SENTENZA
N.826
ANNO
1988
REPUBBLICA
ITALIANA
In
nome del Popolo Italiano
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
Presidente
Dott.
Francesco SAJA,
Giudici
Prof.
Giovanni CONSO
Prof.
Ettore GALLO
Dott.
Aldo CORASANITI
Prof.
Giuseppe BORZELLINO
Dott.
Francesco GRECO
Prof.
Renato DELL'ANDRO
Prof.
Gabriele PESCATORE
Avv.
Ugo SPAGNOLI
Prof.
Francesco Paolo CASAVOLA
Prof.
Antonio BALDASSARRE
Prof.
Vincenzo CAIANIELLO
Avv.
Mauro FERRI
Prof.
Luigi MENGONI
Prof.
Enzo CHELI
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 del
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo uni co delle disposizioni
legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), in
relazione agli artt. 1, 2 e ss. e 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove
norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) e 2 della legge 10
dicembre 1975, n. 693 (Ristrutturazione del Consiglio superiore tecnico delle
poste, delle telecomunicazioni e dell'automazione) e degli artt. 2, 3 e 4 della
legge 4 febbraio 1985, n. 10 (Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807, recante
disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive), promossi con
le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa
il 4 maggio 1982 dal Pretore di Roma nei procedimenti civili riuniti vertenti
tra la S.p.A. RAI e Canale 5 ed altri, iscritta
al n. 771 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 46 dell'anno 1983;
2) ordinanza emessa
il 25 febbraio 1985 dal Pretore di Torino nel
procedimento penale a carico di Berlusconi Silvio ed altri, iscritta al n. 430
del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 287 bis dell'anno 1985;
3) ordinanza emessa
il 4 febbraio 1986 dal Tribunale di Genova nel
procedimento penale a carico di Patti Giuseppe, iscritta al n. 414 del registro
ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43,
prima serie speciale, dell'anno 1986;
Visti gli atti di
costituzione di Rusconi Editore, Quinta Rete, Antenna Nord, Antenna Nord
Piemonte, della Federazione Italiana Emittenti
Locali, di Telespazio Calabria, di Tele Libera Firenze e Tele Tirreno Uno, di
Roma 2, Telemilano, Teletorino, Sardegna TV e Video Adige, della S.p.A. Delta,
di Teletoscana, della RAI, di Marcucci
Marialina ed altro, di Alby Renato, di Barberi Giuseppe e dell'Associazione
Nazionale Teleradio Indipendenti nonché gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza
pubblica del 7 giugno 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
uditi l'avv.
Francesco Vassalli per Rusconi Editore, Quinta Rete, Antenna Nord e Antenna Nord
Piemonte, l'avv. Elio Fazzalari per Telespazio Calabria, l'avv. Carlo Vichi per
Tele Libera Firenze e Tele Tirreno Uno, gli avvocati Aldo Bonomo e Cesare
Previti per Roma 2, Telemilano, Teletorino, Sardegna TV e Video Adige, gli
avvocati Aldo Bonomo e Felice Vaccaro per Teletoscana, gli avvocati Paolo
Barile, Alessandro Pace e Attilio Zoccali per la S.p.A. RAI, l'avv. Carlo Vichi per Marcucci Marialina ed altro, gli
avvocati Aldo Bonomo e Vittorio Dotti per Alby Renato, l'avv. Mario Contaldi per
Barberi Giuseppe, l'avv. Gino Tomei per l'Associazione Nazionale Teleradio
Indipendenti e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Considerato
in diritto
8. -Con le
ordinanze indicate in epigrafe, i Pretori di Roma (r.o. n. 771/82) e Torino (r.o.
n. 430/85) ed il Tribunale di Genova (r.o. n. 414/86) impugnano un complesso di
norme che disciplinano le trasmissioni radiotelevisive su scala nazionale. In
particolare, il Pretore di Roma dubita - in riferimento agli artt. 21, primo
comma, 41, primo comma, 9, 33 e 34 Cost. - della legittimità costituzionale
della riserva allo Stato della radio-telediffusione estesa all'intero territorio
nazionale, quale risulta dal combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 del
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (modificati dall'art. 45 l. n. 103/1975), nonché
dell'art. 2 della legge 10 dicembre 1975, n. 693 e degli artt. 1 e 2 della legge
14 aprile 1975, n. 103, mentre il Pretore di Torino e il Tribunale di Genova
impugnano le disposizioni dettate negli artt. 2, 3 e 4, comma terzo bis della
legge 4 febbraio 1985 n. 10, nella parte in cui
consentono per il futuro e dichiarano non punibile per il passato l'attività
privata di trasmissione in ambito nazionale, o comunque ultralocale, per
violazione degli artt. 21, 3 e 41 Cost..
9. - Nella concreta
disciplina della radiotelediffusione, com'é noto, ha inciso profondamente la
giurisprudenza di questa Corte, mossa dalla costante e primaria preoccupazione
di assicurare, in tale settore, l'effettiva garanzia del valore fondamentale del
pluralismo.
A detto scopo, essa
ha più volte e, da ultimo, con la sentenza
n. 148 del 1981, ribadito la legittimità
della riserva allo Stato dell'attività radiotelevisiva su scala nazionale, e ciò
in vista del fine di utilità generale di evitare l'accentramento di questa
attività in situazioni di monopolio od oligopolio privati. ciò infatti
consentirebbe al privato di esercitare, in una posizione di preminenza, una
influenza sulla collettività incompatibile con le regole del sistema
democratico, e di comprimere indebitamente la generale libertà di
manifestazione del pensiero.
Le ragioni del
divieto dei processi di concentrazione sono state individuate dalla Corte, con
differente accentuazione e in tempi diversi, nella limitatezza delle frequenze
disponibili, negli elevati costi degli impianti all'uopo necessari (sentt. nn.
59/1960 e 225/1974), e, comunque, in una serie di fattori di ordine economico
che <con la utilizzazione del progresso della tecnologia, fa permanere i
rischi di concentrazione oligopolistica> (sent.
n. 148/1981).
Così giustificata
la riserva statale, la Corte si e altresì preoccupata di precisare i requisiti
minimi indispensabili che consentano all'emittenza pubblica di esplicare il
proprio compito, indicando una serie di criteri necessari ad improntarne la
struttura organizzativa e lo svolgimento dell'attività ad un rigoroso
pluralismo <interno>, onde consentire l'espressione delle varie ideologie
presenti nella società (sent. n. 225/1974).
10. - La riserva di
cui all'art. 43 Cost. relativa alle trasmissioni radiotelevisive, tuttavia,
proprio perché trova la sua unica ragion d'essere nella difesa del pluralismo
contro i pericoli di monopolio od oligopolio privato, si tradurrebbe in una
ingiustificata restrizione delle libertà garantite dagli artt. 21 e 41 Cost. in
tutte quelle ipotesi nelle quali non sussistano pericoli di concentrazioni.
Per tale motivo, la
Corte ha ritenuto che debbano essere sottratti alla riserva statale sia
l'esercizio di ripetitori di programmi televisivi esteri (sent. n. 225/1974),
sia l'esercizio di impianti televisivi via cavo e via etere con raggio limitato
all'ambito locale (sentt. nn. 226/1974 e 202/1976), sia, infine, la facoltà di
effettuare, anche in regime di autorizzazione, la trasmissione di programmi
destinati alla diffusione circolare verso l'estero (sent. n. 153/1987).
Coerentemente a
tale impostazione, la Corte, nella sentenza
n. 148 del 1981, ha così ipotizzato anche la
possibilità dell'abbandono della riserva statale delle trasmissioni su scala
nazionale, a condizione che il legislatore predisponga un efficace sistema di
garanzie idoneo ad attuare il fondamentale principio del pluralismo.
11. -
Nell'accingersi ad esaminare le questioni attualmente portate alla sua
attenzione, la Corte ritiene necessario ribadire il valore centrale del
pluralismo in un ordinamento democratico.
Allo stesso fine
reputa indispensabile, altresì, chiarire che il pluralismo dell'informazione
radiotelevisiva significa, innanzitutto, possibilità di ingresso, nell'ambito
dell'emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci consentano i
mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell'emittenza privata -perché il
pluralismo esterno sia effettivo e non meramente fittizio-che i soggetti
portatori di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere
emarginati a causa dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed
economiche nelle mani di uno o di pochi e senza essere menomati nella loro
autonomia.
Sotto altro
profilo, il pluralismo si manifesta nella concreta possibilità di scelta, per
tutti i cittadini, tra una molteplicità di fonti informative, scelta che non
sarebbe effettiva se il pubblico al quale si rivolgono i mezzi di comunicazione
audiovisiva non fosse in condizione di disporre, tanto nel quadro del settore
pubblico che in quello privato, di programmi che garantiscono l'espressione di
tendenze aventi caratteri eterogenei.
12. - I principi
informatori dell'attività radiotelevisiva indicati dalla Corte si sono
tradotti, per quanto concerne l'emittenza pubblica, nella legge n. 103 del 1975.
Sono rimaste invece
a lungo prive di qualsiasi seguito legislativo le indicazioni sull'emittenza
privata. Per quanto concerne, in particolare, le trasmissioni via etere in
ambito locale, il legislatore non ha ancora dato risposta ai ripetuti richiami
di questa Corte sulla necessità dell'adozione di una idonea disciplina
che-definendo l'ambito locale e fissando i criteri per l'assegnazione delle
frequenze e per il rilascio delle indispensabili autorizzazioni-armonizzi
l'esercizio del l'iniziativa privata con le esigenze del servizio pubblico
nazionale (sent. n. 202/1976 e, nello stesso senso, sentt.
nn. 237/1984, 35/1986
e ord. n.
35/1987).
Il vuoto
legislativo, protrattosi per un notevole periodo di tempo, ha oggettivamente
favorito il proliferare incontrollato dell'emittenza privata che-senza
richiedere la <previa> autorizzazione pur ritenuta necessaria da questa
Corte, seguita in ciò dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato-procedeva ad
un'invasione dell'etere, sconfinando anche in bande assegnate ad altri
utilizzatori.
13. - In questo
quadro, si e affermata la pratica del collegamento tra più emittenti locali
allo scopo di trasmettere programmi comuni sull'intero territorio nazionale, o,
comunque, in ambito ultralocale. Il che e stato al centro di opposti
orientamenti giurisprudenziali.
Da una parte,
infatti, si sosteneva l'illiceità delle trasmissioni in interconnessione su
scala nazionale per violazione della riserva statale; dall'altra, invece, si
distingueva tra inter connessione strutturale o degli impianti e
interconnessione funzionale o dei programmi, realizzata mediante la diffusione
in contemporanea, o con un brevissimo sfasamento di tempi, dello stesso
programma preregistrato: si concludeva, così, che solo la prima doveva
ritenersi compresa nella riserva statale, mentre la seconda poteva essere
lecitamente praticata dai privati, poiché le singole emittenti si limitavano a
trasmettere ciascuna nel proprio limitato ambito (locale).
Sulla materia, la
Corte, nella sentenza
n. 148 del 1981, premesso che <una serie
di fattori di ordine economico, con la utilizzazione del progresso della
tecnologia, fa permanere i rischi di concentrazione oligopolistica attraverso lo
strumento della interconnessione e degli altri ben noti mezzi di collegamento di
vario tipo oggi esistenti per le trasmissioni televisive> ha affermato che la
soluzione della questione di legittimità costituzionale concernente il
<fenomeno delle interconnessioni fra stazioni locali emittenti, effettuate in
modo tale da estendere la diffusione a tutto il territorio nazionale>
<scaturisce da tutto quanto già detto a proposito della liceità della
riserva allo Stato delle trasmissioni su scala nazionale>. <Il rilievo
costituzionale della questione, invero - ha aggiunto la Corte-si esaurisce
nell'aspetto ... limitato all'ipotesi in cui la interconnessione conduca ad una
trasmissione che travalichi i limiti di liberalizzazione delineati da questa
Corte con la sent. n. 202 del 1976. Ogni diverso aspetto del fenomeno, sia per
quanto riguarda i mezzi usati, sia per quanto riguarda l'ambito e le modalità
di esercizio delle trasmissioni sono materia devoluta alla regolamentazione
legislativa sulla cui urgente attuazione e già stata richiamata l'attenzione
degli organi competenti>.
14. - Il nutrito
contenzioso giudiziario che ha continuato ad investire le trasmissioni private
in interconnessione-fino a concludersi, in taluni casi, con l'6oscuramento>
delle emittenti collegate-ha infine indotto il legislatore ad intervenire.
Dopo un primo
decreto-legge (20 ottobre 1984, n. 694), la cui conversione, alla Camera dei
Deputati, e stata impedita dall'accoglimento di pregiudiziali di
incostituzionalità, il Governo ha adottato il D.L. 6 dicembre 1984, n. 807,
successivamente convertito, con modificazioni, nella legge 4 febbraio
1985 n. 10.
Questo testo
contiene, nell'art. 1, alcune disposizioni generali, tra le quali: il primo
comma, che ribadisce il carattere di preminente interesse generale della
diffusione sonora e televisiva e la sua riserva allo Stato; il secondo comma,
che enuncia i principi di pluralismo e libertà di manifestazione del pensiero
che debbono ispirare un sistema misto di emittenza pubblica e privata; infine,
il quinto comma, che rinvia alla futura legge generale sul sistema
radiotelevisivo per la compiuta disciplina dell'emittenza privata, comprese le
norme dirette ad evitare situazioni di oligopolio, ad assicurare la trasparenza
degli assetti proprietari e a regolare la pubblicità nazionale e quella locale.
L'art. 2 detta poi
indicazioni per la redazione del piano di assegnazione delle frequenze. Un
gruppo di articoli contiene norme organizzative della società concessionaria
del servizio pubblico (artt. 5-9), mentre altre disposizioni concernono i limiti
di affollamento delle trasmissioni pubblicitarie (art. 3-bis) la percentuale
minima di tempi di trasmissione da riservare alla diffusione di films di
produzione nazionale o comunitaria (art. 3, quarto comma) nonché prescrizioni
concernenti la propaganda elettorale (art. 9-bis).
Il fulcro del
provvedimento risiede negli artt. 3 e 4, li dove dettano una disciplina dell'emittenza
privata.
L'art. 3, che reca
la rubrica <norme transitorie>, dispone al primo comma che <sino
all'approvazione della legge generale sul sistema radiotelevisivo e comunque non
oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e
consentita la prosecuzione dell'attività delle singole emittenti
radiotelevisive private con gli impianti di radiodiffusione già in funzione
alla data del 1o ottobre 1984, fermo restando il divieto di determinare
situazioni di incompatibilità con i pubblici servizi>.
Il secondo comma
poi stabilisce che, ai fini di quanto previsto dal precedente comma, <sono
provvisoriamente consentiti, per ogni singola emittente, ponti radio tra i
propri studi di emissione, i rispettivi trasmettitori e tra gli stessi ed i
ripetitori con le caratteristiche tecniche in atto>.
Il terzo comma
infine stabilisce che <E’ consentita la trasmissione ad opera di più
emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipendentemente dagli orari
prescelti>.
L'art. 4, impone
agli esercenti di impianti di radiodiffusione l'obbligo di comunicarne al
Ministero le caratteristiche tecniche, chiarendo che tale comunicazione integra
la denuncia di detenzione già imposta dall'art. 403 cod. post., e dispone
infine, nel comma terzo bis, aggiunto in sede di conversione, che la sua
presentazione nei termini <rende non punibili le violazioni amministrative e
penali, di cui all'art. 195 del codice postale...commesse anteriormente alla
data di entrata in vigore del presente decreto>.
Pressochè
contemporaneamente alla approvazione della legge in questione, il Governo
presentava un disegno di legge (n. 2508) di riforma del sistema radiotelevisivo,
il cui iter si arrestava dopo una fase iniziale di discussione nelle competenti
Commissioni della Camera dei Deputati.
La nuova normativa
rappresentata dalla legge n. 10 del 1985 provocava a sua volta numerosi problemi
interpretativi ed applicativi, nonché i dubbi di legittimità costituzionale
sollevati dai giudici di Genova e di Torino.
Alla scadenza del
termine semestrale previsto dal primo comma dell'art. 3, veniva presentato dal
Governo un decreto-legge (1o giugno 1985, n. 223, convertito nella l. 2 agosto
1985, n. 397) con il quale si prorogava il termine al 31 dicembre 1985.
Dopodichè nessuna
proroga veniva più proposta.
15. - In questo
complesso quadro normativo e giurisprudenziale si collocano le ordinanze di
rimessione.
Per quanto concerne
la questione proposta dal Pretore di Roma, e necessario innanzitutto vagliare
l'eccezione di irrilevanza prospettata dalla difesa di alcune emittenti private
(par. 5.l.), sia in riferimento alla precedente disciplina legislativa impugnata
dal giudice a quo, sia con riguardo al sopravvenuto art. 3, terzo comma
introdotto dal D.L. n. 807 del 1984 convertito nella l. n. 10 del 1985.
L'eccezione muove
dal presupposto della liceità originaria delle trasmissioni private nazionali
effettuate in interconnessione funzionale, e dunque dall'affermazione secondo la
quale l'art. 3, terzo comma citato non sarebbe altro che una norma di
interpretazione autentica, che si limiterebbe, come tale, ad esplicitare un
precetto già contenuto negli artt. 195 cod. post., 1 e 2 della legge n. 103 del
1975, sicché la pronuncia di questa Corte non potrebbe esplicare alcuna
influenza nel giudizio a quo.
L'eccezione non può
essere accolta. L'asserzione della liceità ab origine dell'interconnessione
suddetta non e affatto suffragata, come si pretende, dalla sentenza n. 148 del
1981, e rende quindi inconsistente la tesi della natura meramente interpretativa
dell'art. 3 terzo comma, tesi che, del resto, dopo un inizio incerto, non é
stata seguita dalla successiva giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Le stesse parti
private, in via subordinata, e l'Avvocatura dello Stato nella sua ultima
memoria, hanno chiesto la restituzione degli atti al giudice a quo, perché
verifichi se, in virtù della sopravvenuta legge n. 10 del 1985, la medesima
questione sia ancora rilevante.
La richiesta non può
essere accolta, poiché le uniche norme che effettivamente innovano alla
disciplina impugnata- gli artt. 3, primo, secondo e terzo comma e 4, comma terzo
bis della nuova legge-non hanno fatto venir meno, come chiaramente e
inequivocabilmente si evince dal loro contenuto, il principio della riserva allo
Stato della diffusione sonora e televisiva sull'intero territorio nazionale,
ribadito dall'art. 1, primo comma, mentre il secondo comma del medesimo articolo
richiama i principi ispiratori del sistema misto.
16. - Nel merito,
il Pretore di Roma sostiene innanzitutto che la concreta evoluzione successiva
alla sentenza
di questa Corte n. 148 del 1981 smentirebbe
la prognosi in questa formulata circa i rischi di un monopolio privato
dell'informazione, di situazioni di oligopolio, o, comunque, di concentrazioni
oligopolistiche.
Secondo il giudice
a quo la realtà effettuale sarebbe invero quella di un sistema misto assai
articolato e composito, caratterizzato dalla presenza, accanto al servizio
pubblico, di tre gruppi privati operanti su scala nazionale, i quali sarebbero
del tutto autonomi ed in vivace concorrenza tra loro (oltre che con il servizio
pubblico) ed assicurerebbero percio-con la contrapposizione di tre voci discordi
sufficienti a controbilanciarsi reciprocamente-un adeguato pluralismo.
Di qui, a suo
avviso, il contrasto della riserva statale con l'art. 21 Cost.
A tale censura il
giudice a quo ne aggiunge un'altra, con cui, assumendo come parametri
costituzionali di riferimento gli artt. 9, 33 e 34 Cost. osserva che se il
costituente ha esplicitamente negato il monopolio dello Stato nel settore
dell'istruzione (art. 33, terzo comma), nonostante che questa rappresenti un suo
fine istituzionale e che siano ivi maggiori -quanto ad incidenza sulla
formazione socio-culturale dei discenti-i rischi insiti in situazioni di
oligopolio dell'istruzione privata; a maggior ragione il monopolio dovrebbe
essere negato nel settore dell'informazione televisiva, non rientrando la
gestione di tale mezzo di diffusione tra i compiti istituzionali dello Stato.
E’ indubitabile
però che le disposizioni citate (artt. 9, 33 e 34) non contengono evidentemente
la disciplina costituzionale dell'attività radiotelevisiva, come questa Corte
ha già chiarito nella sentenza n. 59 del 1960: e perciò quella ora riferita
non e una censura ancorata a precisi parametri costituzionali, bensì una
semplice argomentazione. Ma anche valutata in quanto tale, essa e inidonea a
sorreggere la tesi del giudice a quo, perché omette di considerare sia le
specifiche ragioni della previsione costituzionale di libertà dell'istituzione
di scuole private, sia che l'informazione radiotelevisiva ha caratteri di
capillarità, suggestività ed estrema capacita di incidenza sulla formazione
dell'opinione pubblica (sent.
n. 148 del 1981) talmente peculiari da
rendere improponibile il paragone proposto.
17. - Le censure
del Pretore di Roma si rivelano infondate anche rispetto al primo dei profili
dianzi prospettati, quello cioè attinente alla asserita erroneità della
previsione formulata da questa Corte nel 198l. Invero, l'evoluzione della
situazione di fatto ha dimostrato ampiamente che il rischio della formazione di
un oligopolio paventato dalla Corte si e trasformato in realtà.
Strettamente
connesso é l'elemento della incidenza della pubblicità, <indispensabile per
la sopravvivenza dei mezzi di comunicazione di massa, si tratti di organi di
stampa ovvero delle emittenti radiotelevisive, pubbliche e private>, secondo
quanto sottolineato dalla Corte proprio a proposito di queste ultime, nella sentenza
n. 231 del 1985.
Nella medesima
sentenza la Corte ha richiamato in proposito anche la raccomandazione del
Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa n. R(84)3 del 23 febbraio
1984, nella quale era sollecitata, tra l'altro, la limitazione dei tempi
dedicati alla pubblicità televisiva. Tale indirizzo, rapidamente affermatosi in
ambito europeo, e stato poi ulteriormente ribadito e specificato: in un recente
documento della CEE (Com (86)146 def.) per il <coordinamento di determinate
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri,
concernenti l'esercizio delle attività radiotelevisive> - sul quale il
Parlamento Europeo (doc. A 2 - 246/87) ha già espresso il proprio positivo
parere - e chiaramente enunciata infatti l'esigenza di limitazione del volume
della pubblicità.
La necessità di
porre limiti in questa materia si manifesta certamente anche in Italia, ove il
volume della pubblicità tele visiva ha raggiunto livelli particolarmente
elevati. Tale necessità si ricollega pure al fine <che attraverso una
adeguata limitazione della pubblicità, si eviti il pericolo che la radiotelevisione,
inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi
grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica
tutela> (sentt. nn. 225 del 1974 e 231
del 1985): di conseguenza e necessario
realizzare, in attuazione del disegno costituzionale, un equilibrio delle
risorse dei diversi settori dell'informazione e garantire effettivamente, anche
in tal modo, <il massimo di pluralismo> informativo (sentenza n. 231 del
1985). Questa esigenza vale a maggior ragione oggi, perché le risorse
finanziarie che, attraverso la pubblicità, affluiscono al settore della stampa
sono inferiori a quelle che sostengono il settore televisivo nel suo complesso.
La necessità di
regolamentare la pubblicità televisiva é peraltro sottolineata, nella sentenza
n. 231 del 1985, anche per <la tutela
dell'utente-consumatore> che richiede <una disciplina non solo dei tempi,
ma anche delle modalità di presentazione dei messaggi pubblicitari>.
Inoltre, naturalmente, non debbono essere vulnerati beni e valori
costituzionalmente protetti, quali la salute, la tutela dei minori, la dignità
della persona, ecc..
18. - Come si é
detto, nella sentenza del 1981 la Corte sottolineo l'esigenza di disciplinare
non solo i collegamenti tra emittenti, e tra queste e le altre imprese operanti
nel settore (cioè le imprese di servizi, pubblicitarie, produttrici e/o
fornitrici di programmi) ma anche quelli tra le imprese <operanti nei vari
settori dell'informazione>.
Di tale esigenza si
mostrano consapevoli sia il giudice a quo laddove-riecheggiando la sentenza di
questa Corte n. 225 del 1974-sollecita la valutazione del riparto delle risorse
pubblicitarie tra stampa e televisione, sia soprattutto la difesa della RAI
(par. 5.3.), che reputa necessaria, a salvaguardia del pluralismo, una
disciplina non solo dei collegamenti suindicati, ma anche dei rapporti tra le
imprese televisive e quelle di stampa.
La Corte, al
riguardo, non può che limitarsi a ricordare che la regolamentazione dei
rapporti tra imprese d'informazione, come, del resto, e più in generale, quella
di tutti gli altri collegamenti contemplati dalla sent.
n. 148 del 1981, data l'incidenza di più
valori costituzionali, deve essere ispirata al criterio dell'armonica
composizione e del reciproco coordinamento tra tali valori, sì che l'eventuale
compressione dell'uno deve corrispondere a ragioni effettive e deve essere
assistita dal necessario rapporto di congruità e proporzionalità - che spetta
a questa Corte verificare - tra i mezzi ed il fine della salvaguardia del
pluralismo (cfr. sentt. nn. 78 del 1970, 231
del 1985, 14
e 108 del
1987).
19. - Il Pretore di
Roma allega ancora la considerazione che il pluralismo sarebbe realizzato dalla
competizione concorrenziale non solo fra le reti private, ma anche fra queste e
le reti del servizio pubblico, esprimenti differenti istanze socio-politiche.
Questa tesi, pur
nell'ambito di un sistema misto, può ingenerare una confusione dei rispettivi
ruoli dell'emittenza radiotelevisiva pubblica e di quella privata, che questa
Corte ha già chiaramente precisato e le cui differenze vanno qui sottolineate.
Compito specifico
del servizio pubblico radiotelevisivo é di dar voce-attraverso un'informazione
completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata nelle sue diverse forme di
espressione - a tutte, o al maggior numero possibile di opinioni, tendenze,
correnti di pensiero politiche, sociali e culturali presenti nella società,
onde agevolare la partecipazione dei cittadini allo sviluppo sociale e culturale
del Paese, secondo i canoni di pluralismo interno. Ed ovviamente spetta al
legislatore di provvedere a che il servizio pubblico disponga delle frequenze e
delle fonti di finanziamento atte a consentirgli di assolvere i propri compiti.
Per quanto riguarda
l'emittenza radiotelevisiva privata si tratta di comporre il diritto
all'informazione dei cittadini e le altre esigenze di rilievo costituzionale in
materia con le libertà assicurate alle imprese principalmente dall'art. 21,
oltre che dall'art. 41 Cost., in ragione delle quali il pluralismo interno e
l'apertura alle varie voci presenti nella società incontra sicuramente dei
limiti. Di qui la necessità di garantire, per l'emittenza privata, il massimo
di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci
concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione.
Ma a parte la
diversità dei ruoli del servizio pubblico radiotelevisivo e dell'emittenza
privata, il pluralismo in sede nazionale non potrebbe in ogni caso considerarsi
realizzato dal concorso tra un polo pubblico e un polo privato che sia
rappresentato da un soggetto unico o che comunque detenga una posizione
dominante nel settore privato.
20. - Con
riferimento ai diversi ambiti dell'emittenza privata, talune parti evidenziano,
da un lato la netta distinzione tra vere e proprie reti nazionali e circuiti
minori (parr. 4.5.5. e 6.1.); dall'altro sottolineano e lamentano il ruolo
marginale ormai riservato all'emittenza locale, che si troverebbe in situazione
di difficoltà, con rischi di estinzione o di assorbimento nei maggiori circuiti
(parr. 6.1. e 7.3.). Per contro, lo sviluppo di un sistema informativo in grado
di dar viva voce alle specifiche realtà locali rientra nell'imprescindibile
compito di dare espressione a quelle istituzioni che rappresentano il tessuto
connettivo del Paese: il che richiede, come ineluttabile conseguenza, che sia
assicurata l'effettiva autonomia di tali emittenti, anche attraverso un'adeguata
disponibilità di frequenze e di risorse pubblicitarie.
21. - L'ultima
censura sollevata, in via subordinata, dal Pretore di Roma nei confronti della
riserva allo Stato delle trasmissioni in ambito nazionale, muove dalla
considerazione che le emittenti operanti in tale ambito diffondono
prevalentemente, e talora esclusivamente, programmi di puro spettacolo, solo
eventualmente culturale, ovvero di intrattenimento e di svago. In riferimento a
tali programmi, in quanto distinti dall'informazione in senso tecnico, e ad
avviso del Pretore incongruo il richiamo all'art. 21 Cost.
La Corte ha negato
rilievo a siffatta distinzione ed ha sempre inteso l'informazione in senso lato
ed onnicomprensivo, così da includervi qualsiasi messaggio televisivo, vuoi
informativo, vuoi culturale, vuoi comunque suscettibile di incidere sulla
pubblica opinione.
22. - Le questioni
sollevate dal Pretore di Roma sono dunque infondate sotto ogni profilo.
Quel che in linea
generale deve dirsi é che, ai fini di un'adeguata regolamentazione la quale
superi le carenze normative, ha un ruolo rilevante l'esigenza di realizzare un
razionale ed ordinato governo dell'etere, ponendo fine all'attuale
<situazione indubbiamente anomala e squilibrata>, provvedendo
<all'assegnazione delle frequenze ed all'effettuazione dei relativi
controlli>, assicurando <il rispetto degli obblighi internazionali>,
<il coordinamento> e la <compatibilità reciproca> tra l'emittenza
privata <e tutti gli altri servizi e le altre attività di radio
telediffusione>: compatibilità che deve ritenersi comunque un limite
pienamente apponibile tanto al l'esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero, quanto (e ancora di più) all'esercizio della libertà di iniziativa
economica, che nella materia delle attività di radio telediffusione e
strettamente collegato e subordinato al primo (sentt. nn. 202/1976, 206
e 207/1985,
35/1986).
A ribadire ancora
una volta tali esigenze induce anche il rispetto degli obblighi internazionali,
quali quelli derivanti allo Stato dalla Convenzione adottata a Nairobi il 6
novembre 1982-ratificata e resa esecutiva con legge 9 maggio 1986, n. 149-, dal
Regolamento Internazionale delle Radiocomunicazioni (R.I.R.)-adottato nella
Conferenza Amministrativa mondiale di Ginevra del 6 dicembre 1979 e reso
esecutivo con d.P.R. 27 luglio 1981, n. 740 - nonché dagli accordi
internazionali basati sulla Convenzione di Stoccolma del 196l. La prima di tali
convenzioni specifica che le frequenze <sont des ressources naturelles
limitees qui doivent etre utilisees de maniere efficace et economique,
conformement aux dispositions du Reglement des radiocommunications>: e perciò
obbliga ad assegnare le frequenze e ad installare le stazioni emittenti in modo
da evitare disturbi nocivi ai servizi degli altri Stati (artt. 4, 33 e 35). Il
secondo, allo stesso fine, detta le prescrizioni specifiche cui si devono
uniformare i piani nazionali di ripartizione delle frequenze e stabilisce tra
l'altro che l'installazione e l'esercizio delle stazioni emittenti va
subordinata ad apposita <licenza>, conforme alle prescrizioni dello stesso
R.I.R. (cfr. artt. da 5 e 7, da 18 a 22, 24). Infine, l'accordo internazionale
seguito alla citata Convenzione di Stoccolma contiene la pianificazione delle
frequenze che nell'ambito dei singoli Stati possono essere assegnate agli
impianti televisivi di grande dimensione, cioè di potenza tale da poter creare
interferenze reciproche, fissa la procedura da seguire per la revisione del
piano.
Sul piano interno,
va posto rimedio ad una situazione che - come emerge dalla relazione
ministeriale (parr. 4.1. e 4.2.)-é caratterizzata da un elevatissimo livello di
occupazione abusiva da parte delle emittenti private di frequenze riservate ad
altri utilizzatori o servizi, spesso di rilevante interesse pubblico (par. 4):
sicché é auspicabile che si provveda ad una completa ristrutturazione del
sistema delle frequenze con riferimento alle singole emittenti.
Per tutte queste
ragioni, occorre procedere ad una verifica delle frequenze effettivamente
destinabili alle trasmissioni radiotelevisive, anche in rapporto agli ambiti in
cui esse concretamente si svolgono, onde preventivare la quantità di
concessioni e frequenze assegnabili a ciascun soggetto e determinare al
riguardo, in sede legislativa, idonei criteri obiettivi: tutto ciò nella
salvaguardia del principio del pluralismo, che comporta il divieto di
acquisizione di posizioni dominanti.
E’ ben presente
alla Corte la prospettiva che lo sviluppo della tecnologia possa consentire in
tempi ravvicinati-superando le attuali difficoltà-di disporre di strumenti
idonei ad accrescere le vie attraverso le quali far pervenire informazioni e
messaggi televisivi, anche a livello transnazionale. Questa prospettiva, se non
può risolvere i problemi attuali del pluralismo, dovrebbe peraltro indurre il
legislatore a considerarne adeguatamente gli eventuali sviluppi.
23. - Sulle
questioni di costituzionalità che investono le norme del D.L. n. 807 del 1984,
convertito nella legge n. 10 del 1985, sono state proposte diverse eccezioni di
inammissibilità.
Alcune di queste,
come quella che si fonda sull'asserita natura di interpretazione autentica
dell'art. 3, terzo comma sono state già esaminate, e qui non resta che ribadire
le considerazioni già svolte.
In relazione alle
censure prospettate dal Pretore di Torino, l'Avvocatura dello Stato rileva che
l'art. 3, primo comma, non sarebbe applicabile nel giudizio relativo perché,
trattandosi di norma penale più favorevole, ma temporanea, non potrebbe essere
invocata per disciplinare situazioni precedenti alla sua entrata in vigore. Ora,
anche a prescindere dalla natura della norma in questione, é da osservare che
essa deve comunque trovare applicazione nel giudizio a quo, poiché esso ha ad
oggetto un reato permanente la cui condotta, iniziata in epoca anteriore, si e
poi protratta oltre la data dell'entrata in vigore del citato D.L. n. 807 del
1984 (6 dicembre).
Anche talune parti
private (parr. 7.l. e 7.2.) propendono per l'irrilevanza della questione
sull'assunto, pero, della inapplicabilità dell'art. 3, primo comma, al giudizio
a quo perché i fatti oggetto di quest'ultimo costituirebbero esclusivamente
un'ipotesi di interconnessione funzionale, e non di interconnessione strutturale
o tecnica, quale, appunto, sarebbe quella contemplata dalla disposizione in
oggetto. Nemmeno tale assunto può essere accolto in quanto dall'ordinanza non
risultano gli elementi di fatto su cui le predette parti pretenderebbero di
fondare la loro eccezione.
Infondata é infine
anche l'eccezione di irrilevanza prospettata dalla difesa di talune emittenti
(par. 7.l.) a proposito della quaestio relativa all'art. 4, comma terzo bis:
questa Corte, infatti, fin dalla sentenza n. 148 del 1983 ha respinto la tesi,
sulla quale fa leva tale eccezione, della irrilevanza delle censure concernenti
norme penali di favore.
Devono invece
ritenersi inammissibili le questioni riguardanti le censure relative agli altri
commi dell'art. 4 ed all'art. 2, in quanto l'ordinanza di rimessione non reca al
riguardo la benché minima motivazione, ne in punto di rilevanza ne in punto di
non manifesta infondatezza. Infine, non può negarsi - come vorrebbe
l'Avvocatura - l'ammissibilità dell'impugnativa riferita all'art. 41 Cost. come
diretta ad ottenere una pronunzia che si risolverebbe nella privazione, per i
soggetti coinvolti nel giudizio a quo, di una situazione di vantaggio. La Corte
ha infatti numerose volte ritenuto ammissibili impugnative del genere (sentt.
nn. 43/1987, 226/1983,
164/1982,
17/1974, 127/1968) e non ravvisa alcuna ragione particolare per discostarsi da
tale giurisprudenza.
L'Avvocatura dello
Stato eccepisce poi l'inammissibilità di tutte le censure sollevate dal
Tribunale di Genova: la questione concernente i primi tre commi dell'art. 3
della l. n. 10 del 1985 sarebbe infatti irrilevante, poiché tali disposizioni
non dovrebbero riguardare fatti che, essendo antecedenti all'entrata in vigore
del D.L. n. 807 del 1984, ricadrebbero interamente nella previsione dell'art. 4,
comma terzo bis; la questione su quest'ultimo articolo, poi, sarebbe
inammissibile poiché la disposizione non sarebbe oggetto di autonoma censura.
L'eccezione non può
essere accolta. Infatti le norme impugnate sono legate da un nesso
logico-temporale inscindibile, si che il sindacato di questa Corte non può
esercitarsi se non sulla complessiva disciplina che ne deriva.
24. - Nel merito la
Corte ritiene di esaminare prioritariamente per evidenti ragioni logiche le
questioni sollevate dal Tribunale di Genova, secondo il quale la disciplina
impugnata sarebbe in contrasto sostanziale con l'art. 21 Cost. perché consente
ai privati di effettuare trasmissioni televisive su scala nazionale in assenza
del complesso di garanzie atte ad impedire il realizzarsi di concentrazioni
monopolistiche od oligopolistiche private, ritenute dalla sentenza n. 148 del
1981 di questa Corte, condizione essenziale per l'abbandono della riserva
pubblica e per l'introduzione di un sistema misto di emittenza pubblica e
privata in sede nazionale.
In proposito, si
deve invero osservare che la legge impugnata é intervenuta in una situazione in
cui erano già in atto processi di concentrazione nel settore privato.
In tale situazione,
il legislatore, dettando gli artt. 3 e 4 impugnati, ha consentito la
prosecuzione dell'attività privata di trasmissione in ambito nazionale, senza
in effetti dettare alcuna misura antitrust.
Non possono infatti
considerarsi tali ne la norma dell'art. 1, secondo comma, che si risolve in una
mera enunciazione di principi, ne, tanto meno, quella dell'art. 1, quinto comma,
che, come si ricordava all'inizio, si limita a rinviare alla futura legge
generale sul sistema radiotelevisivo per l'adozione delle <norme dirette ad
evitare situazioni di oligopolio e ad assicurare la trasparenza degli assetti
proprietari delle emittenti radiotelevisive private>, nonché delle <norme
volte a regolare la pubblicità nazionale e quella locale>, con ciò stesso
confermando che tali norme non esistono nella legge impugnata.
In tal modo la
disciplina in questione non ha seguito le indicazioni contenute nella sentenza
n. 148 del 198l. Tuttavia e decisivo, allo stato, considerare che il recente
intervento legislativo ha natura chiaramente provvisoria, perché nella sua
complessiva impostazione appare proiettato verso la futura riforma del sistema
radiotelevisivo, alla quale più volte fa, a vari fini, riferimento. La legge
pertanto e intesa a dettare una disciplina solo parziale e limitata nel tempo,
destinata in tempi brevi-come dimostra la stessa prefissione nell'art. 3, primo
comma, di un termine ravvicinato, peraltro di recente ritenuto in dottrina e
giurisprudenza meramente <sollecitatorio>-ad essere sostituita dalla legge
di riassetto dell'intero settore. E ciò é confermato anche dal fatto che nello
stesso torno di tempo, come si e ricordato, veniva presentato alle Camere un
apposito disegno di legge governativo, poi decaduto, mentre un nuovo progetto,
recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, e attualmente all'esame del
Parlamento.
Si può allora
ammettere che una legge siffatta possa nella sua provvisorietà trovare una base
giustificativa. Naturalmente, se l'approvazione della nuova legge dovesse
tardare oltre ogni ragionevole limite temporale, la disciplina impugnata- tenuto
conto che e in vigore già da oltre tre anni - non potrebbe più considerarsi
provvisoria e assumerebbe di fatto carattere definitivo: sicché questa Corte,
nuovamente investita della medesima questione, non potrebbe non effettuare una
diversa valutazione con le relative conseguenze.
25. - Ad analoghe
conclusioni deve pervenirsi in ordine alle censure prospettate dal Pretore di
Torino, che evidenzia come dalle norme di cui agli agli artt. 3, primo, secondo
e terzo comma e 4, comma terzo bis conseguano rilevanti disparità di
trattamento. Secondo l'ordinanza, con esse é stata resa non punibile per il
passato e lecita per il futuro l'attività di teletrasmissione svolta dalle
emittenti operanti con gli impianti già in funzione alla data del 1o ottobre
1984: con ciò discriminando e comprimendo la libertà di iniziativa economica
di chi volesse successivamente intraprendere la medesima attività, che
resterebbe invece sottoposto alle previste abilitazioni e sanzioni.
Senonché, a parte
ogni altro rilievo, e anche qui decisiva, allo stato, la già rilevata natura
provvisoria della legge impugnata: in ordine alla quale e il caso di ribadire
che, ove tale fondamento giustificativo mutasse e la normativa assumesse
carattere definitivo, essa non potrebbe sottrarsi ad una diversa considerazione.
26. - Tutte le
argomentazioni sopra svolte rendono evidente la necessità di una disciplina
definitiva della materia, che si sottragga a tali censure e appresti quel
<sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il
realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche non solo
nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in quello dei
collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione, incluse
quelle pubblicitarie> (sent.
n. 148 del 1981).
Come si é già più
volte sottolineato, la necessità dell'introduzione, nella disciplina
dell'emittenza privata su scala nazionale, di un simile sistema di garanzie
deriva dall'imprescindibile esigenza, sottesa alla menzionata sentenza, di una
effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, che va difeso contro
l'insorgere di posizioni dominanti o comunque preminenti, tali da comprimere
sensibilmente questo fondamentale valore.
Simili posizioni
possono verificarsi sia in ciascuno dei singoli settori del sistema
radiotelevisivo, sia attraverso le sopracitate connessioni e collegamenti, anche
indiretti o di mero fatto; inoltre é possibile che siano attuate con varie
forme di collegamento tra le predette imprese e quelle che abbiano una presenza
rilevante in settori diversi da quello dell'informazione.
Di conseguenza, la
futura legge non potrà non contenere limiti e cautele finalizzati ad impedire
la formazione di posizioni dominanti lesive del predetto valore costituzionale
(art. 21 Cost.).
Naturalmente
l'efficacia di una simile disciplina ai fini indicati presuppone l'introduzione
di un alto grado di trasparenza degli assetti proprietari e dei bilanci
dell'impresa di informazione e di quelle collegate, trasparenza che incide pur
sempre sul valore del pluralismo ed ha quindi rilievo costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
a. - dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli
artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo
unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni) in relazione a quanto prescritto dall'art. 45 della legge 14
aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e
televisiva), nonché dagli artt. 1 e 2 di questa medesima legge e dall'art. 2
della legge 10 dicembre 1975, n. 693 (Ristrutturazione del Consiglio superiore
tecnico delle poste, delle telecomunicazioni e dell'automazione) sollevata, in
riferimento agli artt. 21, primo comma, 41, primo comma, 9, 33 e 34 della
Costituzione, dal Pretore di Roma con ordinanza del 4 maggio 1982 (r.o. n.
771/82);
b. - dichiara
inammissibili, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4,
commi primo, secondo e terzo del decreto legge 6 dicembre 1984, n. 807
(Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive), come
convertito, con modificazioni, nella legge 4 febbraio 1985,
n. 10, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. dal Pretore di Torino
con ordinanza del 25 febbraio 1985 (r.o. n.
430/85);
c. - dichiara non
fondate per le ragioni di cui in motivazione le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 3, primo, secondo e terzo comma e 4, comma terzo bis,
del medesimo decreto legge 6 dicembre 1984, n. 807, come convertito, con
modificazioni, nella legge 4 febbraio 1985, n.
10, sollevate in riferimento ai citati parametri costituzionali dal Pretore di
Torino con la predetta ordinanza ed in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost. dal
Tribunale di Genova con ordinanza del 4 febbraio
1986 (r.o. n. 414/86).
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
13/07/88.
Francesco SAJA,
PRESIDENTE
Ugo SPAGNOLI,
REDATTORE
Depositata in
cancelleria il 14/07/88.