|
Leggi e informazione radiotelevisiva a cura di Giuseppe De Cesare |
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA Un trattato per condurre l'Europa nel XXI secolo
ATTIVITA' GIORNALISTICA SISTEMI RADIOTELEVISIVI EUROPEI GIORNALISMO, INFORMAZIONE, DEMOCRAZIA (bibliografia)
|
SE ANNO 2002 REPUBBLICA
ITALIANA IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO LA
CORTE COSTITUZIONALE composta
dai signori: -
Cesare RUPERTO Presidente -
Massimo VARI Giudice -
Riccardo CHIEPPA " -
Valerio ONIDA " -
Carlo MEZZANOTTE " -
Fernanda CONTRI " -
Guido NEPPI MODONA " -
Piero Alberto CAPOTOSTI " -
Annibale MARINI " -
Franco BILE " -
Giovanni Maria FLICK " -
Francesco AMIRANTE " ha pronunciato la
seguente SENTENZA nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 della legge 22
febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di
informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la
comunicazione politica), promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 2000 dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti dalla
Federazione Radio Televisione ed altri contro l’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni ed altri, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2001 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie
speciale, dell’anno 2001. Visti
gli atti di costituzione della Federazione Radio Televisione ed altri, della
R.T.S. Radio Televisione Senese s.r.l. ed altre, del Coordinamento
AER-ANTI-CORALLO ed altra nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri; udito
nell’udienza pubblica del 29 gennaio 2002 il Giudice relatore Piero Alberto
Capotosti; uditi
gli avvocati Claudio Chiola per la Federazione Radio Televisione ed altri,
Felice Vaccaro per la R.T.S. Radio Televisione Senese s.r.l. ed altre, Eugenio
Porta per il Coordinamento AER-ANTI-CORALLO ed altra e l’Avvocato dello Stato
Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto
in fatto 1.
Con ordinanza del 20 dicembre 2000 - nel corso di un giudizio promosso
dalla Federazione Radio Televisione e da alcune emittenti radiotelevisive avente
ad oggetto l'annullamento della deliberazione n. 29 del 1° marzo 2000 in tema
di "Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione
politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna
per le elezioni regionali, provinciali e comunali fissate per il giorno 16
aprile 2000" e della successiva deliberazione n. 200 del 22 giugno 2000 in
tema di "Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di
comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione nei
periodi non elettorali" adottate dall'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni in attuazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28 - il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 della legge 22
febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di
informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la
comunicazione politica) per contrasto con gli artt. 3, 21 e 42 della
Costituzione. 2.
Il giudice rimettente premette che le deliberazioni impugnate
costituiscono mera attuazione, e per alcuni aspetti mera riproduzione, delle
norme della legge n. 28 del 2000 sicché la questione é rilevante. 3.
Nel merito, il Tar ritiene che la disciplina della "comunicazione
politica" radiotelevisiva - come delineata agli artt. 2 e 4 della legge n.
28 del 2000 - non fisserebbe "limiti" all'esercizio di specifiche
attività, ma renderebbe il mezzo radiotelevisivo funzionale all'interesse per
il quale é stato posto il limite, e ciò in contrasto con il riconoscimento
della libertà dei mezzi di diffusione garantita dall'art. 21 della
Costituzione. Inoltre, le disposizioni impugnate non terrebbero conto che
l'emittente privata, in quanto "impresa di opinione", sarebbe titolare
di un'autonoma posizione soggettiva tutelata dall'art.21 della Costituzione, e,
nonostante abbia la "paternità" del programma trasmesso, la
esproprierebbero del diritto di "manifestare una propria identità
politica". Secondo il giudice
rimettente, sottrarre ad imprese di opinione la libertà di cronaca politica e
la relativa capacità di valutazione avrebbe il significato di vanificare
l'importanza di quel regime pluralistico c.d. "esterno"
dell'informazione radiotelevisiva, esplicazione del più generale principio del
pluralismo al quale la Corte costituzionale, con la sentenza n.
826 del 1988, ha riconosciuto valore
centrale in un ordinamento democratico. Così come privare le singole emittenti
della libertà di esprimere le proprie opinioni politiche, da un lato,
svuoterebbe di contenuti la liberalizzazione del settore radiotelevisivo e,
dall'altro, realizzerebbe un livellamento "funzionale" di tutte le
emittenti radiotelevisive, sia della RAI - che non é pubblica ma svolge
servizio pubblico - che di quelle private, rendendo in tal modo irragionevole
l'esistenza stessa di un regime radiotelevisivo misto pubblico-privato. 3.1.
L'art.7 della legge n. 28 del 2000, ad avviso del Tar, violerebbe invece
l'art. 3 della Costituzione, in quanto, diversamente da quanto previsto per la
stampa periodica, stabilisce limitazioni alla propaganda elettorale per le
imprese del settore radiotelevisivo realizzando un'ingiustificata disparità di
trattamento, in violazione del canone di eguaglianza. 3.2.
Un’ultima censura di costituzionalità riguarda infine la disposizione
in tema di "messaggi politici autogestiti". L'art. 4, comma 3, lettera
b) stabilisce che, durante la campagna elettorale, i messaggi in
questione - consistenti nell'esposizione di un programma o di un’opinione
politica per un tempo tra uno e tre minuti - devono essere trasmessi
"gratuitamente" dalle emittenti nazionali, mentre per le emittenti
locali, a norma del successivo quinto comma dello stesso art. 4, é previsto un
rimborso da parte dello Stato. Pertanto ad avviso del rimettente, tale
disciplina arrecherebbe un arbitrario svantaggio alle emittenti nazionali, privo
di ogni plausibile fondamento giuridico, e risulterebbe immotivatamente in
contrasto con l'art. 42 della Costituzione perché imporrebbe atti ablatori
della proprietà privata senza la corresponsione di un indennizzo. 4.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto nel giudizio, chiedendo che
le questioni siano dichiarate infondate. In via preliminare,
rileva la genericità della denuncia di incostituzionalità, in quanto il
rimettente non avrebbe individuato le specifiche norme della legge censurata
contrastanti con le disposizioni costituzionali assunte a parametro. Nel merito, deduce che
la ricostruzione interpretativa effettuata dal giudice a quo non sarebbe
conforme alla realtà normativa espressa negli artt. 2 e 4 della legge n. 28 del
2000, i quali si limiterebbero ad assicurare parità di condizioni
nell'esposizione di opinioni e posizioni politiche nei programmi di
comunicazione politica. Quest'ultima tipologia di programmi sarebbe, a norma del
comma 2 dell'art. 2, distinta dai programmi di "informazione", ai
quali non si applicherebbero le regole in tale disposizione contenute. Per tale
ragione, all'emittente privata non sarebbe affatto negata la possibilità di
manifestare la propria identità politica. Infondato sarebbe,
altresì, il dubbio di legittimità derivante dal raffronto con la disciplina
prevista per la stampa. Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale avrebbe
riconosciuto la specificità dell'informazione radiotelevisiva dalla quale
discende l'inapplicabilità dello stesso regime stabilito per le altre tipologie
di comunicazione. Infine, la difesa
erariale deduce la manifesta infondatezza della censura di disparità di
trattamento tra emittenti nazionali e locali con riferimento al regime del
rimborso per i messaggi politici autogestiti, in quanto la legge avrebbe tenuto
conto della diversa consistenza economica delle grandi emittenti nazionali
rispetto alle locali e questo giustificherebbe il diverso regime. 4.1.
Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, la
difesa erariale ribadisce la genericità delle censure. Inoltre, secondo
l'interveniente, la funzione dei programmi di informazione non sarebbe privata
del suo significato a causa dell'introduzione di "distinti" momenti di
comunicazione politica, in quanto, mentre l'informazione costituisce espressione
della libertà di opinione e quindi caratterizzerebbe la posizione dell'impresa
radiotelevisiva, l'accesso paritario in trasmissioni televisive, quali le
tribune politiche, non connoterebbe la posizione politica dell'emittente. La difesa erariale
richiama, infine, la sentenza n.
161 del 1995, per sostenere che la libertà
tutelata dall'art.21 della Costituzione renderebbe necessario assicurare la
pluralità di fonti, il libero accesso alle stesse e l'assenza di ingiustificati
ostacoli legali, che sarebbero appunto garantiti dall'obbligo di consentire la
parità di accesso. 5.
Si sono costituite in giudizio le parti ricorrenti del giudizio
principale chiedendo l'accoglimento delle questioni di costituzionalità
sollevate e facendo proprie le argomentazioni del Tribunale. In particolare, secondo
le parti private, le disposizioni censurate realizzerebbero un assoluto
livellamento "funzionale" di tutte le emittenti radiotelevisive, sia
di quella che svolge il servizio pubblico che di quelle private, rendendo in tal
modo irragionevole l'esistenza stessa di un regime radiotelevisivo
"misto" pubblico-privato. Questo livellamento manifesterebbe profili
di illegittimità nel periodo non elettorale, durante il quale non sarebbe
giustificato dall'esigenza di tutelare il libero e consapevole formarsi della
volontà degli elettori. In tale contesto, si osserva, appare evidente
l'irragionevole discriminazione tra il regime imposto alle imprese emittenti e,
quello, totalmente libero, assicurato alle imprese editoriali. Il confronto tra così
differenti discipline, rispettivamente per la stampa e per la radiodiffusione,
si caratterizzerebbe per i suoi effetti pesantemente discriminatori del regime
imposto all'emittenza privata, a fronte dell'assenza di ogni benché minimo
vincolo per la stampa. 5.1.
Nelle memorie difensive, depositate in prossimità dell'udienza pubblica,
le parti private ribadiscono che le prescrizioni imposte ad una "impresa di
opinione" sarebbero incompatibili con la libertà di espressione sancita
dall'art. 21 della Costituzione e con gli indirizzi oramai uniformi della
giurisprudenza costituzionale sulla netta distinzione tra pluralismo
"esterno" riguardante le emittenti private e pluralismo
"interno" che interessa il servizio pubblico. Inoltre, si pone
l'accento sulla mancanza di precise modalità relative alla partecipazione di
soggetti politici ai programmi di informazione; programmi che l'ultima
proposizione del comma 2 dell'art. 2 della legge n. 28 del 2000 esclude dal
novero di quelli che sono soggetti alla disciplina de qua. Si sottolinea, ancora,
la disparità di trattamento che la legge n. 28 del 2000 determinerebbe tra l'emittenza
radiotelevisiva e la stampa periodica. Quest'ultima sarebbe soggetta ad un
disciplina fondata sulla libera concorrenza nel mercato tra le diverse imprese
editoriali, mentre le emittenti radiotelevisive private sarebbero sottoposte ad
una rigida regolamentazione. 6.
All'udienza pubblica, l'Avvocatura dello Stato e le parti private hanno
insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte. Considerato
in diritto 1.
Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe,
riguardano gli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 della legge 22 febbraio 2000, n. 28
(Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le
campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), in
riferimento agli artt. 3, 21 e 42 della Costituzione. Il giudice a quo
dubita in particolare della legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 5
della predetta legge nelle parti in cui, imponendo alle emittenti
radiotelevisive di assicurare la "parità" tra le varie forze
politiche nei programmi di "comunicazione politica" durante le
campagne elettorali e nei periodi non elettorali, impedirebbero alle emittenti
stesse, in violazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione, di qualificarsi
attraverso l'affermazione di propri orientamenti, "espropriando" così
il loro diritto a manifestare una propria identità politica. Inoltre l'art. 7 della
stessa legge si porrebbe in contrasto, secondo il giudice a quo, con
l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo che stabilendo limitazioni alla
propaganda elettorale, le quali invece non sono previste per la stampa
periodica, introdurrebbe un'irragionevole discriminazione in danno delle imprese
radiotelevisive. Infine, il Tar censura
l'art. 4, commi 3 lettera b) e 5, della medesima legge nella parte in
cui, prevedendo che durante la campagna elettorale i messaggi politici
autogestiti debbono essere trasmessi gratuitamente dalle emittenti nazionali,
mentre alle emittenti locali é riconosciuto un rimborso da parte dello Stato,
violerebbe l'art. 42 della Costituzione. 2.
Le questioni prospettate non sono fondate. Il nucleo argomentativo
dell'ordinanza di rimessione é che la disciplina della comunicazione politica
radiotelevisiva, delineata dagli artt. 2 e 4 della legge 22 febbraio 2000, n.
28, implica la "piena funzionalizzazione" del mezzo radiotelevisivo,
dal momento che all'emittente privata é negata, in ragione della necessaria
parità tra le varie forze politiche, la possibilità di manifestare una propria
identità politica, in contrasto con il riconoscimento della libertà dei mezzi
di diffusione garantita dall'art. 21 della Costituzione. Tale ordine
argomentativo non appare però condivisibile. In proposito va innanzi tutto
rilevato che l'art. 1 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato), ispirandosi peraltro alla precedente legge
14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e
televisiva), dopo aver ribadito che "la diffusione di programmi radiofonici
e televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di preminente
interesse generale", espressamente dispone che il pluralismo, l'obiettività,
la completezza e l'imparzialità della informazione, l'apertura alle diverse
opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose "rappresentano
i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo, che si realizza con il
concorso di soggetti pubblici e privati". Principi alla cui osservanza sono
dunque tenuti, alla luce delle pronunce di questa Corte, anche gli imprenditori
privati, che operano nel settore, proprio in quanto "soggetti in grado di
concorrere insieme al servizio pubblico nella realizzazione dei valori
costituzionali posti a presidio dell'informazione radiotelevisiva (v. artt. 1 e
2 della legge n. 223 del 1990)" (sentenza n.
112 del 1993). Fin dalle prime
decisioni di questa Corte emerge che é giustificato l'intervento del
legislatore diretto a regolare, durante la campagna elettorale, la concomitante
e più intensa partecipazione di partiti e cittadini alla propaganda politica (cfr.
sentenza n. 48 del 1964). E nella successiva giurisprudenza costituzionale si é
ripetutamente affermato che, fermo restando che i mezzi di informazione di massa
sono tenuti alla parità di trattamento nei confronti dei soggetti politici
(sentenza n.
161 del 1995), i principi fondanti del
nostro Stato "esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera
opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza
di tutti alla formazione della volontà generale" (sentenza n.
112 del 1993). Proprio da qui deriva
"l'imperativo costituzionale" che "il diritto
all'informazione", garantito dall'art. 21 della Costituzione, venga
qualificato e caratterizzato, tra l'altro, sia dal pluralismo delle fonti cui
attingere conoscenze e notizie -così da porre il cittadino in condizione di
compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti
culturali e politici differenti- sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei
dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità
dell'attività di informazione erogata (sentenza n.
112 del 1993). Il diritto alla completa
ed obiettiva informazione del cittadino appare dunque, alla luce delle ricordate
pronunce, tutelato in via prioritaria soprattutto in riferimento a valori
costituzionali primari, che non sono tanto quelli -come sostiene la difesa delle
parti private- alla "pari visibilità dei partiti", quanto piuttosto
quelli connessi al corretto svolgimento del confronto politico su cui in
permanenza si fonda, indipendentemente dai periodi di competizione elettorale,
il sistema democratico. E' in questa prospettiva di necessaria democraticità
del processo continuo di informazione e formazione dell'opinione pubblica, che
occorre dunque valutare la congruità del bilanciamento tra principi ed
interessi diversi attuato dalla disciplina censurata mediante la previsione di
modalità e forme della "comunicazione politica". Attraverso di esse
infatti, proprio al fine specifico di consentire -in ogni tempo e non solo nei
periodi elettorali- la più ampia informazione del cittadino per formare la sua
consapevolezza politica, si esplica la libertà di espressione delle singole
emittenti private. Ed é in questa stessa
prospettiva che deve essere valutato se il c.d. pluralismo "esterno"
dell'emittenza privata sia sufficiente a garantire, in ogni caso, la completezza
e l'obiettività della comunicazione politica, o se invece debbano concorrere
ulteriori misure sostanzialmente ispirate al principio della parità di accesso
delle forze politiche e dei rispettivi candidati, tenendo presente che nei
principali Paesi europei la disciplina della comunicazione politica, in questi
ultimi anni, si é orientata, pur nell'inevitabile diversità dei criteri
ispiratori, su modelli di regolazione degli spazi radiotelevisivi caratterizzati
in generale dalla regola della parità di chances. 2.1.
In questo quadro, il primo dubbio di costituzionalità che l'ordinanza di
rimessione solleva riguarda l'obbligo imposto dall'art. 2, comma 2, della legge
censurata alle singole emittenti di predisporre appositi programmi di
"opinioni e valutazioni politiche", da organizzare in forma
particolare, e nei quali deve essere appunto assicurata la parità di accesso
tra i diversi soggetti partecipanti. A questo proposito va
tenuto presente che l'attuale sistema radiotelevisivo misto pubblico-privato é
governato dal cosiddetto "principio della concessione" (sentenza n.
112 del 1993), dal quale derivano, tra l'altro, obblighi incidenti
sull'esercizio dell'attività radiotelevisiva, come quelli, ad esempio, che
impongono alle emittenti private in ambito locale di dedicare un certo numero di
ore settimanali all'informazione su problematiche sociali (art. 5 della legge 27
agosto 1993, n. 323), oppure quelli che impongono alle emittenti private
nazionali di trasmettere quotidianamente i telegiornali e di mandare in onda
programmi per non meno di dodici ore giornaliere (art. 20 della legge n. 223 del
1990). Si tratta di obblighi di facere, che gravano sugli imprenditori
privati del settore, in quanto la concessione, per ciò che riguarda gli aspetti
relativi ai controlli sull'attività erogata e sull'organizzazione dell'impresa,
"costituisce uno strumento di ordinazione nei confronti di facoltà e di
doveri connessi alla garanzia costituzionale della libertà di manifestazione
del pensiero e della libertà di iniziativa economica privata, nonché ai
correlativi limiti posti a tutela di beni d'interesse generale" (sentenza n.
112 del 1993). In questa ottica,
quindi, l'effettuazione di quelli che il giudice a quo definisce
<<programmi politici "paritari">> si concretizza
essenzialmente in un'attività che deve rispettare precisi limiti
"modali", cioè inerenti alle modalità di svolgimento di queste
trasmissioni; limiti i quali attengono specificamente ai profili
organizzativo-imprenditoriali dell'iniziativa economica, anziché a quelli
contenutistici dell'attività di manifestazione del pensiero. Ed invero, le
norme censurate prevedono l'obbligo di predisporre nel quadro della
programmazione -in attuazione del dovere di assicurare, in condizioni di parità,
a tutti i soggetti politici l'"accesso" all'informazione ed alla
comunicazione politica- specifiche e assai limitate nel tempo tipologie di
trasmissioni ("tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione
in contraddittorio di candidati e di programmi politici, confronti, interviste e
ogni altra forma nella quale assuma carattere rilevante l'esposizione di
opinioni e valutazioni politiche"), nel cui ambito deve essere
rigorosamente osservato il criterio della partecipazione in contraddittorio e
del confronto dialettico tra i soggetti intervenienti, secondo il canone della
pari opportunità. Ma é un obbligo che incide su modalità organizzative, che
non toccano la libertà di espressione, se non sotto il profilo del dovere di
osservanza di un comportamento neutrale ed imparziale. Si tratta peraltro di
doveri che discendono dal prospettato regime di concessione, ordinato appunto
alla regolazione di facoltà e doveri a tutela di un interesse costituzionale
generale -quale é appunto quello della informazione e formazione consapevole
della volontà del cittadino-utente - in favore del quale il legislatore ha
risolto non irragionevolmente il bilanciamento con la contrapposta libertà di
opinione delle singole emittenti private. 2.2.
In ogni caso non é esatto ritenere che in questo modo si pervenga -come
sostiene l'ordinanza di rimessione- ad <<espropriare in toto di
ogni manifestazione "politica" le emittenti private>>. Ed
infatti l'art. 2, comma 2, della legge censurata, stabilendo espressamente che
le disposizioni che regolano la comunicazione politica radiotelevisiva "non
si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione",
preclude che in questi programmi, che certamente costituiscono un momento
ordinario, anche se tra i più caratterizzanti dell'attività radiotelevisiva,
all'emittente possano essere imposti limiti, che derivino da motivi connessi
alla comunicazione politica. L'espressione "diffusione di notizie" va
pertanto intesa, del resto secondo un dato di comune esperienza, nella sua
portata più ampia, comprensiva quindi della possibilità di trasmettere notizie
in un contesto narrativo-argomentativo ovviamente risalente alla esclusiva
responsabilità della testata. Tanto é sufficiente,
quindi, ad escludere ogni paventata forma di "funzionalizzazione" del
mezzo radiotelevisivo o di "espropriazione" della identità politica
delle singole emittenti private ed a consentire invece ad ognuna di esse di fare
emergere, anche attraverso le proprie analisi e considerazioni di ordine
politico, l'immagine propria di un'impresa di tendenza. Vero é, a questo
proposito, che durante le campagne elettorali sono previsti, negli artt. 4 e 5,
criteri limitativi sia in ordine alla comunicazione politica radiotelevisiva,
sia in ordine ai programmi di informazione: si tratta peraltro di prescrizioni,
che nella loro rigorosa previsione appaiono tutte ispirate dal ragionevole
intento di prevenire in ogni modo qualsiasi influenza, anche "in forma
surrettizia", sulle libere e consapevoli scelte degli elettori, in momenti
particolarmente delicati della vita democratica del Paese. In considerazione di
tutto ciò, non é condivisibile l'affermazione del giudice a quo,
secondo cui "l'esigenza di tutela del processo di formazione della
consapevolezza politica dell'elettore" sarebbe soddisfatta più
agevolmente, anziché da una rigida disciplina di settore, dal "libero
concorso di differenti voci informative". Questa tesi evidentemente evoca
il c.d. pluralismo "esterno", che certamente costituisce uno degli
"imperativi" elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia;
in proposito, peraltro, va ricordato che esso non può dirsi realizzato per il
solo fatto che vi sia concorso fra un polo pubblico e un polo privato, il quale
detenga una posizione dominante nel settore dell’emittenza privata (sentenza n.
826 del 1988), giacchè in questo modo non
si verifica l’accesso al sistema radiotelevisivo del "massimo numero
possibile di voci diverse" (sentenza n.
112 del 1993). Ma in ogni caso il
pluralismo esterno può risultare insufficiente –in una situazione in cui
perdura la sostanziale limitazione delle emittenti- a garantire la possibilità
di espressione delle opinioni politiche attraverso il mezzo televisivo. Proprio
a questo fine le norme censurate, imponendo un ragionevole bilanciamento dei
contrapposti interessi, richiedono, nel caso di trasmissioni di comunicazione
politica, modalità che assicurino il pluralismo sostanziale mediante la
garanzia della parità di chances offerta ai soggetti intervenienti. 3.
Un'ulteriore censura riguarda l'art. 7 della stessa legge, sotto il
profilo della disparità di trattamento in danno del settore radiotelevisivo,
poiché per la stampa periodica non sono previste limitazioni così incisive in
ordine alla propaganda elettorale. La prospettata
violazione dell'art. 3 della Costituzione però non sussiste, in quanto
emittenza radiotelevisiva e stampa periodica hanno regimi giuridici nettamente
diversi -così da impedire l'individuazione di un tertium comparationis adeguato-
in relazione alle loro differenti caratteristiche: "nel settore della
stampa non c'é alcuna barriera all'accesso, mentre nel settore televisivo la
non illimitatezza delle frequenze, insieme alla considerazione della particolare
forza penetrativa di tale specifico strumento di comunicazione impone il ricorso
al regime concessorio" (sentenza n.
420 del 1994). In ogni caso la disomogeneità
dei mezzi in comparazione é tale da escludere qualsiasi disparità di
trattamento, poiché é noto e costante, nella giurisprudenza di questa Corte,
il riconoscimento della peculiare diffusività e pervasività del messaggio
televisivo (sentenze n. 225 del 1974, n. 148 del 1981, n.
826 del 1988), così da giustificare
l'adozione, soltanto nei confronti della emittenza radiotelevisiva, di una
rigorosa disciplina capace di impedire qualsiasi improprio condizionamento nella
formazione della volontà degli elettori. 4.
L'ultima censura, infine, riguarda il diverso regime cui sono
soggetti i "messaggi politici autogestiti", la cui trasmissione
durante le campagne elettorali, mentre per le emittenti locali prevede un
rimborso da parte dello Stato (cfr. art. 4, comma 5, della legge n. 28 del
2000), deve invece essere gratuita per le emittenti nazionali (cfr. art. 4,
comma 3, lettera b della medesima legge), in violazione, secondo
l'ordinanza di rimessione, dell'art. 42 della Costituzione, sotto il profilo che
"gli atti ablatori della proprietà privata postulino la corresponsione di
un indennizzo, il quale non potrebbe non interessare anche l'ipotesi
dell'esproprio di spazi radiotelevisivi privati". Al riguardo va osservato
che é del tutto inesatto, in questo caso, il riferimento
all'"esproprio" di spazi radiotelevisivi privati, giacchè per le
emittenti nazionali, esclusa la concessionaria del pubblico servizio, la
trasmissione dei predetti messaggi non rappresenta certo un obbligo, ma solo una
scelta evidentemente dipendente da complessive valutazioni di carattere
imprenditoriale intorno all'offerta dei programmi. D'altra parte, stante la
rilevante differenza di ordine fattuale e giuridico tra emittenti ad ambito
nazionale ed emittenti ad ambito locale ed in considerazione della limitatezza
delle risorse finanziarie disponibili per queste ultime, appare del tutto
giustificata la previsione di un rimborso da parte dello Stato delle loro spese
per la trasmissione di messaggi autogestiti. PER QUESTI
MOTIVI LA CORTE
COSTITUZIONALE dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4,
5 e 7 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di
accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e
per la comunicazione politica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21 e 42
della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con
l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 aprile
2002. Cesare
RUPERTO,
Presidente Piero Alberto
CAPOTOSTI,
Redattore
|