanza degli interessi sottesi alla disciplina impugnata non può avere ingresso in questa sede, posto che tale disciplina non corrisponde alla delega conferita al Governo e non può essere considerata di questa attuativa.
L’illegittimità dell’intero atto esime questa Corte dal soffermarsi sulle singole disposizioni oggetto di ulteriori censure, che restano pertanto assorbite.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, ultimo periodo, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive);
2) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3-bis, della medesima legge, introdotto dall’articolo 13, comma 6, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti);
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall’articolo 13, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n) e o), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera g), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
8) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera n), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall’articolo 13, comma 5, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 4, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 5, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;
12) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
13) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, introdotto dall’articolo 13, comma 4, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, commi 1 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
15) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 15, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale);
16) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale (VIA) sia integrata da componenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate;
17) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 13 e 15 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 76, 117, 118 e 120 della Costituzione e agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, agli articoli 19, 20 e 21 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 e all’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
18) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e all’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
19) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
20) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Marche e Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;
21) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 76, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, in riferimento agli articoli 117, commi terzo quarto e sesto, e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e agli articoli 19 e 20 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con i ricorsi indicati in epigrafe;
22) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, e 9; e 13, commi 5 e 15, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
23) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 2, 3, 4 e 5, sollevate, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
24) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
25) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione Toscana, e, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
26) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
27) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, in relazione all’articolo 1, comma 2, lettera d), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
28) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 6 e 9, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
29) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 5, e 13 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
30) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
31) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
32) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 76 e 117 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
33) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 16 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
34) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 17, 18, 19, commi 1 e 3, e 20 del decreto legislativo 19 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
35) dichiara la illegittimità costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443);
36) dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Comune di Vercelli “per sollevare questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione” avverso il decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria l'1 ottobre 2003.