SENTENZA
N. 308
ANNO
2003
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
Riccardo
CHIEPPA Presidente
Gustavo
ZAGREBELSKY Giudice
Valerio
ONIDA
"
Carlo
MEZZANOTTE "
Fernanda
CONTRI "
Guido
NEPPI MODONA "
Piero
Alberto CAPOTOSTI "
Annibale
MARINI "
Franco
BILE "
Giovanni
Maria FLICK "
Ugo
DE SIERVO "
Romano
VACCARELLA "
Alfio
FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 2 del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento, notificato il 23 aprile 2001, depositato in cancelleria il 3 maggio 2001 e iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2001.
Visto l’atto di costituzione
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica
dell’11 marzo 2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi l’avvocato Giandomenico
Falcon per la Provincia di Trento e l’avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.1. – Con
ricorso notificato il 23 aprile 2001, depositato il successivo 3 maggio, la
Provincia autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 2 del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5
(Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni
radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti
radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n.
66, in riferimento agli articoli 2, 4, 8, numeri 4), 5), 6), 14), 16), 17), 18),
19), 21) e 24), 9, numeri 9) e 10), 16 e 102 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché agli articoli 2 e 4 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali
e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e
coordinamento).
1.2. – A
fondamento del ricorso la Provincia autonoma di Trento rivendica la propria
competenza nella «materia relativa alla localizzazione ed al controllo delle
emissioni degli impianti per la trasmissione radiotelevisiva», in quanto
riconducibile alle competenze legislative fissate dall’articolo 8 dello
statuto speciale, in tema di urbanistica (numero 5), di tutela del paesaggio
(numero 6), di acque minerali e termali (numero 14), di alpicoltura e parchi per
la protezione della flora e della fauna (numero 16), di viabilità, acquedotti e
lavori pubblici di interesse provinciale (numero
17), di assunzione diretta di servizi pubblici (numero 19), di agricoltura e
foreste (numero 21), di opere idrauliche di terza, quarta e quinta categoria
(numero 24), nonché dall’articolo 9 dello statuto, in tema di utilizzazione
delle acque pubbliche (numero 9) e di igiene e sanità (numero 10); inoltre, ad
avviso della ricorrente, la competenza provinciale fatta valere deriverebbe da
quella in materia di usi e costumi locali ed istituzioni culturali aventi
carattere provinciale e di manifestazioni ed attività artistiche culturali ed
educative locali [articolo 8, numero 4), dello statuto], e altresì dalla «facoltà
di assumere iniziative per consentire, anche mediante appositi impianti, la
ricezione di radiodiffusioni sonore e visive in lingua ladina, nonché per
collegarsi con le aree culturali europee», riconosciuta alla Provincia
dall’articolo 10 del d.P.R. 1° novembre 1973, n. 691 [Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernente usi e
costumi locali ed istituzioni culturali (biblioteche, accademie, istituti,
musei) aventi carattere provinciale; manifestazioni ed attività artistiche,
culturali ed educative locali e, per la Provincia di Bolzano, anche con i mezzi
radiotelevisivi, esclusa la facoltà di impiantare stazioni radiotelevisive],
come modificato dall’articolo 1 del decreto legislativo 15 dicembre 1998, n.
487; facoltà che si raccorda, a sua volta,
agli articoli 2 (che riconosce parità di diritti ai cittadini di ogni
gruppo linguistico e garantisce la salvaguardia delle rispettive caratteristiche
etniche e culturali), 4 (che riconduce espressamente la tutela delle minoranze
linguistiche locali nell’ambito degli interessi nazionali) e 102 (che
attribuisce alle popolazioni ladine il diritto alla valorizzazione delle proprie
iniziative e attività culturali) dello statuto speciale.
A ciò la
ricorrente aggiunge che in tutte le materie sopra menzionate spettano alla
Provincia altresì le funzioni amministrative, ai sensi dell’articolo 16 dello
statuto.
1.3. –
Premesse dunque le ragioni che inducono ad affermare la propria competenza
legislativa in materia di localizzazione e di controllo delle emissioni degli
impianti per la trasmissione radiotelevisiva, e dopo avere dato atto che la
concreta «individuazione dei siti» per gli impianti di trasmissione è
demandata (previa intesa con la Provincia: sentenza della Corte costituzionale n.
21 del 1991) al piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze,
previsto dall’articolo 3, comma 7, della legge 6 agosto 1990, n. 223
(Disciplina del settore radiotelevisivo pubblico e privato), la ricorrente
aggiunge di avere «concretamente, ripetutamente ed efficacemente» esercitato
detta competenza, sotto diversi profili, per mezzo di vari atti normativi e
segnatamente:
(a) quanto
alla localizzazione e al trasferimento degli impianti, attraverso la legge
provinciale 28 aprile 1997, n. 9 (Individuazione di siti per la localizzazione
di impianti di radiodiffusione), il cui articolo 1 attribuisce alla Giunta
provinciale il potere di formulare proposte di individuazione di siti per la
localizzazione di impianti di radiodiffusione sonora e televisiva ai fini del
conseguimento dell’intesa con lo Stato (commi 1 e 2), disponendo altresì –
anche per garantire «la protezione dall’esposizione ai campi elettromagnetici»
– l’installazione negli appositi siti individuati dal piano nazionale di
assegnazione delle radiofrequenze o, nelle more dell’approvazione, nei siti
individuati dalla Giunta provinciale, oltre che degli impianti radiotelevisivi,
anche degli altri impianti fissi per le telecomunicazioni (comma 2-bis, introdotto dalla legge provinciale 20 marzo 2000, n. 3); mentre
l’articolo 4 prevede la rimozione, a cura dei rispettivi concessionari, degli
impianti radiotelevisivi collocati fuori dalle aree individuate dal suddetto
piano (comma 1), conferendo alla Giunta provinciale il potere, in caso di
inadempienza, di provvedervi d’ufficio a spese del trasgressore (comma 2);
(b) quanto al
risanamento degli impianti, con la legge provinciale 11 settembre 1998, n. 10
(Misure collegate con l’assestamento del bilancio per l’anno 1998), il cui
articolo 61, modificato dall’articolo 20 della legge provinciale n. 3 del
2000, dispone che il decreto del Ministro dell’ambiente 10 settembre 1998, n.
381 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza
compatibili con la salute umana), trovi applicazione anche nell’ambito della
Provincia di Trento, prevedendo poi espressamente che la Giunta provinciale
provveda con proprio regolamento a disciplinare l’attuazione dello stesso
decreto ministeriale;
(c) con il
decreto del Presidente della Giunta provinciale 29 giugno 2000, n. 13-31/Leg.
(Disposizioni regolamentari concernenti la protezione dall’esposizione a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici, ai sensi dell’articolo 61 della
legge provinciale 11 settembre 1998, n. 10), il quale esclude (articolo 2) che
gli impianti fissi delle telecomunicazioni possano essere ubicati nelle
vicinanze di determinati luoghi espressamente indicati, qualora tale ubicazione
non renda possibile il conseguimento di specifici obiettivi di qualità,
determinati peraltro – osserva la Provincia – «in termini più rigorosi
rispetto alla corrispondente normativa statale»,
precisando poi che gli impianti – ivi compresi quelli destinati alle
trasmissioni radiotelevisive, ai sensi dell’articolo 8 dello stesso
regolamento provinciale – che si trovino in prossimità di quei luoghi in
violazione degli obiettivi di qualità stabiliti dall’articolo 2, o che
comunque superino i limiti di esposizione ed i valori di cui agli articoli 3 e 4
del citato d.m. n. 381 del 1998, siano «ricondotti a conformità ovvero
delocalizzati a cura dei soggetti gestori degli impianti stessi» (articolo 5),
e prevedendo inoltre, al fine di garantire il rispetto delle norme citate, un
articolato sistema di controlli imperniato sull’opera dell’Agenzia
provinciale per la protezione dell’ambiente e sul potere, conferito ai sindaci
dei comuni interessati, di diffidare eventuali trasgressori e di provvedere, in
caso di ulteriore inadempienza, alla sospensione e alla successiva
disattivazione e rimozione degli impianti che non rispettino tali limiti
(articolo 6); non senza considerare – prosegue ancora la ricorrente – come
già l’articolo 3 della sopra richiamata legge provinciale n. 9 del 1997
prevedesse, quanto all’osservanza dei requisiti tecnici fissati dalla Giunta
provinciale per l’installazione degli impianti radiotelevisivi, un autonomo
sistema di controlli, corredato da apposite sanzioni.
1.4. –
Secondo la ricorrente, su tale complessiva normativa provinciale verrebbe ora
direttamente a incidere la disciplina recata dalla disposizione impugnata, che,
dettando norme per il «trasferimento e risanamento degli impianti
radiotelevisivi»: (a) prevede, a cura del
Ministero delle comunicazioni, il trasferimento nei siti individuati a
livello nazionale dai piani di assegnazione delle frequenze – o, in attesa di
quelli, nei siti individuati dalle regioni o dalle province autonome – degli
impianti radiotelevisivi che superino i valori massimi di emissioni
elettromagnetiche previsti dal d.m. n. 381 del 1998 (comma 1); (b) stabilisce le
modalità dell’individuazione dei siti ad opera di regioni e province autonome
(comma 1-bis); (c) si preoccupa infine
di apprestare apposite misure sanzionatorie volte a garantire l’effettività
delle azioni di risanamento già previste dall’articolo 5 del d.m. n. 381 del
1998, stabilendo, per l’ipotesi in cui i titolari degli impianti non
ottemperino all’ordine di riduzione a conformità, l’irrogazione di una
sanzione pecuniaria da parte delle regioni e delle province autonome e
prevedendo, in caso di reiterazione della violazione, la disattivazione degli
impianti ad opera del Ministro dell’ambiente (comma 2).
In tal modo,
ad avviso della ricorrente, la normativa statale «sovrappone, alle competenze e
procedure individuate dalla legge provinciale, competenze e procedure
determinate dalla legge statale, tra l’altro attribuendo ad organi statali
compiti oggi svolti da organi provinciali o da organi individuati dalla legge
provinciale», e ciò si tradurrebbe in una invasione delle competenze
attribuite alla Provincia autonoma di Trento dagli articoli 2 e 4 del decreto
legislativo n. 266 del 1992.
In primo
luogo, sussisterebbe la dedotta violazione del richiamato articolo 2 del decreto
legislativo n. 266 del 1992 – il quale stabilisce che nelle materie di
competenza provinciale le norme dettate dalla legislazione statale non operino
direttamente, salvo l’obbligo di successivo adeguamento semestrale da parte
delle province autonome ai principi dettati da tali norme statali –, in
quanto, non potendosi dubitare che la competenza normativa ed amministrativa in
materia di trasferimento degli impianti nei siti previsti e di azioni di
risanamento spetti alla Provincia, il disposto dell’articolo 2 del
decreto-legge n. 5 del 2001 non avrebbe dovuto disciplinare direttamente il
trasferimento e il risanamento degli impianti di diffusione radiotelevisiva
anche con riferimento alla Provincia autonoma di Trento. In questo modo, secondo
la ricorrente, la legislazione statale verrebbe a sovrapporsi alla disciplina
dettata dalle leggi provinciali sopra citate (nonché alla normativa attuativa
dettata dal regolamento provinciale n. 13-31/Leg. del 2000), e ciò in aperto
contrasto con l’articolo 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, che –
osserva la Provincia ricorrente – tale sovrapposizione ha proprio inteso
evitare.
In secondo
luogo, la disciplina impugnata risulterebbe censurabile per un ulteriore profilo
di incostituzionalità, prevedendo essa, in violazione dello statuto di
autonomia e delle norme di attuazione (articolo 4 del decreto legislativo n. 266
del 1992), «che attività amministrative locali siano svolte da organi statali,
tra l’altro in sostituzione di compiti e poteri oggi già svolti dalle autorità
provinciali».
Aggiunge la
ricorrente che le censurate riserve a favore dell’apparato statale delle
potestà amministrative in tema di controllo sugli impianti di radiodiffusione
televisiva non potrebbero essere giustificate neppure dall’esigenza di
garantire in modo uniforme per l’intero territorio nazionale il preminente
interesse alla tutela dell’ambiente; nella specie, infatti, non si tratta di
un interesse non frazionabile, ma, al contrario, di un interesse «per sua
natura frazionato», la cui migliore cura spetterebbe appunto alla ricorrente
Provincia, alla quale lo statuto, e la citata normativa di attuazione,
attribuiscono l’esercizio esclusivo della relativa funzione amministrativa.
2. – Nel
giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, riservando a
successiva memoria (poi non depositata) lo sviluppo delle proprie
argomentazioni, ha chiesto una pronuncia d’infondatezza del ricorso
provinciale.
1. – La Provincia autonoma di Trento solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66.
La
norma impugnata prevede, al comma 1, che, in attesa dell’attuazione dei piani
di assegnazione delle frequenze, «gli impianti di radiodiffusione sonora e
televisiva che superano o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti e i
valori stabiliti in attuazione dell’articolo 1, comma 6, lettera a),
numero 15, della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono trasferiti, con onere a
carico del titolare dell’impianto, su iniziativa delle regioni e delle
province autonome, nei siti individuati dal piano nazionale di assegnazione
delle frequenze televisive in tecnica analogica e dai predetti piani e, fino
alla loro adozione, nei siti indicati dalle regioni e dalle province autonome,
purché ritenuti idonei sotto l’aspetto radioelettrico dal Ministero delle
comunicazioni, che dispone il trasferimento e, decorsi inutilmente centoventi
giorni, d’intesa con il Ministero dell’ambiente, disattiva gli impianti fino
al trasferimento»; al comma 1-bis,
che «le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano indicano i siti
di cui al comma 1, sentiti i comuni competenti, ferme restando le competenze
attribuite ai comuni medesimi in materia di urbanistica ed edilizia per quanto
riguarda l’installazione degli impianti di telefonia mobile anche ai fini
della tutela dell’ambiente, del paesaggio nonché della tutela della salute»;
al comma 2, che «le azioni di risanamento previste dall’articolo 5 del
decreto 10 settembre 1998, n. 381 del Ministro dell’ambiente sono disposte
dalle regioni e dalle province autonome a carico dei titolari degli impianti. I
soggetti che non ottemperano all’ordine di riduzione a conformità, nei
termini e con le modalità ivi previsti, sono puniti con […] sanzione amministrativa pecuniaria […] irrogata dalle regioni e
dalle province autonome. In caso di reiterazione
della violazione, il Ministro dell’ambiente […], di concerto con il
Ministro della sanità e con il Ministro delle comunicazioni, dispone, anche su
segnalazione delle regioni e delle province autonome, la disattivazione degli
impianti, alla quale provvedono i competenti organi del Ministero delle
comunicazioni, fino all’esecuzione delle azioni di risanamento».
Ritiene la
Provincia ricorrente di essere titolare della competenza normativa e
amministrativa in materia di «delocalizzazione» e di «risanamento di impianti
radiotelevisivi», in forza degli articoli 2; 4; 8, numeri 4), 5), 6), 14), 16),
17), 18), 19), 21) e 24); 9, numeri 9) e 10); 16 e 102 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e delle relative
norme di attuazione.
Conseguentemente,
posto che le norme ricordate pretendano di valere immediatamente anche
nell’ambito della Provincia di Trento, il legislatore statale non avrebbe
potuto disciplinare direttamente la materia in questione. L’articolo 2 del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di
indirizzo e coordinamento), non ammetterebbe una simile incidenza diretta della
legislazione statale nell’ambito provinciale. Esso prevede infatti
l’adeguamento della preesistente legislazione della Provincia, nei limiti
indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto speciale e nei sei mesi successivi
alla pubblicazione della normativa statale, restando nel frattempo applicabile
la legislazione provinciale.
Inoltre, la
normativa statale sottoposta al controllo di legittimità costituzionale si
porrebbe in contrasto anche con l’articolo 4 del decreto legislativo n. 266
del 1992, sopra ricordato. Essa infatti, prevedendo lo svolgimento di attività
amministrative locali da parte di autorità statali, anche in sostituzione di
compiti e poteri svolti presentemente da autorità provinciali alla stregua
della vigente legislazione provinciale, non rispetterebbe il divieto –
stabilito a carico del legislatore nazionale dalla norma di attuazione invocata
– di attribuire a organi statali, nelle materie di competenza propria delle
province autonome, funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, di
polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse
da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme
d’attuazione.
2. – La
questione non è fondata.
3. –
L’argomentazione della Provincia ricorrente si basa sulla premessa che la
materia «delocalizzazione» e «risanamento di impianti radiotelevisivi» sia
da ricondurre alla competenza legislativa provinciale. Tanto l’articolo 2
quanto l’articolo 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, infatti, trovano
applicazione soltanto nella regolazione dei rapporti tra attività normative e
amministrative statali e provinciali quando si verta in materie sulle quali la
Provincia autonoma possa vantare una propria competenza. Fuori da questa
ipotesi, lo schema del rapporto tra atti in quelle disposizioni prefigurato non
avrebbe ragione di operare.
Al fine di
affermare l’esistenza di tale competenza, la ricorrente richiama una nutrita
serie di disposizioni statutarie che riconoscono competenza legislativa alla
Provincia di Trento in materie riguardanti la parità nella Regione
Trentino-Alto Adige dei diritti dei cittadini, a qualunque gruppo linguistico
appartengano, e la salvaguardia delle loro caratteristiche etniche e culturali
(articoli 2 e 106 dello statuto speciale); la tutela delle minoranze
linguistiche locali (articolo 4, invocato genericamente); gli usi e i costumi
locali e le istituzioni culturali aventi carattere provinciale, le
manifestazioni e le attività artistiche, culturali ed educative locali;
l’urbanistica e i piani regolatori; la tutela del paesaggio; le miniere,
comprese le acque minerali e termali, le cave e le torbiere; l’alpicoltura e i
parchi per la protezione della flora e della fauna; la viabilità, gli
acquedotti e i lavori pubblici di interesse provinciale; le comunicazioni e i
trasporti di interesse provinciale; l’assunzione di servizi pubblici e la loro
gestione; l’agricoltura, le foreste, il corpo forestale, il patrimonio
zootecnico e ittico, gli istituti fitopatologici, i consorzi agrari e le
stazioni agrarie sperimentali, i servizi antigrandine, la bonifica; le opere
idrauliche [articolo 8, numeri 4), 5), 6), 14), 16), 17), 18), 19), 21) e 24)
dello statuto]; l’utilizzazione delle acque pubbliche; l’igiene e la sanità
[articolo 9, numeri 9) e 10), dello stesso
statuto].
E’ facile constatare che a nessuna delle numerose materie provinciali indicate si sovrappone direttamente la materia oggetto della normativa statale impugnata. Questa specificamente riguarda la garanzia del rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità [quali definiti dall’articolo 3, comma 1, della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), rispettivamente alle lettere b), c), e d), numero 2)], finalizzati alla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, come parte del sistema normativo preposto alla disciplina degli apparati tecnici necessari alla formazione della rete generale delle telecomunicazioni, secondo anche l’indicazione che proviene dalla normativa europea (direttiva 96/2/CE della Commissione; direttiva 90/338/CEE della Commissione; nonché, sul piano tecnico, raccomandazione del Consiglio 1999/519/CE). La correlativa attività di vigilanza nel campo dell’intensità delle emissioni elettromagnetiche è stata assegnata, per lo Stato, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni [articolo 1, comma 6, lettera a), numero 15), della legge 31 luglio 1997, n. 249], e l’articolo 4, comma 1, della citata legge n. 36 del 2001 – entrata in vigore tra l’emanazione del decreto-legge in cui è compreso l’articolo 2 impugnato, e la sua conversione in legge – ha ribadito la competenza dello Stato in questa materia «in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo 1» della legge medesima. I provvedimenti relativi alla «delocalizzazione» e al «risanamento di impianti radiotelevisivi» rientrano evidentemente in questo quadro, fortemente caratterizzato in senso unitario.
Poiché l’operatività degli articoli 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992 presuppone dunque, come si è rilevato, la pertinenza della materia alla competenza provinciale e poiché non è questo il caso che si verifica nella specie, risulta l’infondatezza della questione sollevata sulla base della pretesa violazione di tali due articoli del decreto legislativo di attuazione dello statuto speciale in tema di rapporto tra attività legislativa e amministrativa statale e provinciale.
4. – E’ vero, peraltro, che gli interventi per la «delocalizzazione» e il «risanamento di impianti radiotelevisivi», pur distinguendosi materialmente dalle competenze legislative della Provincia, indirettamente, quanto agli effetti, ne coinvolgono varie, statutariamente garantite, tra quelle invocate dalla ricorrente e sopra richiamate. Lo stesso menzionato articolo 4 della legge n. 36 del 2001, nell’affidare allo Stato l’esercizio delle funzioni relative alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità di cui all’articolo 3, comma 1, lettere b), c) e d), numero 2), della medesima legge, in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee, richiama le finalità di cui all’articolo 1, tra cui sono comprese la tutela della salute, dell’ambiente e del paesaggio. Dal punto di vista delle finalità perseguite nell’esercizio delle funzioni statali, la competenza che l’articolo 2 riconosce allo Stato si incontra dunque con alcune di quelle statutariamente attribuite alla Provincia.
In casi di
questo genere, come questa Corte ha numerose volte affermato (per tutte,
sentenze n. 96 del
2003, n. 422
del 2002), occorre addivenire a forme di esercizio delle funzioni, da parte
dell’ente competente, attraverso le quali siano efficacemente rappresentati
tutti gli interessi e le posizioni costituzionalmente rilevanti. Nei casi in
cui, per la loro connessione funzionale, non sia possibile una netta separazione
nell’esercizio delle competenze, vale il principio detto della «leale
cooperazione», suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e
intensità della pur necessaria collaborazione. In materia di
radiocomunicazioni, questo principio, recepito nella legislazione [articolo 8,
comma 1, lettera a), della legge n. 36
del 2001], è stato originariamente affermato da questa Corte già nella sentenza
n. 21 del 1991, nella quale è stata sottolineata la necessaria
partecipazione, con effettivi poteri di codeterminazione, delle autonomie
regionali e provinciali all’elaborazione del piano di assegnazione delle
radiofrequenze, implicante (a norma dell’articolo 3, comma 7, della legge 6
agosto 1990, n. 223) la determinazione, sulla base dei bacini di utenza, delle
aree di servizio degli impianti radiotelevisivi e quindi della loro
localizzazione sul territorio.
La medesima
esigenza di partecipazione delle autonomie regionali e provinciali si verifica
anche nel caso in esame, stante l’effetto di coinvolgimento di funzioni
regionali e provinciali delle determinazioni concernenti la «delocalizzazione»
e il «risanamento di impianti radiotelevisivi».
E in effetti
le norme impugnate collocano le regioni e le province autonome in momenti-chiave
dei procedimenti destinati a concludersi con quelle determinazioni, assegnate
alla competenza di autorità amministrative statali. Infatti, a norma del comma
1 dell’articolo 2 impugnato, le regioni e le province dispongono del potere di
iniziativa nel procedimento di trasferimento degli impianti fuori norma e la
nuova localizzazione viene disposta nei siti individuati dai piani nazionali di
assegnazione delle frequenze, individuazione alla quale partecipano, come si è
detto, regioni e province autonome; ovvero, in mancanza, nei siti dalle medesime
regioni e province autonome indicati, sentiti i comuni competenti (comma 1-bis),
purché ritenuti idonei, sotto l’aspetto radioelettrico, dall’autorità
ministeriale. A norma del comma 2 dell’articolo 2, poi, le azioni di
risanamento sono disposte dalle regioni e dalle province autonome, alle quali
spetta l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista. La disattivazione
degli impianti, in caso di reiterazione delle violazioni, è sì disposta
dall’autorità ministeriale ma presuppone le azioni di risanamento avviate su
iniziativa delle regioni e delle province, alle quali spetta la segnalazione
all’autorità centrale dell’esistenza dei presupposti per la disattivazione.
Dal che
risulta con evidenza che la legislazione dello Stato, per i procedimenti in
questione, si è ispirata al principio di leale cooperazione con regioni e
province autonome.
5. – La
ricorrente sottolinea l’esistenza nella Provincia di Trento di una
legislazione concernente la localizzazione dei siti, compreso il trasferimento
in essi degli impianti, il controllo sulle emissioni e le azioni di risanamento;
una legislazione che risulterebbe pienamente conforme alle direttrici della
legislazione dello Stato e, anzi, sotto qualche aspetto, anche più rigorosa. Da
questa constatazione, peraltro, non discendono conseguenze che possano
modificare il risultato del precedente scrutinio di legittimità costituzionale
delle norme denunciate, che riguarda non il contenuto delle scelte legislative
ma la spettanza delle stesse alle competenze dello Stato o della Provincia
autonoma.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 del
decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di
termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché
per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito, con modificazioni,
dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 4,
8, numeri 4), 5), 6), 14), 16), 17), 18), 19), 21) e 24), 9, numeri 9) e 10), 16
e 102 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige), e agli articoli 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266
(Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), dalla
Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 ottobre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2003.