SENTENZA
N. 225
10
LUGLIO 1974
CORTE COSTITUZIONALE
Nei giudizi riuniti di
legittimità costituzionale:
- degli artt. 1, 2 e 18 r.d. 8
febbraio 1923 n. 1067 (Norme per il servizio delle comunicazioni senza filo);
- degli artt. 1, 166, 168, n.
5, 178 (come sostituito dall’art. 1, n. 2, l. 14 marzo 1952 n. 196) e 251 del
r.d. 27 febbraio 1936 n. 645 (Approvazione del codice postale e delle
telecomunicazioni);
- del d.P.R. 26 gennaio 1952
n. 180 (Approvazione ed esecutorietà della Convenzione per la concessione alla
RAI del servizio di radioaudizioni e televisione circolare e del servizio di
telediffusione su filo);
- dell'art. 3 l. 14 marzo 1952 n. 196 (Modificazioni degli
artt. 178, 269 e 270 del codice postale e delle telecomunicazioni, approvato con
r.d. 27 febbraio 1936 numero 645);
- del d.P.R. 5 agosto 1966 n. 1214 (Nuove norme sulle
concessioni di impianto e di esercizio di stazioni di radioamatori);
- degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156
(Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale,
di banconota e di telecomunicazioni);
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 maggio 1971 dal pretore di
Poggibonsi nel procedimento penale a carico di Parronchi Sergio, iscritta al n.
273 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 240 del 22 settembre 197l;
2) ordinanza emessa il 14 gennaio 1972 dal pretore di Omegna
nel procedimento penale a carico di Porta Giuseppe ed altro, iscritta al n. 40
del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 90 del 5 aprile 1972;
3) ordinanza emessa il 17 febbraio 1972 dal pretore di
Macerata nel procedimento penale a carico di Meschini Italo, iscritta al n. 95
del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 110 del 26 aprile 1972;
4) ordinanze emesse l’11
aprile 1972 dal pretore di Sampierdarena nei procedimenti penali rispettivamente
a carico di Parodi Giancarlo ed altri e di Parodi Giovanni ed altro, iscritte ai
nn. 197 e 198 del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972;
5) ordinanze emesse il 18 aprile 1972 dal pretore di Sestri
Levante nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Marchetti Pier
Giorgio e di Di Gennaro Gian Luigi, iscritte ai nn. 212 e 213 del registro
ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del
12 luglio 1972;
6) ordinanze emesse il 18 e il 20 maggio 1972 dal pretore di
Bologna nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Riccò Vitaliano ed
altro e di Buscemi Ignazio, scritte ai nn. 244 e 245 del registro ordinanze 1972
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 30 agosto
1972;
7) ordinanza emessa il 6 giugno 1972 dal pretore di Bologna
nel procedimento penale a carico di Gelli Giorgio, iscritta al n. 262 del
registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 247 del 20 settembre 1972;
8) ordinanza emessa il 27 giugno 1972 dal pretore di Fidenza
nel procedimento penale a carico di Colacicco Michele, iscritta al n. 312 del
registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 279 del 25 ottobre 1972;
9) ordinanza emessa il 15 marzo 1972 dal pretore di Alano
nel procedimento penale a carico di Begozzi Bruno ed alti, iscritta al n. 324
del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 296 del 15 novembre 1972;
10) ordinanza emessa il 9 dicembre 1972 dal pretore di
Assisi nel procedimento penale a carico di Di Bernardino Vittorio, iscritta al
n. 16 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 55 del 28 febbraio 1973;
11) ordinanza emessa il 9 marzo 1973 dal pretore di Terni
nel procedimento penale a carico di Pierantoni Pietro ed altro, iscritta al n.
170 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 169 del 4 luglio 1973;
12) ordinanza emessa il 5 febbraio 1973 dal pretore di
Genova nel procedimento penale a carico di Giacobbe Emilio ed altro, iscritta al
n. 228 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 198 del l° agosto 1973;
13) ordinanza emessa il 21 maggio 1973 dal pretore di
Gavirate nel procedimento penale a carico di De Zuanni Gianfrancesco ed altri,
iscritta al n. 280 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 223 del 29 agosto 1973;
14) ordinanza emessa il 12 ottobre 1972 dal pretore di
Torino nel procedimento penale a carico di ............ ed altri, iscritta al n.
287 del registro ordinanze del 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 223 del 29 agosto 1973;
15) ordinanza emessa il 22 marzo 1973 dal pretore di Perosa
Argentina nel procedimento penale a carico di Ferraretto Franco, iscritta al n.
334 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973;
16) ordinanza emessa il 15 giugno dal pretore di Verona nel
procedimento penale a carico di Pinton Giorgio ed altri, iscritta al n. 423 del
registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 2 del 2 gennaio 1974.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
udito nell'udienza pubblica del 29 maggio 1974 il Giudice
relatore Giuseppe Verzi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele
Savarese, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
RITENUTO IN FATTO
1. Le ordinanze indicate in epigrafe, emesse tutte da
pretori dal maggio 1971 al giugno 1973, hanno riproposto, in riferimento
all'art. 21 - e talune anche agli artt. 41 e 43 della Carta - la questione di
legittimità costituzionale della riserva in esclusiva allo Stato dei servizi di
telecomunicazioni (artt. 1 r.d. 8 febbraio 1923 n. 1067: 1 r.d. 27 febbraio 1936
n. 645; 1 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156).
Quasi tutte le suddette ordinanze denunziarono, poi, per
contrasto con i menzionati articoli della Carta, anche gli artt. 2 e 18 r.d. 8
febbraio 1923 n. 1067; 166, 168 n. 5, 178 (così come sostituito dall’art. 1
n. 2, della l. 14 marzo 1952 n. 196) e 251 del r.d. 27 febbraio 1936 n. 645; 183
e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156; 3 della l. 14 marzo 1952 n. 196; il
d.P.R. n. 1214 del 5 agosto 1966; il d.P.R. n. 180 del 26 gennaio 1952.
I procedimenti penali nel corso dei quali le cennate
questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate riguardano, in
prevalenza, la detenzione non denunziata e l'uso privato di apparecchi radio
ricetrasmittenti, senza averne ottenuto preventivamente la prescritta
concessione. In pochi casi (procedimenti pendenti presso i pretori di Omegna, di
Gavirate, di Perosa Argentina e di Verona), trattasi di installazione abusiva di
ripetitori, allo scopo di poter ricevere i programmi televisivi svizzeri e
jugoslavi).
In tutti i giudizi avanti questa Corte non vi è stata
costituzione di parti. Soltanto in quelli conseguiti alle ordinanze dei pretori
di Poggibonsi, Omegna, Macerata e Verona è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
2. Dai giudizi di merito si premette che, dopo aver
attribuito l'appartenenza in esclusiva allo Stato dei servizi di
telecomunicazioni, il legislatore ha statuito, tra l'altro, che «nessuno può
eseguire od esercitare impianti di telecomunicazioni senza aver ottenuto la
relativa concessione» (art. 166 r.d. n. 645 del 1936; art. 183 d.P.R. n. 156
del 1973 e, prima ancora, sostanzialmente, art. 2 r.d. n. 1067 del 1923); «che
l'impianto e l'esercizio di stazioni radioelettriche fisse e terrestri, ad uso
esclusivamente privato, può essere concesso, purché concorrano ragioni di
pubblico interesse» (art. 251 r.d. n. 645 del 1936) e che per detenere
apparecchi radiotrasmittenti occorre fare preventiva denuncia all'autorità
locale di pubblica sicurezza ed al Ministero delle poste e delle
telecomunicazioni (art. 3 l. 14 marzo 252 n. 196. Sono state, altresì, dettate
norme per la concessione di impianto e di esercizio di stazioni di radioamatori
(d.P.R. 5 agosto 1966 n. 1214) e per la concessione in esclusiva alla RAI per il
periodo di anni venti dei servizi delle radioaudizioni e di televisione
circolare (d.P.R. 26 gennaio 1952 n. 180). L’infrazione alle surriportate
disposizioni il legislatore ha poi sanzionato penalmente (art. 178 del r.d. n.
645 del 1936, così come sostituito dall'art. 1, n. 2, l. n. 196 del 1952; art.
3 di questa legge; art. 195 del d.P.R. n. 156 del 29 marzo 1973).
Ciò posto si osserva che la legittimità costituzionale di
siffatta disciplina legislativa, conseguente al monopolio statuale delle
telecomunicazioni e, prima ancora, la legittimità costituzionale di questo
monopolio, non può ritenersi inconfutabilmente dimostrata dalla sentenza numero
59 del 1960 della Corte costituzionale. Inoltre, dopo oltre dieci anni da tale
decisione, le considerazioni di ordine più strettamente tecnico sulle quali
essa è fondata sarebbero state superate dallo sviluppo della scienza delle
radiotelediffusioni.
3. Per quanto attiene più specificamente alla detenzione di
apparecchi radio ricetrasmittenti e all'uso esclusivamente privato di essi (artt.
3 l. 14 marzo 1952 n. 196; 251, 166, 178 r.d. n. 645 del 1936), si fa presente
che l'art. 21 Cost. sancisce la libertà di manifestazione del pensiero con ogni
mezzo di diffusione; chiunque, quindi, ha diritto di manifestare in qualsiasi
modo ed in ogni circostanza il proprio pensiero, diritto da considerarsi
inviolabile ai sensi dell'art. 2 della medesima Carta.
Ne discende che il dovere, per chiunque intenda stabilire od
esercitare un impianto radioelettrico, di richiedere ed ottenere la prescritta
concessione, il cui rilascio è del tutto discrezionale per la competente
autorità, costituisce una grave ed ingiustificata limitazione del diritto di
manifestare «liberamente» il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione.
Tanto più che siffatto diritto, da qualificarsi come uno dei fondamentali
proclamati e protetti dalla Costituzione e come uno di quelli che meglio
caratterizzano l'attuale regime democratico vigente nello Stato, non può
incontrare che limitazioni sostanziali fondate in precetti e principi
costituzionali enunciati esplicitamente nella Costituzione, oppure desumibili da
questa mediante una rigorosa interpretazione giuridica.
Le ragioni inerenti alla limitatezza del mezzo devono dirsi
venute meno con il notevole diffondersi, anche a seguito della sentenza n. 39
del 1963 di questa Corte, del fenomeno dei radiotelefoni portatili, certamente
non destinati a dar luogo ad una situazione di oligopolio.
In definitiva, in Italia, il commercio dei radiotelefoni è
libero, ma il cittadino che li acquista è obbligato a denunciarne la detenzione
ai sensi dell'art. 3 l. 14 marzo 1952 n. 196; ed è in ogni caso impossibilitato
non solo a farne uso, ma anche e soprattutto a conservarli nella propria
abitazione in condizioni di "possibile uso".
E’ certo che all'uso indiscriminato degli apparecchi
radioelettrici, quale mezzo di diffusione del pensiero, si frappongono interessi
di natura politica, economica, militare, che è difficile individuare con
esattezza. Ma nessuna pratica giustificazione appare sufficiente a legittimare
il mantenimento della riserva statale. Tuttavia, se questa fosse abolita, un
valido regolamento di esercizio delle radio-comunicazioni potrebbe, nel rispetto
dei principi vigenti in materia, assicurare allo Stato una efficace funzione di
controllo e di repressione degli illeciti eventualmente commessi a mezzo delle
radio-onde.
Va infine fatto presente che lo Stato ha fatto luogo alla
liberalizzazione della vendita e dell'uso di apparecchi radio trasmittenti e
riceventi di modesta potenza operanti sulle bande dei 27 MHz, ma non ha
provveduto ad abolire le norme che vietano la trasmissione e la ricezione su
queste frequenze (art. 9 d.P.R. 5 agosto 1966 n. 1214); il che contrasta con
l'art. 21 Cost.
4. Le norme contenute negli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29
marzo 1973 n. 156 (già artt. 1, 166 e 17 8 r.d. 27 febbraio 1936 n. 645)
pongono inoltre rilevanti ostacoli al diritto alla circolazione di informazioni,
protetto dall'art. 21 Cost., ove si osserva che, sanzionando penalmente anche
l'installazione e l'esercizio d'impianti idonei alla sola ricezione e diffusione
di programmi televisivi esteri, s'impone al cittadino di attingere le proprie
notizie unicamente dai servizi radiotelevisivi nazionali, attualmente affidati
in regime di monopolio alla RAI-TV, precludendogli la possibilità di accedere
ad altre non irrilevanti fonti di informazione e selezionare, in base alle
proprie personali opzioni, le fonti medesime. E ciò pur non sussistendo nella
specie alcuna delle ragioni in forza delle quali la Corte, con la sentenza n.
59, del 13 luglio 1960, ritenne comprimibile il bene protetto dall'art. 21 e
conforme ai precetti costituzionali la riserva allo Stato dei servizi
radiotelevisivi e l'attuale regime di affidamento degli stessi in concessione
esclusiva alla RAI. L'installazione e l'esercizio di impianti del tipo in esame
non sono, infatti, certamente tali da originare situazioni di monopolio o di
oligopolio, ove si consideri che essi sono alla portata di semplici commercianti
radiotecnici, e che, soprattutto, sono volti non già a consentire a pochi
privilegiati di manifestare il proprio pensiero quanto, invece, a permettere
alla generalità di accedere agevolmente ad una pluralità di fonti
d'informazione.
Né l'esercizio degli impianti in parola può essere
riguardato come servizio pubblico essenziale od attività di preminente
interesse generale non ponendosi, evidentemente, nella specie alcuno dei
problemi di obbiettività ed imparzialità considerati dalla Corte nella
sentenza n. 59 del 1960 ed essendo invece i ripetitori destinati ad ampliare, in
sostanza condizioni di eguaglianza per i destinatari del servizio, il novero
degli strumenti di informazione e consentire la libera circolazione tra i
consociati di notizie e di idee.
Non va, inoltre, trascurato che i «ripetitori» sono dotati
di limitatissima potenza e sono idonei ad irradiare segnali per un raggio di
poche decine di chilometri così da rendere meramente teorico il pericolo di
interferenze tra diverse stazioni.
5. L'Avvocatura dello Stato osserva che, contrariamente a
quanto si asserisce nelle ordinanze di rimessione, oggi, rispetto al 1960 (epoca
in cui questa Corte ha pronunciato la più volte menzionata sentenza n. 59 del
1960) la limitata disponibilità dei canali televisivi è rimasta immutata. E
all'uopo esibisce - con una memoria illustrativa - un parere emesso in tal senso
il 9 aprile 1974 dal Consiglio Superiore Tecnico delle Telecomunicazioni.
Conseguentemente permangono tutti i motivi illustrati in detta sentenza, per i
quali fu dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale del
monopolio televisivo, e ulteriormente chiariti, per quanto attiene all'art. 21
Cost., nella successiva sentenza n. 105 del 1972, secondo la quale il principio
della libertà di manifestazione del pensiero va inteso non già nel senso che
tutti debbono avere, in fatto, la materiale disponibilità di tutti i possibili
mezzi di diffusione. Più realisticamente, sta a significare che a tutti la
legge deve garantire la giuridica possibilità di usarne o di accedervi, con le
modalità ed entro i limiti resi eventualmente necessari dalle peculiari
caratteristiche col pari diritto di ciascuno o dalla tutela di altri interessi
costituzionalmente apprezzabili. E secondo l'Avvocatura, quanto affermato in
detta sentenza vale anche per i cosiddetti ripetitori, perché anch'essi in
definitiva sono stazioni trasmittenti onde hertziane. A nulla rileverebbe che
questi trasmettono non programmi originali, ma programmi emessi da altre
trasmittenti. In realtà, per i mezzi tecnici impiegati, e per le interferenze
cui possono dar luogo, sarebbero assoggettabili pleno iure alla disciplina delle
radio-telecomunicazioni.
6. Per quanto attiene alla eccepita incostituzionalità
dell'art. 251 cod. postale, che disciplina il settore dei radiocollegamenti ad
uso privato, occorre osservare - continua l'Avvocatura - che la limitatezza
delle frequenze d'onda, assegnate in sede internazionale ai singoli Paesi,
impone la necessità di vagliare le richieste di concessioni o di autorizzazioni
per soddisfare, nei limiti delle disponibilità dei mezzi quelle che siano
motivate da imprescindibili esigenze di utilità generale o che siano rivolte,
se avanzate da singoli o da enti commerciali o industriali, al miglioramento
delle condizioni economiche e sociali della collettività.
In difetto di una "disciplina delle frequenze" si
verificherebbero inammissibili interferenze fra i vari radiocollegamenti sì da
rendere impossibile usufruire di detto mezzo anche a quegli organismi o
istituzioni che utilizzano su scala nazionale determinate ed appropriate bande
di frequenza (stazioni radio p.t.; servizi radioelettrici delle FF.AA. e della
Polizia; stazioni a bordo di navi; radiotelevisione, ecc.), con grave
pregiudizio di servizi essenziali o di interesse generale.
L'esistenza di concessioni di radiocollegamenti ad uso
privato peraltro dimostra che il monopolio statale è temperato dalla larghezza
con cui si fa luogo al rilascio di autorizzazioni o concessioni a privati di
collegamenti radiotelegrafici o radiotelefonici.
7. In ordine, infine, alla questione di incostituzionalità
dell'art. 9 del d.P.R. 5 agosto 1966 n. 1214, nella parte in cui non ha abrogato
le norme che vietano la trasmissione e ricezione da apparecchi operanti sulla
banda dei 27 MHz, l'Avvocatura rileva che il menzionato decreto ha natura
regolamentare; la questione di costituzionalità della citata norma non può
quindi essere sollevata avanti alla Corte costituzionale, che ai sensi dell'art.
134 Cost. può conoscere solo della costituzionalità di norme aventi forza di
legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le ordinanze indicate in epigrafe propongono - in
riferimento agli artt. 21, 41 e 43 Cost. - identiche o analoghe questioni di
legittimità costituzionale concernenti disposizioni in forza delle quali i
servizi di radiodiffusione e televisione e televisione circolare a mezzo di onde
elettromagnetiche sono riservati allo Stato e di conseguenza non possono essere
esercitati - anche se si tratti di apparecchi ricetrasmittenti per uso privato -
da chi non ne abbia avuta la concessione.
I relativi giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza
pubblica, vengono pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.
2. Con la sentenza n. 59 del 1960, questa Corte ha già
dichiarato che gli artt. 21, 41, 33 e 43 Cost. non sono violati dalla riserva
allo Stato dei servizi di televisione circolare a mezzo di onde radio
elettriche, senza avere ottenuto la prescritta concessione. E la decisione si
articola sulle seguenti proporzioni:
a) esiste una attuale limitatezza dei canali utilizzabili,
talché la televisione si caratterizza indubbiamente come una attività
predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all'oligopolio di
fatto.
b) i servizi televisivi si collocano, pertanto, tra le
categorie di imprese che si riferiscono a situazioni di monopolio, nel senso in
cui all'art. 43 Cost.
c) ricorrono altresì gli altri due requisiti voluti
dall'art. 43 Cost., e cioè l'attività di preminente interesse generale e le
ragioni di utilità generale, idonee a giustificare l'avocazione in esclusiva
dei servizi allo Stato.
d) non è violato l'art. 21 Cost., perché data la
limitatezza di fatto della possibilità di utilizzazione del mezzo televisivo,
lo Stato monopolista si trova istituzionalmente nelle condizioni di obiettività
e imparzialità più favorevoli per conseguire il superamento delle difficoltà
frapposte dalla naturale limitatezza del mezzo alla realizzazione del precetto
costituzionale volto ad assicurare a tutti la possibilità di diffondere il
pensiero con qualsiasi mezzo.
Quasi tutte le ordinanze dei pretori assumono invece che la
limitatezza dei canali di trasmissione, su la quale fondamentalmente si basa la
motivazione suindicata, sarebbe oramai superata dallo sviluppo della scienza e
della tecnica delle radiodiffusioni. L'esistenza di ampie bande di frequenza, i
moderni metodi di trasmissione multicanale, ed il sistema di emissioni su uno
stesso canale da parte di stazioni lontane, fra loro non interferenti,
renderebbero pressoché illimitata la possibilità di trasmissioni.
Aggiungono, poi, che la sentenza avrebbe fatto ricorso al
concetto di oligopolio, assimilandolo alla situazione di monopolio di cui
all'articolo 43 Cost., mentre la parificazione fra le due situazioni si
rivelerebbe inaccettabile; che la riserva allo Stato, con la conseguente
eliminazione degli operatori privati, esige che il fenomeno, comporti un
beneficio per la collettività, mentre il sistema del monopolio - consentendo
allo Stato di lasciare inutilizzata buona parte delle frequenze - produce
“una strozzatura del consumo”, in contrasto con i fini di utilità generale
di cui all'art. 43 Cost.; che è molto più facile diffondere notizie parziali e
non obiettive in regime di monopolio, quando manca il confronto con lo stesso
mezzo di diffusione; che è contestabile il presupposto da cui muove la
sentenza, che cioè l'attività televisiva costituisca un servizio destinato
alla diffusione del pensiero e che lo Stato, avocandolo a sé, ne sia il
migliore garante. Dopo aver affermato che l'art. 21 regola la materia in modo
autonomo, sottraendola a quella dei rapporti economici, concludono che alla
conclamata libertà di diffusione del pensiero dovrebbe accompagnarsi la libertà
di fare uso dei mezzi indispensabili ad essa.
3. La Corte rileva che sussistono tuttora, nonostante il
contrario assunto delle ordinanze di rimessione, quelle stesse ragioni
giustificative della riserva allo Stato che nella precedente decisione furono
enunciate a proposito della televisione circolare. E difatti sia per
quest'ultima, sia per la radiodiffusione circolare la disponibilità delle bande
di trasmissione, come risulta dalla motivata ed analitica relazione del
Consiglio superiore delle telecomunicazioni allegata agli atti, è tanto
limitata da consentire solo a pochi, ove la riserva non fosse disposta,
l’utilizzazione del mezzo radiotelevisivo.
4. Quanto innanzi si è detto consente di affermare che, a
causa della limitazione delle bande di trasmissioni disponibili, la attività di
radiotelediffusione circolare integra quella situazione di monopolio che l'art.
43 Cost. considera legittimo presupposto della riserva allo Stato.
Se la ratio di quella disposizione costituzionale risiede
nella ragionevole previsione che, là dove non esiste o addirittura non è
possibile la libera concorrenza, il monopolio statale (o degli altri soggetti
tassativamente indicati) meglio garantisce l'interesse della collettività, ciò
vale a maggior ragione, quando, come nella materia in esame, si tratti di
attività che, ben al di là della sua rilevanza economica, tocca molto da
vicino fondamentali aspetti della vita democratica. Né vale l'obiezione che
nella specie vi sarebbe al più pericolo di un oligopolio, non già di un
monopolio. Ed invero le due situazioni, almeno se riferite ai servizi di cui
si discorre, sostanzialmente si identificano negli effetti, atteso che la
disponibilità in poche mani di uno strumento di comunicazione di massa
non presenterebbe rischi minori di quelli insiti in un monopolio in senso
stretto.
Del resto ricorre nella specie anche un'altra delle tre
ipotesi contemplate nell'articolo 43 Cost. Ed infatti, non potendosi minimamente
dubitare che nell'attuale contesto storico le radiotelediffusioni soddisfi un
bisogno essenziale della collettività, si deve convenire che trattasi di un
servizio pubblico essenziale, caratterizzato da quel preminente interesse
generale che la norma costituzionale richiede perché legittimamente possa
essere disposta la riserva.
Che poi ricorrano «fini di utilità generale» è cosa che
già risulta da quanto s'è detto. La radiotelevisione adempie a fondamentali
compiti di informazione, concorre alla formazione culturale del paese, diffonde
programmi che in vario modo incidono sulla pubblica opinione e perciò è
necessario che essa non divenga strumento di parte: solo l'avocazione allo Stato
può e deve impedirlo.
5. Il monopolio statale, che per le cose dette trova
fondamento nell'art. 43 Cost. e per ciò sono non viola l’art. 41 Cost., non
risulta nemmeno incompatibile con l'art. 21 Cost.
La Corte, anche qui ribadendo argomenti già svolti nella
ricordata decisione n. 59 del 1960, rileva che, se quel monopolio non venisse
disposto, non per ciò riuscirebbe ad avere attuazione il diritto di
"tutti" di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni mezzo
di diffusione. A parte la considerazione che siffatto diritto non comprende
anche quello di disporre di tutti i possibili mezzi (cfr. sent. n. 105 del
1972), giova riaffermare che, non essendo controvertibile che il numero delle
bande di trasmissione sia limitato, la liberalizzazione inevitabilmente si
tradurrebbe in una effettiva riserva a pochi comportando con ciò grave
violazione di quel principio di eguaglianza che è cardine del nostro
ordinamento e la cui scrupolosa osservanza si impone specialmente là dove venga
in giuoco l'esercizio di un fondamentale diritto di libertà.
La verità è che proprio il pubblico monopolio - e non già
la gestione privata di pochi privilegiati - può e deve assicurare sia pure nei
limiti imposti dai particolari mezzi tecnici, che questi siano utilizzati in
modo da consentire il massimo di accesso, se non ai singoli cittadini, almeno a
tutte quelle più rilevanti formazioni nelle quali il pluralismo sociale si
esprime e si manifesta. Ché, anzi, è proprio questa un'ulteriore via
attraverso la quale si vedono raggiungere quei “fini di utilità
generale" in funzione dei quali l’art. 43 Cost. rende legittima la
riserva: il monopolio pubblico, in definitiva, deve essere inteso e configurato
come necessario strumento di allargamento dell’area di effettiva
manifestazione della pluralità delle voci presenti nella nostra società.
6. Le considerazioni fin qui esposte concorrono a dimostrare
che il monopolio statale dei servizi radiotelevisivi a trasmissione circolare
non viola in via di principio le disposizioni costituzionali di raffronto. Ma
occorre a questo punto accertare se quel monopolio risulti costituzionalmente
giustificato in tutta la sua ampiezza e se, nella parte di sua legittima
operatività, esso sia accompagnato da garanzie idonee ad assicurare che il suo
esercizio sia effettivamente diretto al conseguimento, di quei fini di utilità
generale che soli possono consentirlo.
7. Quanto al primo aspetto, la Corte osserva che la riserva
allo Stato, in quanto trova il suo presupposto nel numero limitato delle bande
di trasmissione assegnate all'Italia, non può abbracciare anche attività, come
quelle inerenti ai c.d. ripetitori di stazioni trasmittenti estere, che non
operano sulle bande anzidette. E' evidente che in questo particolare settore,
senza apprezzabili ragioni, l’esclusiva statale sbarra la via alla libera
circolazione delle idee, compromette un bene essenziale della vita democratica,
finisce col realizzare una specie di autarchia nazionale delle fonti di
informazione. Può ammettersi che l'impianto e l'esercizio di siffatti
ripetitori debbano essere sottoposti ad una disciplina legislativa in
considerazione della salvaguardia di pubblici interessi. Ma è anche vero che la
tutela di questi ultimi può realizzarsi con un regime di autorizzazione, non
esige certo l'esclusione del diritto del singolo.
8. Volgendo ora l'esame al diverso problema delle garanzie
che devono accompagnare la riserva allo Stato, occorre trarre le debite
conclusioni da quanto si è detto nei precedenti paragrafi. La sottrazione del
mezzo radiotelevisivo è legittima solo se si assicuri che il suo esercizio sia
preordinato a due fondamentali obiettivi: a trasmissioni che rispondano alla
esigenza di offrire al pubblico una gamma di servizi caratterizzata da
obiettività e completezza di informazione, da ampia apertura a tutte le
correnti culturali, da imparziale rappresentazione delle idee che si esprimono
nella società; a favorire, a rendere effettivo ed a garantire il diritto di
accesso nella misura massima consentita dai mezzi tecnici. In mancanza di una
disciplina legislativa che imponga queste due Idee direttive e che predisponga
gli strumenti all'uopo adeguati, il mezzo radiotelevisivo, posto nella libera
disponibilità di chi lo gestisce, rischia - non meno, e forse con maggior
danno, che se fosse nelle mani di pochi privati - di essere un poderoso
strumento a servizio di pane, non certo a vantaggio della collettività. In
altri termini, il monopolio pubblico, una volta libero da ogni regola che
correttamente ed efficientemente ne disciplini l'esercizio, potrebbe tendere a
fini e portare a risultati diametralmente opposti a quelli voluti dalla
Costituzione.
Nel fare questa affermazione la Corte non intende esprimere
alcun giudizio sul modo col quale i mezzi radiotelevisivi sono stati finora
gestiti: intende solo adempiere al suo dovere di accertare quali siano le
condizioni minime necessarie perché il monopolio statale possa essere
considerato conforme ai principi costituzionali.
A tal proposito la Corte - pur nel rispetto della
discrezionalità del legislatore di scegliere gli strumenti più appropriati ad
assicurare il conseguimento dei due fondamentali obiettivi di cui innanzi si è
discorso - ritiene che la legge debba almeno prevedere: a)che gli organi
direttivi dell'ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario
privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da
rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o
preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da
garantirne l'obiettività; b) che vi siano direttive idonee a garantire che i
programmi di informazione siano ispirati a criteri di imparzialità e che i
programmi culturali, nel rispetto dei valori fondamentali della Costituzione,
rispecchino la ricchezza e la molteplicità delle correnti di pensiero; c) che
per la concretizzazione di siffatte direttive e per il relativo controllo siano
riconosciuti ad adeguati poteri al Parlamento, che istituzionalmente rappresenta
l'intera collettività nazionale; d) che i giornalisti preposti ai servizi di
informazione siano tenuti alla maggiore obiettività e posti in grado di
adempiere ai loro doveri nel rispetto dei canoni della deontologia
professionale; e) che, attraverso una adeguata limitazione della pubblicità, si
eviti il pericolo che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di
finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che
la Costituzione fa oggetto di energica tutela; f) che, in attuazione di una
esigenza che discende dall'art. 21 Cost., l'accesso alla radiotelevisione sia
aperto, nei limiti massimi consentiti, imparzialmente ai gruppi politici,
religiosi, culturali nei quali si esprimono le varie ideologie presenti nella
società; g) che venga riconosciuto e garantito - come imposto dal rispetto dei
fondamentali diritti dell'uomo - il diritto anche del singolo alla rettifica.
A tanto non provvede la legislazione vigente, nella quale -
a parte alcune disposizioni contenute nel d.l. C.p.S. 3 aprile 1947 n. 428
(modificato dalla l. 23 agosto 1949 n. 681), palesemente insufficienti ad,
assicurare serie direttive in ordine ai programmi ed a consentire un efficiente
controllo del Parlamento - nulla si rinviene che possa corrispondere a quel
minimo di regolamento a cui innanzi si è fatto cenno.
9. Per le ragioni esposte deve essere dichiarata, nei sensi
di cui in motivazione e nella parte relativa ai servizi di radiotelediffusione
circolare a mezzo di onde elettromagnetiche, l'illegittimità costituzionale: a)
degli artt. 1, 166, 168, n. 5, 178 e 251 del r.d. 27 febbraio 1936 n. 645 (in
parte modificato dalla l. 14 marzo 1952 n. 196); b) degli artt. 1, 183 e 195 del
d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156.
10. L'ordinanza 15 maggio 1971 del pretore di Poggibonsi
impugna gli artt. 1, 2 e 18 del r.d. 8 febbraio 1923, n. 1067, ma, correttamente
interpretando il provvedimento, le censure devono essere ritenute rivolte alle
corrispondenti norme contenute nel r.d. n. 645 del 1936, oggetto della
dichiarazione di parziale illegittimità. L'ordinanza 17 febbraio 1972 del
pretore di Macerata impugna l'articolo 9 del d.P.R. 5 agosto 1966 n. 1214, e
l’ordinanza 22 marzo 1973 del pretore di Perosa Argentina impugna il d.P.R. 26
gennaio 1952 numero 180. In entrambi i casi si tratta di atti non aventi forza
di legge e pertanto le relative questioni devono essere dichiarate
inammissibili.
Varie ordinanze impugnano, fra l'altro, l'art. 3 l. 14 marzo
1952 n. 196. Ma poiché ovviamente tale disposizione, che si limita a disporre
l'obbligo di preventiva denuncia della detenzione di apparecchi
radiotrasmittenti, non viola gli artt. 21, 41 e 43 Cost., la questione deve
essere dichiarata non fondata.
P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE
a) Dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1,
166, 168, n. 5, 178 (così come sostituito dall'art. 1, n. 2, l. 14 marzo 1952
n. 196) e 251 del r.d. 27 febbraio 1936 n. 1645 (Approvazione del codice postale
e delle telecomunicazioni), e degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973
n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia
postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nella parte relativa ai servizi
di radiotelediffusione circolare a mezzo di onde elettromagnetiche;
b) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 9 del d.P.R. 5 agosto 1966 n. 1214 (Nuove norme sulle
concessioni di impianto e di esercizio di stazioni di radioamatori), e del
d.P.R. 26 gennaio 1952 n. 180 (Approvazione ed esecutorietà della convenzione
per la concessione alla RAI del servizio di radioaudizioni e televisione
circolare e del servizio di telediffusione su filo), sollevata in riferimento
agli artt. 2, 41 e 43 Cost.;
c) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 3, l. 14 marzo 1952 n. 196, sollevata in riferimento
agli articoli 21, 41 e 43 Cost.